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domenica 4 settembre 2022

L'infiammazione, causa di tanti problemi/bis

 Continua qui il post sulla relazione tra stato infiammatorio e nutrienti.

Aggiornamento 8/9/2022

Secondo una revisione degli studi la supplementazione con omega 3 può diminuire i livelli sierici di TNF-α, IL-6 e CRP, tre marcatori associati all'infiammazione. "I pazienti con malattie la cui patogenesi è correlata all'infiammazione cronica, come cancro, malattie renali, diabete mellito e malattie cardiache, possono beneficiare dell'integrazione di omega 3". Sia EPA che DHA, i 2 principali omega 3, hanno effetto da singoli, ma se usati contemporaneamente l'effetto è migliore e sinergico.

Aggiornamento 26/9/2022

Nelle malattie autoimmuni, a causa di un'interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali si scatena un'infiammazione che altera il funzionamento delle cellule e del sistema immunitario. Le proresolvine, derivati degli omega 3, possono fermare questa infiammazione cronica che concorre alla malattia in maniera diversa dagli antinfiammatori, non bloccandola ma favorendo la sua risoluzione.

"La sclerosi multipla (SM) è attualmente una malattia neurologica incurabile e non traumatica con gravi implicazioni emotive ed economiche. L'infiammazione è considerata un attore importante nella sua patogenesi poiché la mancata risoluzione dell'infiammazione è il fattore unificante delle condizioni patologiche in diverse malattie infiammatorie. Sebbene siano disponibili diversi regimi farmacologici e approcci riabilitativi per la gestione di questa malattia, al momento non sono disponibili strategie efficaci per modulare l'alterazione del sistema immunitario che attacca diversi componenti del sistema nervoso. I farmaci disponibili per il trattamento sono associati a sostanziali effetti avversi che complicano ulteriormente la gestione di questa malattia debilitante. Pertanto, le terapie esistenti possono solo ritardare in una certa misura la progressione della malattia, ma un approccio curativo o riparativo per invertire il danno causato alla mielina rimane elusivo".
Le proresolvine sono un trattamento potenziale e promettente per la SM da verificare negli studi clinici.


Aggiornamento 28/9/2022


Un po' di aggiornamenti su proresolvine, derivati degli omega 3 che favoriscono la risoluzione dell'infiammazione cronica, ed eccesso di peso. La condizione di sovrappeso spesso si lega a un infiammazione di basso grado che è alla base delle patologie collegate, diabete, malattie cardiovascolari e simili.
La mancanza di proresolvine è alla base di questa infiammazione cronica, che forniscono segnali fondamentali per bloccarla.
Insulinoresistenza, pressione alta, steatosi epatica, stress ossidativo, tutte caratteristiche della sindrome metabolica, possono migliorare con le proresolvine. Anche l'infiammazione e la permeabilità intestinale possono migliorare, insieme a un effetto di modulazione del microbiota.
Nei diabetici che si sottopongono a chirurgia bariatrica, la remissione del diabete non avviene in chi ha bassi livelli di proresolvina maresina 1.
Nonostante gli studi sull'uomo siano ancora pochi, il loro uso è promettente.


Aggiornamento 2/10/2022

Diverse prove mostrano che sia negli animali che nell'uomo la restrizione calorica (CR) può avere dei vantaggi in termini di riduzione dell'infiammazione, agendo anche sull'espressione dei geni, sui segnali cellulari (citochine) e sul microbiota.
Tuttavia tra gli effetti collaterali a lungo termine possono esserci: alterazioni della composizione corporea, aumento della sensibilità al freddo, riduzione della forza muscolare, irregolarità mestruali, infertilità, perdita della libido, osteoporosi , guarigione lenta delle ferite, ossessione per il cibo, irritabilità e depressione. Inoltre la CR non assicura vantaggi se utilizzata in tarda età.

Aggiornamento 8/10/2022

Perché l'infiammazione cronica non sparisce con i farmaci? I farmaci antinfiammatori (FANS) agiscono sulle vie dei mediatori dell'infiammazione, bloccandole. Ma in questo modo bloccano anche la produzione di proresolvine, sostanze che favoriscono la fase di risoluzione dell'infiammazione cronica. Con la risoluzione si ha la "rimozione" delle scorie provocate dallo stato infiammatorio e la riparazione dei tessuti, con ritorno alla normale funzione. Ma se questa fase non arriva l'infiammazione rimane cronica, con conseguenti dolori, problemi metabolici e invecchiamento delle strutture



Aggiornamento 4/11/2022

La principale differenza nel consumo tra comune zucchero da tavola (saccarosio) e il fruttosio industriale appare essere l'aumento dei parametri infiammatori indotto dal fruttosio, mentre non ci sono differenze significative nei parametri metabolici (glicemia, colesterolo ecc.), pressori o antropometrici.

Aggiornamento 11/12/2022

In uno studio sono stati confrontati gli effetti di diverse dosi di EPA (omega 3) sulla depressione non trattata. La dose più alta è stata maggiormente efficace nel ridurre lo stato infiammatorio e i sintomi. La correlazione tra calo degli indici infiammatori (PCR) e dei sintomi è stata evidente.

Aggiornamento 18/12/2022

L'ipoglicemia, bassi livelli di glucosio nel sangue, può colpire i diabetici ma anche persone sane. Si tratta di una condizione che può rappresentare uno stress sia a livello cellulare che sistemico e determina una risposta infiammatoria. Nei diabetici può essere dovuta a un errato uso dei farmaci. Se ripetuta nel tempo diventa un fattore di rischio cardiovascolare. L'effetto è dovuto all'aumento dello stress ossidativo che determina infiammazione e disfunzione endoteliale (stress dei vasi sanguigni). L'ipoglicemia inoltre, come qualsiasi stress, stimola le ghiandole surrenali favorendo una risposta immunitaria infiammatoria e un incremento della tendenza alla formazione di trombi che sono alla base delle malattie cardiovascolari.

Aggiornamento 12/2/2023

L'anastomosi è il collegamento tra le viscere che il chirurgo esegue quando interviene nei viscere, per esempio in chirurgia bariatrica o oncologica nell'intestino. Una chiusura imperfetta (Anastomotic leakage, AL) aumenta il rischio di ricorrenza e la mortalità nel tumore al colon. Nel modello animale si è dimostrato che il microbiota intestinale influenza la guarigione dell'anastomosi. Alcuni batteri aumentano quindi il rischio di una guarigione non corretta mentre altri sembrano favorirla. Questo avviene modulando le citochine infiammatorie e la permeabilità intestinale. L'infiammazione ostacola la guarigione, favorendo l'accumulo di globuli bianchi.
"Il ruolo dell'infiammazione subclinica di basso grado viene riconosciuto in diversi disturbi, come la sindrome dell'intestino irritabile e l'obesità, nonché nella fisiopatologia generale dei tumori gastrointestinali.
I pazienti a rischio di sviluppare AL sarebbero candidati per potenziali trattamenti prima dell'intervento chirurgico mirati al microbiota intestinale, come prebiotici, probiotici e postbiotici per attenuare l'infiammazione del colon, rafforzare la barriera intestinale e migliorare la guarigione anastomotica. Inoltre, gli approcci basati sul microbiota potrebbero essere rilevanti per altri interventi gastrointestinali oncologici e non oncologici, comprese le resezioni dell'intestino tenue, l'escissione del tumore transanale e le operazioni gastroduodenali".

Aggiornamento 8/3/2023

Tra le persone che assumono statine, chi ha livelli di infiammazione alti (riscontrabili col semplice esame della PCR) ha ancora rischio cardiovascolare "residuo".
"[…] i dati (potrebbero suggerire) che è improbabile che raggiungere il target dell'LDL da solo riduca completamente il rischio aterosclerotico e che le vie infiammatorie devono ancora essere completamente "utilizzate" per ridurre i tassi di eventi cardiovascolari fatali e non fatali. Riteniamo che l'uso combinato di terapie ipolipemizzanti e antinfiammatorie aggressive potrebbe diventare in futuro uno standard di cura per la malattia aterosclerotica".
L'alimentazione è uno dei principali determinanti dell'infiammazione, quindi per ridurre il rischio cardiovascolare non basta spolverare le statine sopra i fritti.

Aggiornamento 12/3/2023

Muscoli e artrite reumatoide.

La sarcopenia è un disturbo muscolare scheletrico progressivo e generalizzato che comporta la perdita accelerata di forza e massa muscolare. È tipica dell'anziano malnutrito e colpisce circa una persona su quattro con artrite reumatoide (RA).

Le citochine infiammatorie possono accelerare lo sviluppo della sarcopenia attraverso l'aumento della proteolisi muscolare, l'interruzione dell'auto-rinnovamento delle cellule staminali muscolari e la compromissione diretta della forza delle fibre muscolari.
L'esercizio fisico è attualmente l'intervento più efficace per migliorare la forza e la massa muscolare nelle persone con AR.

I principali fattori di rischio per la sarcopenia sono: Inattività fisica, Fumo, Carenza di vitamina D, Basso apporto dietetico di proteine. Nelle persone con AR si aggiungono, tra gli altri, uso di cortisonici, dolore alle articolazioni, stato infiammatorio.
La vitamina D è fondamentale per la salute dei muscoli e la sua carenza può alterare la funzione mitocondriale e indurre l'atrofia del muscolo scheletrico. I livelli sono proporzionali al rischio di sarcopenia e alla forza e chi non la assume ha rischio maggiore.
Gli studi sottolineano l'importanza di un corretto apporto proteico e di un'eventuale supplementazione per la protezione della massa magra.
L'articolo si conclude invitando i reumatologi a un approccio olistico che punti a considerare anche gli aspetti legati allo stile di vita.


Aggiornamento 27/3/2023

La permeabilità intestinale, con il conseguente ingresso nel sangue di endotossine (LPS), aumenta l'infiammazione e riduce la produzione di testosterone. Questo accade sia in acuto (infezione) che in cronico (disbiosi intestinale o altre cause, anche alimentari). Le osservazioni possono spiegare anche perché i probiotici, che migliorano la permeabilità intestinale, possono migliorare la funzione testicolare.
"Le interazioni tra l'intestino e il sistema immunitario svolgono un ruolo significativo nella salute dei testicoli. Questa scoperta evidenzia la necessità di ulteriori ricerche per esplorare il miglioramento dell'integrità della barriera intestinale come potenziale trattamento per la malattia andrologica".

Aggiornamento 1/5/2023

Gli alimenti industriali aumentano il rischio cardiovascolare. Quali sono i meccanismi?

"La lavorazione può alterare le caratteristiche nutrizionali (contenuto di macro e micronutrienti), fisiche (struttura degli alimenti) e chimiche (presenza di dolcificanti artificiali, additivi e contaminanti neoformati, indice e carico glicemico) degli alimenti in modi che venga alterata la salubrità. I processi industriali possono anche influenzare i comportamenti alimentari a lungo termine, i segnali di sazietà e i sistemi di ricompensa alimentare".

I meccanismi sono molteplici e hanno un effetto sinergico tra loro: "Le interrelazioni fisiopatologiche alla base dell'aterogenesi e nella progressione delle malattie cardiovascolari sono complesse e coinvolgono molteplici vie. Una costellazione di fattori come la disfunzione metabolica, proinfiammatoria, protrombotica, pro-ossidativa ed endoteliale coesistono e si potenziano a vicenda. Esistono una miriade di sfumature. Ad esempio, vari livelli di alterazioni del metabolismo del glucosio attivano specifici pattern infiammatori, mentre i fattori immunitari interagiscono bidirezionalmente con il microbiota intestinale. Inoltre, la maggior parte dei fattori di rischio cardiovascolare gioca un ruolo nell'innescare la disfunzione e le lesioni endoteliali, oltre a mantenere un ambiente molecolare protrombotico e proinfiammatorio. Attraverso questi fattori e attraverso una complessa rete di meccanismi di feedback molecolari, l'aterogenesi si intensifica e si perpetua, culminando con vari eventi cardiovascolari (CVD)".
Il cibo-spazzatura favorisce in diversi modi l'aumento di peso, per esempio saziando e nutrendo meno e innescando fame e dipendenza di alimenti sempre disponibili. Il tessuto adiposo in eccesso, in particolare viscerale, è un fattore di rischio cardiovascolare.
Essendo ricchi in zuccheri e poveri in fibre, inducono iperglicemia e iperinsulinemia, che "aumentano il rischio di CVD promuovendo l'aumento di peso, l'infiammazione, lo stress ossidativo e la disfunzione endoteliale".
Possono inoltre essere ricchi in sale e poveri in potassio, un mix che induce ipertensione, uno dei principali fattori di rischio.
La povertà di fibre seleziona i batteri infiammatori e favorisce la sintesi di TMAO, metabolita infiammatorio, inducendo permeabilità intestinale. Gli emulsionanti aumentano il potenziale infiammatorio.
Gli alimenti ultraprocessati sono una delle principali fonti di AGEs, sostanze che si formano ad alte temperature e aumentano stress ossidativo e infiammazione.
La presenza di grassi trans e grassi saturi privati della matrice è un fattore che favorisce l'aumento dei lipidi plasmatici.
Questi alimenti sono inoltre fonti di interferenti endocrini come BPA, sostanze che alterano la funzioni ormonali e si trovano nel packaging.
L'articolo si conclude invitando le persone alla consulenza nutrizionale: "La consulenza nutrizionale è la pietra angolare della cardiologia preventiva e dovrebbe tenere conto degli alimenti ultra-elaborati, evidenziando i loro effetti metabolici pervasivi, la disponibilità ubiquitaria e le fonti "nascoste" in una varietà di formulazioni alimentari".

Aggiornamento 16/5/2023

Da tempo abbiamo sempre più informazioni sul legame tra malattie autoimmuni e alimentazione. Secondo una revisione pubblicata su Autoimmunity Reviews, rivista di riferimento queste evidenze non possono più essere ignorate dai medici (e purtroppo anche dai nutrizionisti).
Secondo la pubblicazione:
∎ La nutrizione, attraverso le sue proprietà pro e antinfiammatorie, svolge un ruolo importante nella prevenzione e nella gestione dell'artrite reumatoide (AR).
∎ Il consumo di una dieta mediterranea antinfiammatoria integrata con acidi grassi omega-3 è raccomandato in aggiunta al trattamento medico.
∎ Sono necessarie prove di qualità superiore per trarre conclusioni più solide su specifici interventi dietetici per migliorare i risultati dell'AR.
∎ I reumatologi dovrebbero lavorare a stretto contatto con i professionisti della nutrizione per fornire un intervento dietetico più personalizzato ai pazienti con AR.

Altre diete come la glutenfree e la dieta vegetale possono essere d'aiuto in particolari persone. Gli omega 3 hanno un ruolo importante nel ridurre l'infiammazione. Antiossidanti, spezie ed erbe (per esempio aglio, zafferano, zenzero, cannella ecc.) riducono l'infiammazione tramite diversi meccanismi e funzionano bene in sinergia tra loro. Vitamina D, probiotici e vitamina K sono altri supplementi utili.
"In sintesi, le prove esistenti suggeriscono che la nutrizione svolge un ruolo sia nell'insorgenza della malattia RA sia nella gestione della malattia attraverso alimenti (anti)-infiammatori/gruppi di alimenti, sostanze nutritive o anche in alcuni casi restrizioni di alimenti. In effetti, la maggior parte degli studi clinici è limitata in termini di dimensioni del campione, durata e capacità di condurre gli studi "in cieco", quindi è evidente la necessità di studi di migliore qualità. Tuttavia, le prove che collegano la nutrizione e il rischio e la gestione dell'AR si stanno accumulando e non dovrebbero essere ignorate".

Aggiornamento 13/6/2023

In questi anni la tecnologia di produzione del pane è molto cambiata. Si è passati da pani fatti da farine non raffinate, di vari grani e a lievitazione naturale e lenta, all'utilizzo di farine sempre più raffinate e formate solo da grano, addizionate da vari additivi miglioratori del processo (soprattutto per quanto riguarda i tempi) e quindi lievitate in poco tempo. Questo ha ripercussioni sulla salute.
Mentre i primi pani favoriscono una flora non infiammatoria e più diversificata, grazie soprattutto alle fibre che nutrono i batteri buoni e sostengono un microbiota saccarolitico (che lascia meno scarti infiammatori), le metodiche moderne sostengono una flora proinfiammatoria e i patogeni opportunisti, hanno poche fibre, favoriscono la fermentazione proteolitica, determinano permeabilità intestinale che è alla base di molte patologie moderne. In sintesi meglio privilegiare pane fatto come una volta.

Aggiornamento 29/6/2023

Dormire bene è essenziale per non avere malattie croniche perché un sonno alterato riduce la produzione di proresolvine, sostanze fondamentali per la risoluzione dell'infiammazione cronica.
"La compromissione della risoluzione infiammatoria come conseguenza dei disturbi del sonno può spiegare il rallentamento del recupero infiammatorio dai disturbi del sonno. Il presente lavoro suggerisce che i disturbi del sonno contribuiscono allo sviluppo e alla progressione di molte malattie comuni caratterizzate da immunopatologia interferendo con i processi che risolvono attivamente l'infiammazione. Mirare farmacologicamente a questi percorsi in futuro, ad esempio attraverso l'integrazione del precursore delle proresolvine o con proresolvine specifiche può aiutare a limitare le numerose conseguenze negative sulla salute dei disturbi del sonno".

Ottimo articolo sull'infiammazione e la sua risoluzione

Aggiornamento 11/8/2023

L'ipotalamo delle persone sovrappeso può essere più grande (ipertrofico) e infiammato. Questo organello è posto alla base del cervello e regola l'appetito, il bilancio energetico e la composizione corporea. Uno stato infiammatorio è noto per alterare la funzione dell'organo (functio laesa). Per questo avere alterazioni ipotalamiche può far cadere in un circolo vizioso che rende difficile controllare l'appetito e il peso.
Tuttavia i ricercatori scrivono che "il disegno di questo studio non può stabilire una relazione causale e suggeriamo che siano necessarie ulteriori ricerche per stabilire se un volume ipotalamico maggiore sia una causa o un effetto di un peso superiore al normale (non si capisce se sia un'effetto del mangiare di più o chi ha un ipotalamo più grande mangia di più per questo). La cascata infiammatoria di aumentata espressione di citochine infiammatorie, la gliosi indotta dalla dieta, l'alterazione della barriera ematoencefalica (BBB, che "filtra" le informazioni che arrivano all'ipotalamo) e alterazioni vascolari possono esacerbare un'ulteriore disregolazione dei meccanismi omeostatici energetici governati dall'ipotalamo, alterando l'efficacia delle strategie per la perdita di peso. Riteniamo che la ricerca futura dovrebbe tentare di chiarire e identificare le cause del maggiore volume ipotalamico nell'obesità, allo scopo di affrontare le opportunità terapeutiche per un'esigenza di salute pubblica mondiale".

Aggiornamento 4/9/2023

Lo stato infiammatorio è correlato alla depressione e a un minore dimagrimento in persone che si sottopongono a chirurgia bariatrica

La biologia del peso corporeo non è solo una questione di calorie


È uscito uno speciale sulla biochimica del peso corporeo e qui riporto i pezzi più interessanti.


Come spiega la dottoressa Ryan, recuperare il peso dopo averlo perso è una questione biologica, non (esclusivamente) di mancanza di volontà, ma dovuta agli equilibri ormonali che determinano una tendenza a riportare il peso allo stato precedente. Questo nel dimagrimento. Ma in generale perché il peso aumenta?

Dal punto di vista termodinamico aumentare di peso è sicuramente legato all'introduzione di una quantità di calorie maggiore di quella consumata. Ma dal punto di vista biologico le questioni sono più complesse. Ingrassare è una questione genetica e ambientale, ma nessun fattore agisce da solo.


https://quotesgram.com/img/quotes-about-calories/4985001/


La composizione corporea (l'insieme dei tessuti magri e grassi) è regolata da un sistema neuroendocrino che cerca di mantenere il peso a seconda della disponibilità di cibo, autoregolando l'appetito e la spesa energetica (sistema omeostatico, che raggiunge un equilibro e si autoregola). Queste funzioni sono regolate dall'ipotalamo che integra i segnali esterni con le necessità dell'organismo. Questo dovrebbe fare in modo che il peso e la quantità di grasso rimangano approssimativamente costanti negli anni. Tuttavia la spinta edonica (ossia al piacere) di alcuni alimenti può prevalere sulla regolazione omeostatica, determinando il desiderio di consumare cibi altamente appetibili, nonostante non ce ne sia necessità dal punto di vista energetico. Questo è forse il sistema per mettere da parte grasso per i momenti di difficoltà (carestie) e si è evoluto per spingerci a mangiare più del necessario. Alcune persone sono più soggette a questo problema di altri: il fenotipo risparmiatore, che in caso di carestia ha una riserva di grasso che gli permette di sopravvivere.

Alterazioni pesanti degli ormoni ipotalamici e dei neurotrasmettitori dei centri della ricompensa come dopamina e serotonina portano alle abbuffate compulsive.




Uno dei segnali più importanti nel sistema è dato dalla leptina, rilasciata dal tessuto adiposo dopo il pasto. "Nella maggior parte degli esseri umani, il peso corporeo rimane relativamente stabile per lunghi periodi. È autoregolato dalla trasduzione del segnale della leptina, senza controllo cosciente, in maniera simile alla temperatura corporea, alla respirazione e alla pressione sanguigna, e funziona come un "servomeccanismo" per il peso corporeo". Si instaura così un "setpoint" attorno al quale il peso rimane tendenzialmente costante.
L'obesità è quindi favorita da alterazioni del set point dovute a cause ambientali, che inducono inefficacia del segnale leptinico (resistenza leptinica): l'ipotalamo non riceve segnali di sazietà dalla periferia e non aumenta la spesa energetica nonostante si sia introdotto cibo e il sistema di ricompensa non smette di favorire la ricerca del cibo.

La resistenza leptinica è dovuta, tra le altre cose, all'iperinsulinemia, caratteristica del diabete. Infatti nell'ipotalamo insieme ai recettori per la leptina sono presenti anche quelli per l'insulina, e se l'insulina è alta il segnale leptinico viene disturbato con almeno 3 meccanismi (IRS-2, PTP-1B e PI3-kinasi).

"Pertanto, l'insulino-resistenza e l'iperinsulinemia possono portare ad alterazioni centrali della segnalazione della leptina nel sistema nervoso centrale, con conseguente "fame cerebrale" che stimola l'appetito e un aumento di peso persistente".
Nonostante si sia mangiato, è come se la persona fosse digiuna o quasi, non avrà termogenesi post prandiale e continuerà a cercare il cibo. E come detto chi ha resistenza insulinica è più a rischio di alterato segnale leptinico, quindi chi ha prediabete o diabete ha ulteriore difficoltà a mantenere il peso.

Le cause dell'obesità sono quindi un insieme di background genetico, stimoli ambientali, alimentazione ed esercizio fisico, ma chiaramente ogni persona avrà un mix diverso di queste componenti. Anche alcuni virus (nell'uomo Adenovirus 36) sono stati associati a obesità.
"L'apporto calorico in eccesso fa accumulare grasso ogni volta che è maggiore del dispendio energetico. Tuttavia, questa spiegazione è eccessivamente semplicistica. L'aumento dell'apporto calorico è correlato all'aumento di peso, ma non spiega il meccanismo per cui mangiamo di più. Inoltre, l'obesità ha origini multifattoriali e l'alimentazione è più complessa del semplice conteggio delle calorie. In effetti, non tutte le calorie sono equivalenti. Un'ipotesi alternativa interessante è che l'iperinsulinemia sia il fattore principale che guida l'accumulo di energia e l'aumento di peso. Secondo questo modello (carboidrati-insulina), l'aumento della deposizione di grasso risultante da un'esagerata risposta insulinica ad alimenti specifici (es. carboidrati raffinati e zucchero) che spinge un bilancio energetico positivo portando all'obesità.

A livello calorico "l'efficienza nel catturare le calorie e trasformarle in energia chimica nel corpo umano è altamente variabile. La comprensione di questi vari fenomeni mostra che, in effetti, "una caloria non è una caloria" e c'è una differenza effettiva tra mangiare una manciata di mandorle e una ciambella, anche se il loro conteggio calorico può essere identico" in una bomba calorimetrica, lo strumento che misura il valore calorico di un alimento.

Così ogni nutriente influenza in maniera diversa spesa energetica e di conseguenza la composizione corporea.
Le proteine hanno un effetto termico più alto degli altri macronutrienti, ossia il corpo deve investire energia per utilizzarle.

Le fibre possono ridurre l'assorbimento di nutrienti e quindi di calorie. La loro assenza può favorire la permeabilità intestinale e quindi problemi infiammatori. mentre la loro metabolizzazione porta alla produzione di SCFA che modulano positivamente la salute e la secrezione insulinica.

Tra i grassi, il loro tipo influenza la salute, ma in maniera ancora molto controversa e diversa tra gli individui. Il legame trans dei grassi industriali non può essere metabolizzato nei mitocondri, mentre i grassi polinsaturi vanno a formare le membrane cellulari.

Tra gli zuccheri, il fruttosio va tutto al fegato e se si supera la sua capacità di metabolizzazione mitocondriale (come accade quando beviamo una bibita zuccherata) viene convertito in grassi. Inoltre questo zucchero non blocca la grelina e quindi non stimola la sazietà, oltre a creare dipendenza. Per tutti questi motivi si può ritenere che il fruttosio industriale favorisca l'aumento di peso.

L'indice glicemico, che misura la velocità con il quale la glicemia sale in seguito a un pasto e ha quindi influenza sul quantitativo insulinico, può essere predittivo dell'aumento di peso, oltre ad avere un legame con lo stato infiammatorio.

L'insulinoresistenza, l'inferiore capacità dell'insulina di svolgere la sua azione rispetto a quanto atteso, può favorire la deposizione di grasso. I tessuti che possono diventare resistenti sono cervello, tessuto adiposo, fegato e muscolo. La reazione del pancreas è di rilasciare più insulina (iperinsulinemia) e questo peggiora le cose. Nel fegato favorisce la formazione di grasso (lipogenesi) e la sua deposizione (steatosi epatica). Nel cervello come già detto altera i segnali di sazietà e dispendio energetico. Nel tessuto adiposo porta all'attivazione della lipasi e continuo rilascio di grassi che infiammano l'organismo.

Altri fattori sono l'infiammazione (l'eccesso di nutrienti favorisce uno stato infiammatorio postprandiale, ma l'infiammazione sistemica è presente solitamente in persone con eccesso di tessuto adiposo, con alterazione delle funzioni metaboliche), il microbiota (spesso alterato nel sovrappeso, influisce sulla spesa energetica e sulla salute), i ritmi circadiani (non seguire i corretti orari provoca insulinoresistenza e favorisce l'accumulo di grasso).

Il microbiota ha un ruolo attivo nella gestione del peso corporeo, metabolizzando i nutrienti e così influenzando qualsiasi attività metabolica e malattia legata (insufficienza renale, diabete, steatosi epatica, malattie neurodegenerative ecc.). La disbiosi promuove l'infiammazione e l'espansione del tessuto adiposo.

L'alterazione dei ritmi circadiani e del sonno, alterando gli ormoni e la loro funzione, è fortemente legata alla composizione corporea.

Gli eventi della gravidanza tra cui lo stress e l'eccesso o la penuria dei nutrienti influenzano l'accumulo di grasso negli anni successivi, con i meccanismi epigenetici di segnatura del DNA (regolazione dell'espressione genica).



Un altro fattore che purtroppo non si considera spesso, basta guardare la maleducazione e gli scarsi rispetto e considerazione per l'ambiente che si vede in giro, è l'inquinamento, che colpisce sotto forma di obesogeni. Gli obesogeni sono sostanze che in generale stimolano la crescita della massa adiposa e sono una poco considerata causa dell'epidemia di obesità.
Purtroppo il nostro stile di vita ci espone a degli inquinanti che interferiscono con il sistema di mantenimento del peso corporeo, "fissando" il limite più in alto e settandosi su una quantità maggiore di grasso. Gli interferenti endocrini sono una causa ormai riconosciuta di aumento di peso e tutti noi ne siamo esposti, chi più chi meno.
"Gli obesogeni sono presenti nel nostro ambiente e sono stati identificati in polvere, acqua, contaminazione degli alimenti, alimenti trasformati (compresi gli additivi alimentari), imballaggi per alimenti, contenitori per alimenti e conservazione, cosmetici e prodotti per la cura personale, mobili ed elettronica, inquinamento atmosferico e solventi, disinfettanti, pesticidi, filtri solari, plastica e plastificanti, dolcificanti, alcuni antidepressivi e farmaci antidiabetici e prodotti comuni per la casa".




Sfortunatamente infatti si tratta ormai di sostanze presenti nella nostra vita quotidiana e che possono avere tempi di degradazione lunghissimi, sia al di fuori che entro il nostro corpo.
I meccanismi di azione sono diversi, ma in parte sovrapponibili a quelli citati nella prima parte: azione epigenetica (segnatura sul DNA che influenza anche le generazioni future), sui recettori per gli ormoni, induzione di stress ossidativo e infiammazione, azione diretta sugli organi metabolici come fegato, cervello e tessuto adiposo. Anche il muscolo può risentirne, diventando resistente all'insulina e meno performante.
Altri meccanismi di interazione possono essere induzione di disbiosi e alterazione dei ritmi circadiani (si dorme meno). L'infiammazione e lo stress ossidativo generano disfunzione mitocondriale, quindi i mitocondri non ossidano i grassi e non producono ATP ai livelli corretti, ma anzi producono specie reattive (ROS) che sono a loro volta infiammatorie. Inoltre gli obesogeni possono alterare le sirtuine (proteine che proteggono i mitocondri) e facilitare l'insorgenza di disturbi del comportamento alimentare (fame compulsiva).

Gli obesogeni agiscono incrementando direttamente o indirettamente la grandezza o il numero degli adipociti (e mi dispiace per quelli che ancora sono convinti che il numero degli adipociti non aumenti dopo l'adolescenza: è falso e attuale quanto La casa nella prateria).

Secondo la revisione sono stati individuati una cinquantina di obesogeni, e i principali sono: nicotina (soprattutto il fumo nei genitori, con ripercussioni epigenetiche), farmaci (antidepressivi, cortisonici, glitazoni, BPA e suoi analoghi, ftalati, inquinamento atmosferico, stagno (TBT e DBT), ritardanti di fiamma come i polibromodifenileteri (PBDE) o quelli organofosfati (OPFR), pesticidi e DDT, diossine e PCB, PFAS (forse si è trovato un modo per degradarli), alcuni dolcificanti, pesticidi (Chlorpyrifos in particolare), parabeni (conservanti dei cosmetici), emulsionanti, metalli pesanti (cadmio e arsenico).
Trai potenziali troviamo glifosato, la polvere di casa (si ritrovano insiemi di sostanze come PFAS e ritardanti), triclosan (disinfettante).

Gli obesogeni agiscono anche alterando gli ormoni ipotalamici che gestiscono appetito e composizione corporea: aumentano NPY e AgRP, ormoni oressigeni, mentre riducono POMC, ormone della sazietà stimolato dalla leptina.

Alcuni composti naturali, nei modelli animali, possono ridurre gli effetti degli obesogeni e aiutare a disintossicare il corpo. Per esempio vitamina E, Nigella sativa, crocina (zafferano) e resveratrolo inibiscono gli effetti negativi del BPA. Gli antiossidanti contrastano PCB e BPA.

In generale gli effetti negativi vengono esaltati dalla dieta occidentale ma ridotti dalla dieta mediterranea ricca in antiossidanti e fibre.

Aggiornamento 11/9/2022

Lo iodio in eccesso può essere considerato un interferente endocrino perché inibisce la produzione di ormoni tiroidei.

Aggiornamento 21/9/2022

Uno studio non ancora revisionato può suggerire alcune differenze tra diete a basso contenuto di grassi o carboidrati, ovvero le calorie da grassi possono essere diverse da quelle di carboidrati, almeno negli effetti. Le diete lowfat vanno a stimolare meno il sistema di ricompensa e rendono più difficile mantenere la dieta nel lungo periodo, con un aumento del tono della dopamina e conseguente maggiore consumo successivo di cibi gratificanti ricchi di grassi e carboidrati.
Lo studio è fatto su poche persone e ha quindi necessità di essere replicato su numeri più grandi ma potrebbe spiegare la tendenza a riprendere peso soprattutto in alcune persone predisposte per il consumo di alimenti spazzatura.

Aggiornamento 9/10/2022

La dieta occidentale modula il microbiota e il sistema immunitario in modo da favorire l'aumento di peso.
In particolare lo zucchero favorisce la crescita del batterio Faecalibaculum rodentium, che blocca particolari cellule immunitarie, le Th17.
Le cellule Th17 indotte dal microbiota proteggono dall'obesità indotta dalla dieta e dalle malattie metaboliche come il diabete.
Lo zucchero riduce le cellule Th17 commensali e aumenta il rischio di malattie metaboliche e obesità, perché senza queste cellule vengono assorbiti maggiormente i grassi della dieta.
"Le cellule Th17 potrebbero aiutare a prevenire l'aumento di peso e le malattie metaboliche. Gli studiosi hanno scoperto che, normalmente, le cellule Th17 aiutano a rallentare l'assorbimento di alcuni grassi alimentari nelle cellule intestinali e riducono l'infiammazione nell'intestino. Senza le cellule Th17, l'assorbimento dei grassi e l'infiammazione intestinale sono aumentati.
Il nostro lavoro descrive un'intricata rete di interazioni tra componenti alimentari, microbiota e cellule immunitarie intestinali che regolano condizioni metaboliche come l'obesità indotta dalla dieta, sindrome metabolica e diabete. I nostri risultati suggeriscono anche che gli effetti degli interventi dietetici e immunitari sulle condizioni metaboliche non sono universali. I futuri approcci terapeutici della medicina di precisione dovrebbero tenere conto delle variazioni individuali del microbiota che funziona come un immunomodulatore".

Aggiornamento 11/10/2022


Provo a riassumere un'interessantissima e complessa review sui legami tra ritmi circadiani e nutrizione: non seguire correttamente i ritmi fisiologici del corpo (mangiare di giorno, dormire di notte) fa funzionare male il corpo.
Più nel dettaglio: si altera la secrezione di insulina e il suo funzionamento (resistenza insulinica), predisponendo al diabete e al deposito di grasso. Si altera il microbiota, favorendo l'infiammazione e l'accumulo di grasso. Si riduce la termogenesi e quindi il dispendio energetico. Si altera il ritmo corretto di anabolismo e catabolismo dei grassi, riducendo la loro ossidazione. Alterazione della comunicazione tra tessuti che gestiscono il ritmo, con tendenza a immagazzinare l'energia come grassi. Alterazione dei corretti ritmi tra fase antinfiammatoria e proinfiammatoria, con supporto della seconda. Alterazione del sonno e degli endocannabinoidi con aumento della fame edonica per cibi dolci. Dominanza del sistema simpatico sul parasimpatico con aumento della pressione, della glicemia e dei problemi intestinali. Alterazione del segnale leptinico con riduzione della sazietà e della spesa energetica.

Aggiornamento 27/10/2022

Il time restricted feeding (TRF), mangiare solo in una certa finestra temporale durante il giorno, è una metodica promettente per migliorare la composizione corporea.
Un'indagine sui topi mostra come questa metodica funzioni anche perché fa aumentare il dispendio energetico nel tessuto adiposo, se i topi mangiano solo durante la notte (i topi hanno i ritmi circadiani invertiti rispetto all'uomo).
Aumenta infatti la produzione di calore (termogenesi) grazie alla dissipazione di calorie indotta dai cicli futili, in particolare dal creatinfosfato che viene "ricaricato" e scisso in modo da sprecare energia.
Al contrario i topi che mangiano di giorno non hanno questa termogenesi e accumulano più calorie, ingrassando.
"Alimentarsi negli orari sbagliati altera la termogenesi: negli adipociti termogenici, la creatina chinasi B (CKB) e la fosfatasi alcalina non specifica del tessuto (TNAP) lavorano in tandem per accelerare il turnover dell'adenosina trifosfato (ATP) in adenosina difosfato (ADP) attraverso il ciclo futile della creatina. Questo percorso termogenico guida l'ossidazione dei nutrienti e il consumo di ossigeno. L'espressione di CKB e l'abbondanza di creatina sono regolate in modo circadiano, raggiungendo il picco quando il dispendio energetico è più alto (di notte nei topi). Quando i topi vengono nutriti durante la notte, quando sono più attivi e le vie termogeniche sono più altamente espresse, sono più resistenti all'obesità rispetto ai topi che ricevono un'alimentazione nelle ore di luce.
In contesti in cui gli esseri umani sperimentano cambiamenti rapidi o frequenti negli orari di alimentazione a causa del lavoro su turni, della perdita di sonno o dell'esposizione alla luce blu, il disallineamento tra l'alimentazione e la fase circadiana endogena della termogenesi nel tessuto adiposo può esacerbare la malattia metabolica. Proponiamo che l'allineamento dell'alimentazione con i ritmi termogenici intrinseci possa essere alla base dei benefici salutari del TRF".

Aggiornamento 21/11/2022

Il time restricted eating, una forma di digiuno intermittente, può essere utile per il dimagrimento di persone normopeso o sovrappeso, con miglioramenti di alcuni parametri metabolici e della percentuale di grasso.
I miglioramenti possono verificarsi anche senza restrizione calorica e sembrano legati all'allineamento dei pasti coi ritmi circadiani naturali.

Aggiornamento 4/12/2022

La riduzione delle proteine può portare il corpo a desiderare maggiormente il cibo spazzatura, che nonostante non sia ricco di proteine, fornisce energia pronta e va a supplire la carenza. La necessità umana di proteine "spinge" il consumo eccessivo di grassi e carboidrati, dato che le proteine sono contenute "diluite" in questi alimenti. Gli autori chiamano questo meccanismo "leva proteica" e risulta supportato sia da studi RCT che da osservazioni nel mondo reale.
Nello studio l'introito energetico totale è inversamente proporzionale alla concentrazione proteica del pasto e queste calorie vengono in particolare dai cibi altamente palatabili.
Questo meccanismo può essere tra i responsabili dell'epidemia di obesità, in quanto favorisce nel complesso un bilancio energetico positivo e non fornisce una sufficiente quantità di proteine per sostenere la massa magra.
Gli autori dello studio sottolineano anche che le diete delle zone blu (quelle con la maggiore longevità e migliore salute generale) sono solitamente a contenuto proteico medio-basso, ma contemporaneamente a scarso contenuto di carboidrati a veloce assorbimento. In tale contesto la presenza di fibre contrasterebbe la fame indotta dal minor apporto proteico, favorendo in generale una migliore salute.

Aggiornamento 8/12/2022

La conferma che i probiotici sono utili con gli antibiotici arriva da una revisione sistematica dei dati. Il lavoro ha infatti dimostrato l'utilità dei probiotici durante la somministrazione di antibiotici.
Gli studi riportano una riduzione della diarrea (e altri problemi intestinali) associata ad antibiotici e un aumento del tasso di eradicazione di H. pylori. La maggior parte degli studi ha evidenziato che la somministrazione aiuta a preservare l'alfa diversità (variabilità delle specie all'interno di un campione).
Akkermansia, lattobacilli e Colinsella sono le specie che aumentano, mentre i bifidi si riducono anche con la somministrazione di probiotico. Akkermansia riduce il rischio di sovrappeso e malattie intestinali. Si riducono inoltre, rispetto al solo antibiotico, gli aumenti di Firmicutes e Proteobacteria, generi legati alla disfunzione metabolica.
Gli autori concludono che secondo l'evidenza attuale è corretto prescrivere i probiotici insieme ai cicli di antibiotici.

Aggiornamento 21/12/2022

L'abbondanza del microbiota appare essere correlata con una migliore composizione corporea (perdita di grasso addominale) e con il successo a lungo termine in una dieta dimagrante. Ecco perché cercare di fare sempre una dieta che sia amica dei microbi intestinali e non semplicemente un taglio calorico. 

Aggiornamento 2/1/2023

Aumentano i lavori che mostrano i legami tra microbiota e metabolismo energetico. Un gruppo di ricercatori ha evidenziato che è possibile mettere il relazione l'energia "estratta" dalla dieta con il tipo di microbi nell'intestino. Esistono 3 tipi di microbiota generici (con infinite sfumature) in base alla prevalenza di alcune specie: tipo B (Bacteroides), tipo R (Ruminococcaceae) e tipo P (Prevotella).
Il tipo B ha bassa diversità, veloce transito intestinale e bassa proteolisi ed è quello che estrae più energia dalla dieta. Nelle feci di queste persone si ritrovano pochi elementi ancora in grado di fornire calorie. Nello studio le persone con questo tipo di microbiota hanno un peso maggiore. Il tipo B è associato alla dieta di tipo occidentale (poche fibre e molti alimenti industriali) mentre il tipo P caratterizza persone con maggiore introduzione di alimenti non processati e fibre. Il tipo R ha maggiore proteolisi (digestione delle proteine) e chi lo possiede è più magro. Contrariamente a quanto ipotizzabile le persone con transito più lento avevano minore estrazione di calorie.

Aggiornamento 4/2/2023

Assumere olio MCT nei giorni precedenti all'inizio della dieta chetogenica dimagrante (VLCKD) aumenta il dimagrimento nella fase attiva facilitando l'ingresso in chetosi.

Aggiornamento 11/2/2023

Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine ​​e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.

Aggiornamento 21/4/2023

L' European Food Safety Authority (EFSA) ha aggiornato la dose sicura di bisfenolo A, riducendola di 20 mila volte. Si tratta di un composto plastico che si accumula nella catena alimentare e mima l'effetto degli ormoni come gli estrogeni. Fa parte quindi degli interferenti endocrini. Adesso gli stati europei dovranno recepire la direttiva e ridurre i limiti di BPA a cui siamo esposti.

Aggiornamento 7/5/2023

Sono stati individuate 60 proteine espresse nel sistema nervoso centrale implicate nel controllo del peso corporeo.
Queste proteine spiegano l'interazione tra cervello e l'ambiente alimentare, che è notevolmente cambiato negli ultimi decenni. Il ricercatore dr. Arsenault ha spiegato: "Questa relazione potrebbe influenzare i comportamenti alimentari e l'accumulo di energia. Il peso non è una scelta né un'abitudine di vita. Non abbiamo un peso corporeo elevato perché siamo pigri o ci manca la forza di volontà. Sono in gioco meccanismi neuronali inconsci. Il cervello è quello che comanda. Spero che i risultati di questo studio possano in parte spiegare perché il peso corporeo varia così tanto da una persona all'altra".

Aggiornamento 12/5/2023

Le persone con anoressia nervosa hanno un particolare microbiota che contribuisce alla patologia, aumentando la sazietà, riducendo l'appetito, alterando la termogenesi e la spesa energetica, favorendo la degradazione dei neurotrasmettitori e così modificando la comunicazione tra intestino e cervello

Aggiornamento 5/6/2023

Il microbiota, l'insieme dei nostri microbi in particolare intestinali, ha una discreta influenza sul peso mediante diversi meccanismi.
Durante lo sviluppo influenza la crescita dei tessuti e la loro infiammazione; Influenza fame e sazietà tramite i metaboliti (SCFA) e i neurotrasmettitori e altre molecole che mimano l'azione degli ormoni, modulano la ricompensa del cibo; nel fegato influenzano gli acidi biliari e le vie metaboliche che fanno produrre grassi e carboidrati (lipogenesi e gluconeogenesi); nel tessuto adiposo influenzano la quantità di grassi immagazzinati, la loro ossidazione e la termogenesi; nell'intestino digeriscono nutrienti traendo più calorie dalla dieta e influenzano infiammazione e sistema immunitario modulando la permeabilità intestinale.

Aggiornamento 26/6/2023

Una dieta amica del microbiota può portare a spendere in media oltre 100 kcal in più al giorno rispetto a una dieta di tipo occidentale, notoriamente poco propensa a supportare il microbiota. Se i sembra poco immaginate che 10 kcal in più ogni giorno vogliono dire un kg in più in un anno.
Il vantaggio è dato soprattutto dalla maggiore escrezione di energia con le feci, energia che non viene metabolizzata nonostante fosse presente nel cibo, portando così a un maggiore spreco. Nell'altro caso si parla invece di "microbiota risparmiatore", ossia che tende a estrarre tutta l'energia possibile.
"Le comunità microbiche nell'intestino hanno un profondo impatto sull'endocrinologia, sulla fisiologia e sul bilancio energetico dell'ospite dei mammiferi.
La comunità scientifica si è recentemente riorientata verso interventi sulla popolazione che promuovono piccoli cambiamenti nell'assunzione e nel dispendio energetico come mezzo per prevenire l'aumento di peso. Questo studio dimostra il potenziale per attuare il principio dei "piccoli cambiamenti" attraverso il consumo di cibi integrali per modulare il microbioma intestinale. Un principio così semplice potrebbe essere un utile strumento a livello di popolazione per combattere l'epidemia globale di obesità. Gli esperimenti futuri dovrebbero concentrarsi sui meccanismi microbici o dell'ospite che sono alla base della grande variabilità interindividuale osservata nella risposta alla consegna di maggiori substrati dietetici ai microbi intestinali. Questi meccanismi possono quindi essere presi di mira con approcci nutrizionali di precisione".

Aggiornamento 25/7/2023

Una revisione comprendente 9 studi conferma che focalizzare le calorie nella prima parte della giornata porta a un dimagrimento maggiore e a un miglioramento dello stato metabolico (colesterolo, glicemia, resistenza insulinica) rispetto a una dieta con la stessa quantità di calorie ma assunte più tardi.
"La maggiore perdita di peso osservata anticipando i pasti può essere dovuta alla superiore sincronizzazione dei ritmi circadiani periferici e centrali nel corpo. È stato dimostrato che gli orari di alimentazione sono un segnale ambientale chiave per i ritmi circadiani periferici: i pasti ritardati forniscono stimoli contrastanti con quelli ricevuti dal nostro centro di controllo circadiano centrale da altri segnali come luce/oscurità, secrezione ormonale e cambiamenti della temperatura corporea. Ciò si traduce in disturbi del metabolismo che possono favorire l'aumento di peso e ostacolare la perdita di peso, nonché aumentare il rischio di malattie metaboliche. È stato anche dimostrato che l'assunzione precoce comporta una termogenesi più elevata e risposte glicemiche inferiori.
Questi orologi periferici includono glucagone, leptina e insulina e i loro recettori e trasportatori. […]
L'attuale revisione rafforza l'evidenza della relazione tra la perdita di peso e la distribuzione dell'apporto energetico totale nell'arco della giornata con la preferenza per i modelli alimentari in cui si mangia prima. Mentre la differenza media nella perdita di peso tra i gruppi era modesta (1,23 kg), mangiare in anticipo può essere uno strumento promettente da utilizzare insieme ad altre strategie dimagranti come la restrizione energetica per migliorare la perdita di peso".

Aggiornamento 26/7/2023

Secondo una revisione degli studi, ridurre la densità energetica (ossia usare alimenti con meno calorie a parità di peso/volume) permette di usare la stessa quantità di cibo ma introdurre meno calorie, perché maggiormente saziante. In questo modo, utilizzando maggiormente il cibo salutare, si può favorire il dimagrimento.