La composizione corporea (l'insieme dei tessuti magri e grassi) è regolata da un sistema neuroendocrino che cerca di mantenere il peso a seconda della disponibilità di cibo, autoregolando l'appetito e la spesa energetica (sistema omeostatico, che raggiunge un equilibro e si autoregola). Queste funzioni sono regolate dall'ipotalamo che integra i segnali esterni con le necessità dell'organismo. Questo dovrebbe fare in modo che il peso e la quantità di grasso rimangano approssimativamente costanti negli anni. Tuttavia la spinta edonica (ossia al piacere) di alcuni alimenti può prevalere sulla regolazione omeostatica, determinando il desiderio di consumare cibi altamente appetibili, nonostante non ce ne sia necessità dal punto di vista energetico. Questo è forse il sistema per mettere da parte grasso per i momenti di difficoltà (carestie) e si è evoluto per spingerci a mangiare più del necessario. Alcune persone sono più soggette a questo problema di altri: il fenotipo risparmiatore, che in caso di carestia ha una riserva di grasso che gli permette di sopravvivere.
Alterazioni pesanti degli ormoni ipotalamici e dei neurotrasmettitori dei centri della ricompensa come dopamina e serotonina portano alle abbuffate compulsive.
Uno dei segnali più importanti nel sistema è dato dalla leptina, rilasciata dal tessuto adiposo dopo il pasto. "Nella maggior parte degli esseri umani, il peso corporeo rimane relativamente stabile per lunghi periodi. È autoregolato dalla trasduzione del segnale della leptina, senza controllo cosciente, in maniera simile alla temperatura corporea, alla respirazione e alla pressione sanguigna, e funziona come un "servomeccanismo" per il peso corporeo". Si instaura così un "setpoint" attorno al quale il peso rimane tendenzialmente costante. L'obesità è quindi favorita da alterazioni del set point dovute a cause ambientali, che inducono inefficacia del segnale leptinico (resistenza leptinica): l'ipotalamo non riceve segnali di sazietà dalla periferia e non aumenta la spesa energetica nonostante si sia introdotto cibo e il sistema di ricompensa non smette di favorire la ricerca del cibo.
La resistenza leptinica è dovuta, tra le altre cose, all'iperinsulinemia, caratteristica del diabete. Infatti nell'ipotalamo insieme ai recettori per la leptina sono presenti anche quelli per l'insulina, e se l'insulina è alta il segnale leptinico viene disturbato con almeno 3 meccanismi (IRS-2, PTP-1B e PI3-kinasi).
"Pertanto, l'insulino-resistenza e l'iperinsulinemia possono portare ad alterazioni centrali della segnalazione della leptina nel sistema nervoso centrale, con conseguente "fame cerebrale" che stimola l'appetito e un aumento di peso persistente".
Nonostante si sia mangiato, è come se la persona fosse digiuna o quasi, non avrà termogenesi post prandiale e continuerà a cercare il cibo. E come detto chi ha resistenza insulinica è più a rischio di alterato segnale leptinico, quindi chi ha prediabete o diabete ha ulteriore difficoltà a mantenere il peso.
Le cause dell'obesità sono quindi un insieme di background genetico, stimoli ambientali, alimentazione ed esercizio fisico, ma chiaramente ogni persona avrà un mix diverso di queste componenti. Anche alcuni virus (nell'uomo Adenovirus 36) sono stati associati a obesità. "L'apporto calorico in eccesso fa accumulare grasso ogni volta che è maggiore del dispendio energetico. Tuttavia, questa spiegazione è eccessivamente semplicistica. L'aumento dell'apporto calorico è correlato all'aumento di peso, ma non spiega il meccanismo per cui mangiamo di più. Inoltre, l'obesità ha origini multifattoriali e l'alimentazione è più complessa del semplice conteggio delle calorie. In effetti, non tutte le calorie sono equivalenti. Un'ipotesi alternativa interessante è che l'iperinsulinemia sia il fattore principale che guida l'accumulo di energia e l'aumento di peso. Secondo questo modello (carboidrati-insulina), l'aumento della deposizione di grasso risultante da un'esagerata risposta insulinica ad alimenti specifici (es. carboidrati raffinati e zucchero) che spinge un bilancio energetico positivo portando all'obesità.
A livello calorico "l'efficienza nel catturare le calorie e trasformarle in energia chimica nel corpo umano è altamente variabile. La comprensione di questi vari fenomeni mostra che, in effetti, "una caloria non è una caloria" e c'è una differenza effettiva tra mangiare una manciata di mandorle e una ciambella, anche se il loro conteggio calorico può essere identico" in una bomba calorimetrica, lo strumento che misura il valore calorico di un alimento.
Così ogni nutriente influenza in maniera diversa spesa energetica e di conseguenza la composizione corporea.
Le proteine hanno un effetto termico più alto degli altri macronutrienti, ossia il corpo deve investire energia per utilizzarle.
Le fibre possono ridurre l'assorbimento di nutrienti e quindi di calorie. La loro assenza può favorire la permeabilità intestinale e quindi problemi infiammatori. mentre la loro metabolizzazione porta alla produzione di SCFA che modulano positivamente la salute e la secrezione insulinica.
Tra i grassi, il loro tipo influenza la salute, ma in maniera ancora molto controversa e diversa tra gli individui. Il legame trans dei grassi industriali non può essere metabolizzato nei mitocondri, mentre i grassi polinsaturi vanno a formare le membrane cellulari.
Tra gli zuccheri, il fruttosio va tutto al fegato e se si supera la sua capacità di metabolizzazione mitocondriale (come accade quando beviamo una bibita zuccherata) viene convertito in grassi. Inoltre questo zucchero non blocca la grelina e quindi non stimola la sazietà, oltre a creare dipendenza. Per tutti questi motivi si può ritenere che il fruttosio industriale favorisca l'aumento di peso.
L'indice glicemico, che misura la velocità con il quale la glicemia sale in seguito a un pasto e ha quindi influenza sul quantitativo insulinico, può essere predittivo dell'aumento di peso, oltre ad avere un legame con lo stato infiammatorio.
L'insulinoresistenza, l'inferiore capacità dell'insulina di svolgere la sua azione rispetto a quanto atteso, può favorire la deposizione di grasso. I tessuti che possono diventare resistenti sono cervello, tessuto adiposo, fegato e muscolo. La reazione del pancreas è di rilasciare più insulina (iperinsulinemia) e questo peggiora le cose. Nel fegato favorisce la formazione di grasso (lipogenesi) e la sua deposizione (steatosi epatica). Nel cervello come già detto altera i segnali di sazietà e dispendio energetico. Nel tessuto adiposo porta all'attivazione della lipasi e continuo rilascio di grassi che infiammano l'organismo.
Altri fattori sono l'infiammazione (l'eccesso di nutrienti favorisce uno stato infiammatorio postprandiale, ma l'infiammazione sistemica è presente solitamente in persone con eccesso di tessuto adiposo, con alterazione delle funzioni metaboliche), il microbiota (spesso alterato nel sovrappeso, influisce sulla spesa energetica e sulla salute), i ritmi circadiani (non seguire i corretti orari provoca insulinoresistenza e favorisce l'accumulo di grasso).
Il microbiota ha un ruolo attivo nella gestione del peso corporeo, metabolizzando i nutrienti e così influenzando qualsiasi attività metabolica e malattia legata (insufficienza renale, diabete, steatosi epatica, malattie neurodegenerative ecc.). La disbiosi promuove l'infiammazione e l'espansione del tessuto adiposo.
L'alterazione dei ritmi circadiani e del sonno, alterando gli ormoni e la loro funzione, è fortemente legata alla composizione corporea.
Gli eventi della gravidanza tra cui lo stress e l'eccesso o la penuria dei nutrienti
influenzano l'accumulo di grasso negli anni successivi, con i meccanismi epigenetici di segnatura del DNA (regolazione dell'espressione genica).
Un altro fattore che purtroppo non si considera spesso, basta guardare la maleducazione e gli scarsi rispetto e considerazione
per l'ambiente che si vede in giro, è l'inquinamento, che colpisce sotto forma di obesogeni
. Gli obesogeni sono sostanze che in generale stimolano la crescita della massa adiposa e sono una poco considerata causa dell'epidemia di obesità. Purtroppo il nostro stile di vita ci espone a degli inquinanti che interferiscono con il sistema di mantenimento del peso corporeo, "fissando" il limite più in alto e settandosi su una quantità maggiore di grasso. Gli interferenti endocrini sono una causa ormai riconosciuta di aumento di peso e tutti noi ne siamo esposti, chi più chi meno.
"Gli obesogeni sono presenti nel nostro ambiente e sono stati identificati in polvere, acqua, contaminazione degli alimenti, alimenti trasformati (compresi gli additivi alimentari), imballaggi per alimenti, contenitori per alimenti e conservazione, cosmetici e prodotti per la cura personale, mobili ed elettronica, inquinamento atmosferico e solventi, disinfettanti, pesticidi, filtri solari, plastica e plastificanti, dolcificanti, alcuni antidepressivi e farmaci antidiabetici e prodotti comuni per la casa".
Sfortunatamente infatti si tratta ormai di sostanze presenti nella nostra vita quotidiana e che possono avere tempi di degradazione lunghissimi, sia al di fuori che entro il nostro corpo.
I meccanismi di azione sono diversi, ma in parte sovrapponibili a quelli citati nella prima parte: azione epigenetica (segnatura sul DNA che influenza anche le generazioni future), sui recettori per gli ormoni, induzione di stress ossidativo e infiammazione, azione diretta sugli organi metabolici come fegato, cervello e tessuto adiposo. Anche il muscolo può risentirne, diventando resistente all'insulina e meno performante.
Altri meccanismi di interazione possono essere induzione di disbiosi e alterazione dei ritmi circadiani (si dorme meno). L'infiammazione e lo stress ossidativo generano disfunzione mitocondriale, quindi i mitocondri non ossidano i grassi e non producono ATP ai livelli corretti, ma anzi producono specie reattive (ROS) che sono a loro volta infiammatorie. Inoltre gli obesogeni possono alterare le sirtuine (proteine che proteggono i mitocondri) e facilitare l'insorgenza di disturbi del comportamento alimentare (fame compulsiva).
Gli obesogeni agiscono incrementando direttamente o indirettamente la grandezza o il numero degli adipociti (e mi dispiace per quelli che ancora sono convinti che il numero degli adipociti non aumenti dopo l'adolescenza: è falso e attuale quanto La casa nella prateria).
Secondo la revisione sono stati individuati una cinquantina di obesogeni, e i principali sono: nicotina (soprattutto il fumo nei genitori, con ripercussioni epigenetiche), farmaci (antidepressivi, cortisonici, glitazoni, BPA e suoi analoghi, ftalati, inquinamento atmosferico, stagno (TBT e DBT), ritardanti di fiamma come i polibromodifenileteri (PBDE) o quelli organofosfati (OPFR), pesticidi e DDT, diossine e PCB, PFAS (forse si è trovato un modo per degradarli), alcuni dolcificanti, pesticidi (Chlorpyrifos in particolare), parabeni (conservanti dei cosmetici), emulsionanti, metalli pesanti (cadmio e arsenico). Trai potenziali troviamo glifosato, la polvere di casa (si ritrovano insiemi di sostanze come PFAS e ritardanti), triclosan (disinfettante).
Gli obesogeni agiscono anche alterando gli ormoni ipotalamici che gestiscono appetito e composizione corporea: aumentano NPY e AgRP, ormoni oressigeni, mentre riducono POMC, ormone della sazietà stimolato dalla leptina.
Alcuni composti naturali, nei modelli animali, possono ridurre gli effetti degli obesogeni e aiutare a disintossicare il corpo. Per esempio vitamina E, Nigella sativa, crocina (zafferano) e resveratrolo inibiscono gli effetti negativi del BPA. Gli antiossidanti contrastano PCB e BPA.
In generale gli effetti negativi vengono esaltati dalla dieta occidentale ma ridotti dalla dieta mediterranea ricca in antiossidanti e fibre.
Aggiornamento 11/9/2022
Lo iodio in eccesso può essere considerato un interferente endocrino perché inibisce la produzione di ormoni tiroidei.
Uno studio non ancora revisionato può suggerire alcune differenze tra diete a basso contenuto di grassi o carboidrati, ovvero le calorie da grassi possono essere diverse da quelle di carboidrati, almeno negli effetti. Le diete lowfat vanno a stimolare meno il sistema di ricompensa e rendono più difficile mantenere la dieta nel lungo periodo, con un aumento del tono della dopamina e conseguente maggiore consumo successivo di cibi gratificanti ricchi di grassi e carboidrati.
Lo studio è fatto su poche persone e ha quindi necessità di essere replicato su numeri più grandi ma potrebbe spiegare la tendenza a riprendere peso soprattutto in alcune persone predisposte per il consumo di alimenti spazzatura.
La dieta occidentale modula il microbiota e il sistema immunitario in modo da favorire l'aumento di peso.
In particolare lo zucchero favorisce la crescita del batterio Faecalibaculum rodentium, che blocca particolari cellule immunitarie, le Th17.
Le cellule Th17 indotte dal microbiota proteggono dall'obesità indotta dalla dieta e dalle malattie metaboliche come il diabete.
Lo zucchero riduce le cellule Th17 commensali e aumenta il rischio di malattie metaboliche e obesità, perché senza queste cellule vengono assorbiti maggiormente i grassi della dieta.
"Le cellule Th17 potrebbero aiutare a prevenire l'aumento di peso e le malattie metaboliche. Gli studiosi hanno scoperto che, normalmente, le cellule Th17 aiutano a rallentare l'assorbimento di alcuni grassi alimentari nelle cellule intestinali e riducono l'infiammazione nell'intestino. Senza le cellule Th17, l'assorbimento dei grassi e l'infiammazione intestinale sono aumentati.
Il nostro lavoro descrive un'intricata rete di interazioni tra componenti alimentari, microbiota e cellule immunitarie intestinali che regolano condizioni metaboliche come l'obesità indotta dalla dieta, sindrome metabolica e diabete. I nostri risultati suggeriscono anche che gli effetti degli interventi dietetici e immunitari sulle condizioni metaboliche non sono universali. I futuri approcci terapeutici della medicina di precisione dovrebbero tenere conto delle variazioni individuali del microbiota che funziona come un immunomodulatore".
Aggiornamento 11/10/2022
Provo a riassumere un'interessantissima e complessa review sui legami tra ritmi circadiani e nutrizione: non seguire correttamente i ritmi fisiologici del corpo (mangiare di giorno, dormire di notte) fa funzionare male il corpo.
Più nel dettaglio: si altera la secrezione di insulina e il suo funzionamento (resistenza insulinica), predisponendo al diabete e al deposito di grasso. Si altera il microbiota, favorendo l'infiammazione e l'accumulo di grasso. Si riduce la termogenesi e quindi il dispendio energetico. Si altera il ritmo corretto di anabolismo e catabolismo dei grassi, riducendo la loro ossidazione. Alterazione della comunicazione tra tessuti che gestiscono il ritmo, con tendenza a immagazzinare l'energia come grassi. Alterazione dei corretti ritmi tra fase antinfiammatoria e proinfiammatoria, con supporto della seconda. Alterazione del sonno e degli endocannabinoidi con aumento della fame edonica per cibi dolci. Dominanza del sistema simpatico sul parasimpatico con aumento della pressione, della glicemia e dei problemi intestinali. Alterazione del segnale leptinico con riduzione della sazietà e della spesa energetica.
Aggiornamento 27/10/2022
Il time restricted feeding (TRF), mangiare solo in una certa finestra temporale durante il giorno, è una metodica promettente per migliorare la composizione corporea.
Un'indagine sui topi mostra come questa metodica funzioni anche perché fa aumentare il dispendio energetico nel tessuto adiposo, se i topi mangiano solo durante la notte (i topi hanno i ritmi circadiani invertiti rispetto all'uomo).
Aumenta infatti la produzione di calore (termogenesi) grazie alla dissipazione di calorie indotta dai cicli futili, in particolare dal creatinfosfato che viene "ricaricato" e scisso in modo da sprecare energia.
Al contrario i topi che mangiano di giorno non hanno questa termogenesi e accumulano più calorie, ingrassando.
"Alimentarsi negli orari sbagliati altera la termogenesi: negli adipociti termogenici, la creatina chinasi B (CKB) e la fosfatasi alcalina non specifica del tessuto (TNAP) lavorano in tandem per accelerare il turnover dell'adenosina trifosfato (ATP) in adenosina difosfato (ADP) attraverso il ciclo futile della creatina. Questo percorso termogenico guida l'ossidazione dei nutrienti e il consumo di ossigeno. L'espressione di CKB e l'abbondanza di creatina sono regolate in modo circadiano, raggiungendo il picco quando il dispendio energetico è più alto (di notte nei topi). Quando i topi vengono nutriti durante la notte, quando sono più attivi e le vie termogeniche sono più altamente espresse, sono più resistenti all'obesità rispetto ai topi che ricevono un'alimentazione nelle ore di luce.
In contesti in cui gli esseri umani sperimentano cambiamenti rapidi o frequenti negli orari di alimentazione a causa del lavoro su turni, della perdita di sonno o dell'esposizione alla luce blu, il disallineamento tra l'alimentazione e la fase circadiana endogena della termogenesi nel tessuto adiposo può esacerbare la malattia metabolica. Proponiamo che l'allineamento dell'alimentazione con i ritmi termogenici intrinseci possa essere alla base dei benefici salutari del TRF".
Il time restricted eating, una forma di digiuno intermittente,
può essere utile per il dimagrimento di persone normopeso o sovrappeso, con miglioramenti di alcuni parametri metabolici e della percentuale di grasso.
I miglioramenti possono verificarsi anche senza restrizione calorica e sembrano legati all'allineamento dei pasti coi ritmi circadiani naturali.
La riduzione delle proteine
può portare il corpo a desiderare maggiormente il cibo spazzatura, che nonostante non sia ricco di proteine, fornisce energia pronta e va a supplire la carenza. La necessità umana di proteine "spinge" il consumo eccessivo di grassi e carboidrati, dato che le proteine sono contenute "diluite" in questi alimenti. Gli autori chiamano questo meccanismo "leva proteica" e risulta supportato sia da studi RCT che da osservazioni nel mondo reale.
Nello studio l'introito energetico totale è inversamente proporzionale alla concentrazione proteica del pasto e queste calorie vengono in particolare dai cibi altamente palatabili.
Questo meccanismo può essere tra i responsabili dell'epidemia di obesità, in quanto favorisce nel complesso un bilancio energetico positivo e non fornisce una sufficiente quantità di proteine per sostenere la massa magra.
Gli autori dello studio sottolineano anche che le diete delle zone blu (quelle con la maggiore longevità e migliore salute generale) sono solitamente a contenuto proteico medio-basso, ma contemporaneamente a scarso contenuto di carboidrati a veloce assorbimento. In tale contesto la presenza di fibre contrasterebbe la fame indotta dal minor apporto proteico, favorendo in generale una migliore salute.
La conferma che i probiotici sono utili con gli antibiotici arriva da una revisione sistematica dei dati. Il lavoro ha infatti dimostrato l'utilità dei probiotici durante la somministrazione di antibiotici.
Gli studi riportano una riduzione della diarrea (e altri problemi intestinali) associata ad antibiotici e un aumento del tasso di eradicazione di H. pylori. La maggior parte degli studi ha evidenziato che la somministrazione aiuta a preservare l'alfa diversità (variabilità delle specie all'interno di un campione).Akkermansia, lattobacilli e Colinsella sono le specie che aumentano, mentre i bifidi si riducono anche con la somministrazione di probiotico. Akkermansia riduce il rischio di sovrappeso e malattie intestinali. Si riducono inoltre, rispetto al solo antibiotico, gli aumenti di Firmicutes e Proteobacteria, generi legati alla disfunzione metabolica.Gli autori concludono che secondo l'evidenza attuale è corretto prescrivere i probiotici insieme ai cicli di antibiotici.
L'abbondanza del microbiota appare essere correlata con una migliore composizione corporea (perdita di grasso addominale) e con il successo a lungo termine in una dieta dimagrante. Ecco perché cercare di fare sempre una dieta che sia amica dei microbi intestinali e non semplicemente un taglio calorico.
Aggiornamento 2/1/2023
Aumentano i lavori che mostrano i legami tra microbiota e metabolismo energetico. Un gruppo di ricercatori ha evidenziato che è possibile mettere il relazione l'energia "estratta" dalla dieta con il tipo di microbi nell'intestino. Esistono 3 tipi di microbiota generici (con infinite sfumature) in base alla prevalenza di alcune specie: tipo B (Bacteroides), tipo R (Ruminococcaceae) e tipo P (Prevotella). Il tipo B ha bassa diversità, veloce transito intestinale e bassa proteolisi ed è quello che estrae più energia dalla dieta. Nelle feci di queste persone si ritrovano pochi elementi ancora in grado di fornire calorie. Nello studio le persone con questo tipo di microbiota hanno un peso maggiore. Il tipo B è associato alla dieta di tipo occidentale (poche fibre e molti alimenti industriali) mentre il tipo P caratterizza persone con maggiore introduzione di alimenti non processati e fibre. Il tipo R ha maggiore proteolisi (digestione delle proteine) e chi lo possiede è più magro. Contrariamente a quanto ipotizzabile le persone con transito più lento avevano minore estrazione di calorie.
Assumere olio MCT nei giorni precedenti all'inizio della dieta chetogenica dimagrante (VLCKD) aumenta il dimagrimento nella fase attiva facilitando l'ingresso in chetosi.
Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.
L'
European Food Safety Authority (EFSA)
ha aggiornato la dose sicura di bisfenolo A, riducendola di 20 mila volte. Si tratta di un composto plastico che si accumula nella catena alimentare e mima l'effetto degli ormoni come gli estrogeni. Fa parte quindi degli interferenti endocrini. Adesso gli stati europei dovranno recepire la direttiva e ridurre i limiti di BPA a cui siamo esposti.
Sono stati individuate 60 proteine espresse nel sistema nervoso centrale implicate nel controllo del peso corporeo.
Queste proteine spiegano l'interazione tra cervello e l'ambiente alimentare, che è notevolmente cambiato negli ultimi decenni. Il ricercatore dr. Arsenault ha spiegato: "Questa relazione potrebbe influenzare i comportamenti alimentari e l'accumulo di energia. Il peso non è una scelta né un'abitudine di vita. Non abbiamo un peso corporeo elevato perché siamo pigri o ci manca la forza di volontà. Sono in gioco meccanismi neuronali inconsci. Il cervello è quello che comanda. Spero che i risultati di questo studio possano in parte spiegare perché il peso corporeo varia così tanto da una persona all'altra".
Le persone con anoressia nervosa
hanno un particolare microbiota che contribuisce alla patologia, aumentando la sazietà, riducendo l'appetito, alterando la termogenesi e la spesa energetica, favorendo la degradazione dei neurotrasmettitori e così modificando la comunicazione tra intestino e cervello
Il microbiota, l'insieme dei nostri microbi in particolare intestinali,
ha una discreta influenza sul peso mediante diversi meccanismi.
Durante lo sviluppo influenza la crescita dei tessuti e la loro infiammazione; Influenza fame e sazietà tramite i metaboliti (SCFA) e i neurotrasmettitori e altre molecole che mimano l'azione degli ormoni, modulano la ricompensa del cibo; nel fegato influenzano gli acidi biliari e le vie metaboliche che fanno produrre grassi e carboidrati (lipogenesi e gluconeogenesi); nel tessuto adiposo influenzano la quantità di grassi immagazzinati, la loro ossidazione e la termogenesi; nell'intestino digeriscono nutrienti traendo più calorie dalla dieta e influenzano infiammazione e sistema immunitario modulando la permeabilità intestinale.
Una dieta amica del microbiota
può portare a spendere in media oltre 100 kcal in più al giorno rispetto a una dieta di tipo occidentale, notoriamente poco propensa a supportare il microbiota. Se i sembra poco immaginate che 10 kcal in più ogni giorno vogliono dire un kg in più in un anno.
Il vantaggio è dato soprattutto dalla maggiore escrezione di energia con le feci, energia che non viene metabolizzata nonostante fosse presente nel cibo, portando così a un maggiore spreco. Nell'altro caso si parla invece di "microbiota risparmiatore", ossia che tende a estrarre tutta l'energia possibile.
"Le comunità microbiche nell'intestino hanno un profondo impatto sull'endocrinologia, sulla fisiologia e sul bilancio energetico dell'ospite dei mammiferi.
La comunità scientifica si è recentemente riorientata verso interventi sulla popolazione che promuovono piccoli cambiamenti nell'assunzione e nel dispendio energetico come mezzo per prevenire l'aumento di peso. Questo studio dimostra il potenziale per attuare il principio dei "piccoli cambiamenti" attraverso il consumo di cibi integrali per modulare il microbioma intestinale. Un principio così semplice potrebbe essere un utile strumento a livello di popolazione per combattere l'epidemia globale di obesità. Gli esperimenti futuri dovrebbero concentrarsi sui meccanismi microbici o dell'ospite che sono alla base della grande variabilità interindividuale osservata nella risposta alla consegna di maggiori substrati dietetici ai microbi intestinali. Questi meccanismi possono quindi essere presi di mira con approcci nutrizionali di precisione".
Una revisione comprendente 9 studi conferma che focalizzare le calorie nella prima parte della giornata porta a un dimagrimento maggiore e a un miglioramento dello stato metabolico (colesterolo, glicemia, resistenza insulinica) rispetto a una dieta con la stessa quantità di calorie ma assunte più tardi.
"La maggiore perdita di peso osservata anticipando i pasti può essere dovuta alla superiore sincronizzazione dei ritmi circadiani periferici e centrali nel corpo. È stato dimostrato che gli orari di alimentazione sono un segnale ambientale chiave per i ritmi circadiani periferici: i pasti ritardati forniscono stimoli contrastanti con quelli ricevuti dal nostro centro di controllo circadiano centrale da altri segnali come luce/oscurità, secrezione ormonale e cambiamenti della temperatura corporea. Ciò si traduce in disturbi del metabolismo che possono favorire l'aumento di peso e ostacolare la perdita di peso, nonché aumentare il rischio di malattie metaboliche. È stato anche dimostrato che l'assunzione precoce comporta una termogenesi più elevata e risposte glicemiche inferiori.
Questi orologi periferici includono glucagone, leptina e insulina e i loro recettori e trasportatori. […]
L'attuale revisione rafforza l'evidenza della relazione tra la perdita di peso e la distribuzione dell'apporto energetico totale nell'arco della giornata con la preferenza per i modelli alimentari in cui si mangia prima. Mentre la differenza media nella perdita di peso tra i gruppi era modesta (1,23 kg), mangiare in anticipo può essere uno strumento promettente da utilizzare insieme ad altre strategie dimagranti come la restrizione energetica per migliorare la perdita di peso".
Secondo una revisione degli studi, ridurre la densità energetica (ossia usare alimenti con meno calorie a parità di peso/volume) permette di usare la stessa quantità di cibo ma introdurre meno calorie, perché maggiormente saziante. In questo modo, utilizzando maggiormente il cibo salutare, si può favorire il dimagrimento.
L'esposizione alla luce naturale migliora la glicemia nelle persone diabetiche.
Questo è stato dimostrato in un piccolo gruppo di diabetici che indossavano il dispositivo per il monitoraggio continuo della glicemia (CGM).
Quando esposti alla luce solare le persone avevano una glicemia normale per periodi più lunghi. Anche il quoziente respiratorio (QR) era inferiore e questo indicava una maggiore facilità nell'ossidazione dei grassi.
"Se lavori in un ufficio quasi senza esposizione alla luce naturale, ciò avrà un impatto sul tuo metabolismo e sul tuo rischio... o sul controllo del diabete di tipo 2, quindi cerca di ottenere quanta più luce solare possibile e, idealmente, di uscire all'aperto quando puoi”, ha detto il prof. Habets a PracticeUpdate di Elsevier. “Per ora, sembra che [l’esposizione alla luce naturale] non abbia un’influenza maggiore dei farmaci nell’abbassare i livelli di glucosio. Tuttavia, poiché si sono verificati miglioramenti nella [percentuale di] tempo nell’intervallo target di glucosio e nel QR, è utile valutare e modificare l’esposizione alla luce naturale o artificiale dei pazienti, poiché questa potrebbe essere una facile opportunità per ottenere miglioramenti. "
Gli AGEs si formano con la cottura ad alte temperature, in particolare quando proteine e carboidrati sono presenti contemporaneamente (reazione di Maillard).
I ricercatori hanno dimostrato nel modello animale che la presenza di AGEs aumenta l'appetito per i cibi che li contengono, quindi soprattutto prodotti da forno, dolci e simili.
Questo succede perché alcuni geni favoriscono la dipendenza in modo da farci accumulare grasso da utilizzare nei periodi di carestia. In particolare la mutazione di un gene chiamato glod-4, implicato nella detossificazione, aumenta la dipendenza da AGEs.
Gli AGEs causano infiammazione e stress ossidativo che inducono danno alle arterie, ipertensione, malattie renali, cancro e problemi neurologici. La capacità di detossificare queste sostanze si riduce con l'età e favoriscono l'invecchiamento.
"Ci sono cose semplici che chiunque può fare per ridurre il carico di AGEs nel proprio corpo, ha affermato Kapahi, tra cui mangiare cereali integrali (la fibra aiuta a mantenere stabili i livelli di glucosio), cucinare con calore umido anziché secco (ad esempio, cuocere al vapore anziché friggere o grigliare) e l'aggiunta di acido durante la cottura dei cibi che rallenta la reazione che porta alla formazione di AGEs, per esempio il succo di limone".
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