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lunedì 28 agosto 2023

Quanto sono fico

 

I fichi, l’infruttescenza della pianta di Ficus carica appartenente alla famiglia delle Moraceae, sono tipicamente estivi e originari della Caria, regione dell’Asia Minore, ma poi diffusi in tutto il bacino mediterraneo. Sono ritenuti simbolo di longevità, anche grazie alle loro proprietà benefiche. Non si tratta di frutti veri e propri, ma vengono definiti “siconi”, falsi frutti con all’interno i granuli che costituiscono il vero frutto.



Il fico è noto per alcune caratteristiche benefiche legate alla presenza di diversi nutrienti. Queste proprietà sono presenti sia nel prodotto fresco che essiccato e sono dovute ai composti bioattivi, in particolare quelli di colore scuro.

I numerosi composti benefici del fico come fenoli, flavonoidi, quercetina, triterpeni, rutina, acido ferulico e tanti altri, hanno dimostrato nei modelli animali e in studi su umani di favorire gli effetti positivi di questo alimento.

La letteratura scientifica attribuisce al fico attribuisce al fico attività antimicrobica, antidiabetica, antinfiammatoria e analgesica, anticonvulsivante e anti-neurodegenerativa, citotossica e antiossidante. 

Il potenziale effetto antidiabetico è legato al miglioramento dell’azione dell’insulina, con un rallentamento dell’assorbimento del glucosio e un miglioramento del suo ingresso nelle cellule muscolari, insieme alla modulazione del metabolismo glicemico nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo. Inoltre l’effetto antiossidante contrasta i radicali liberi e riduce l’infiammazione che è corresponsabile della glicemia alta. Tra i principali antiossidanti che modulano il metabolismo glucidico troviamo kampferolo (tipico anche dei capperi), quercetina, balcaleina, naringenina, ficusina.

In Marocco foglie e frutti sono considerati una medicina tradizionale per il diabete. 

Sono state evidenziate anche proprietà antitumorali, sia in termini di prevenzione che di potenziale terapeutico, nei confronti di diversi tipi di tumore, tra cui stomaco, seno, polmone e intestino. Infatti gli studi animali indicano forti evidenze per gli effetti antiproliferativi dei composti presenti nel fico, tali da poter supportare le terapie convenzionali.

Quercetina e rutina presenti nel fico sono noti anche per il loro effetto senolitico. Si tratta di molecole capaci di favorire l’apoptosi (morte cellulare programmata) delle cellule senescenti. Queste cellule si accumulano nei tessuti andando avanti con l’età e non vengono rimosse. Il loro effetto è quello di disturbare il metabolismo energetico e non solo. La loro abbondanza è legata alle malattie tipiche dell’invecchiamento, come diabete, malattie neurodegenerative, tumori, sarcopenia ecc. Attualmente studi preliminari mostrano che favorendo la loro rimozione si contrasta il processo di aging

I fichi d’India invece sono i prodotti (bacche carnose) della pianta Opuntia ficus indica, cactacea originaria del Centro America ma diffusa in tutto il bacino del Mar Mediterraneo.




In termini generali sono state riportate numerose proprietà benefiche nell’assunzione di fichi d’india.

Grazie al suo alto contenuto di antiossidanti, tra cui flavonoidi, vitamina C, pigmenti, carotenoidi e betalaina, acidi fenolici e altri componenti fitochimici (biopeptidi e fibre solubili), il frutto ha dimostrato attività biologica contro acne, artrosi, dermatiti, diabete, diarrea, febbre, ipertensione, prostatite, reumatismi, mal di stomaco, verruche, allergie, colite e alcune malattie virali, favorendo inoltre la guarigione delle ferite. Interessanti risultati sono stati osservati anche nei confronti dei problemi metabolici.

Gli studi su animali hanno mostrato che il fico d’India induce maggiore ossidazione dei grassi e riduce la lipogenesi e lo stress ossidativo nel fegato, mostrandosi un potenziale amico di quest’organo al centro del metabolismo corporeo.

Negli studi sull’uomo, due revisioni hanno verificato potenziali positivi nei confronti del metabolismo.

Una mostra che i fichi d’india possono essere un supporto nel dimagrimento del paziente con obesità, modulando sia al metabolismo glucidico che lipidico. 

Un’altra supporta l’effetto di riduzione del grasso corporeo, anche senza riduzione del peso, con miglioramento dei valori di pressione sanguigna e colesterolo.


Aggiornamento 11/9/2023

Fornire frutta e verdura a persone in difficoltà economica aiuta la loro salute. Migliorano lo stato di salute generale, il peso, lo stato metabolico (emoglobina glicata) e la pressione sanguigna, tutte condizioni legate a cibo di scarsa qualità che costa poco ma non apporta sufficiente nutrimento. Si riduce inoltre la food insecurity, intesa come incapacità di procurarsi cibo a sufficienza per motivi economici.
Lo studio ha mostrato che "gli investimenti in programmi e interventi nutrizionali basati sugli alimenti, come i programmi di prescrizione dei prodotti, che prevedono l’acquisto e l’assunzione di alimenti sani, come frutta e verdura, hanno il potenziale per affrontare l’insicurezza alimentare e migliorare i risultati sanitari a valle, soprattutto nelle popolazioni con condizioni sanitarie eterogenee a maggior rischio di cattiva alimentazione". Lo studio fa parte della "The Food is Medicine Initiative" della American Heart Association

Che altre prove servono per considerare il cibo una medicina?

martedì 4 luglio 2023

Per "risolvere" l'ovaio policistico


La sindrome dell'ovaio policistico (PCOS) è una condizione caratterizzata da ridotta fertilità e alterazioni metaboliche simili a quelle del diabete (resistenza insulinica e difficoltà a mantenere il peso). Come molte condizioni croniche è caratterizzata anche da uno stato infiammatorio cronico.




La risoluzione dell'infiammazione cronica non è un processo che dipende esclusivamente dalla fine dell'infiammazione stessa, semplicemente col blocco dei segnali proinfiammatori, ma è un processo attivo che deve essere sostenuto da segnali appositi che promuovono la rimozione delle cause dell'infiammazione, tra cui la permanenza di parti virali o batteriche come ormai abbiamo imparato in questi anni. Il processo di risoluzione è quindi attivamente stimolato da molecole note come proresolvine, derivate dagli omega 3 e, in misura minore, dagli omega 6.




Si è osservato che le donne con PCOS hanno ridotti livelli di proresolvine. 

Si sta ipotizzando per questo di fornire le proresolvine come integratore in modo da favorire una riduzione del tono infiammatorio e migliorare il quadro di questa condizione.

In generale, un'alimentazione con riduzione dei cibi infiammatori (industriali) e aumento di quelli veri e non processati è possibile migliorare il quadro legato allo stress ossidativo e all'infiammazione. Gli alimenti ricchi di antiossidanti hanno proprio questo effetto, ma anche alcuni integratori possono dare supporto. Tra questi vitamina D, magnesio e omega 3.

Aggiornamento 6/7/2023

La cannella può essere usata come trattamento complementare in sindrome dell'ovaio policistico e diabete di tipo 2 per migliorare il metabolismo dei carboidrati.
"La cannella può migliorare i livelli dell'indice HOMA (che misura l'insulinoresistenza) attraverso vari meccanismi tra cui la sottoregolazione (riduzione) della segnalazione dell'insulina negli adipociti, l'inibizione dell'azione dell'alfa-amilasi come enzima iniziale della digestione dei carboidrati, l'attivazione dell'adenosina monofosfato (AMP)-chinasi (AMPK) che può regolare il GLUT4 (trasportatore del glucosio) e l'attivazione dell'IGF1 nei fibroblasti, favorendo il controllo glicemico".

Aggiornamento 6/7/2023

Il microbiota ha una forte influenza sulla PCOS. L'uso di probiotici e simbiotici può migliorare i profili ormonali, gli indicatori infiammatori e i disturbi del metabolismo lipidico. Migliorano anche peso, insulina e indice HOMA.

"La PCOS può originarsi nelle primissime fasi dello sviluppo, mostrando caratteristiche cliniche più tardi nell'adolescenza; il monitoraggio del microbioma e l'integrazione precoce di probiotici durante l'infanzia e l'adolescenza potrebbero essere utili per modulare la disbiosi al fine di prevenirla come causa modificabile di PCOS".

sabato 29 aprile 2023

Il destino dei nutrienti (nutrient partitioning)


Il nutrient partitioning è il "destino metabolico" che hanno i nutrienti nell'organismo. Al di là delle calorie che introduciamo, sarà l'organismo a decidere cosa farne. "Nonostante la semplice equazione del bilancio energetico possa spiegare l'aumento di massa grassa, i processi e le vie metaboliche alla base dell'iperfagia (l'eccesso di alimentazione) e il modo in cui l'energia in eccesso viene gestita nei diversi tessuti rimangono elusivi".

Una predisposizione genetica (ed epigenetica) può aumentare la suscettibilità all'accumulo di grasso. Inoltre "il tipo di energia ingerita e il destino metabolico dei nutrienti, compreso il loro utilizzo, conservazione e conversione (ad es. sintesi di acidi grassi dal glucosio), nei tessuti periferici possono influenzare la distribuzione dei grassi, la massa e la deposizione di grasso ectopico" (quello più pericoloso per la salute che si insinua dentro o a circondare gli organi come cuore, fegato e muscolo). "Questo processo, definito partizionamento dei nutrienti, si verifica sia a livello di tutto il corpo, con alla base una complessa interazione neuronale e regolata dagli ormoni tra organi e tessuti, sia a livello cellulare, con un accoppiamento coordinato tra le vie metaboliche dei nutrienti. 

Le alterazioni nel partizionamento dei nutrienti, spesso indicate come inflessibilità metabolica, durante la carenza di nutrienti possono portare all'iperglicemia, alla dislipidemia e alla deposizione di grasso ectopico che sono le caratteristiche principali dell'obesità e del diabete di tipo 2. 

L'inflessibilità metabolica caratterizza le persone che non riescono a utilizzare correttamente i nutrienti e a passare dall'uso dei carboidrati ai grassi efficientemente, favorendo l'accumulo dei nutrienti, ed è probabilmente un adattamento evolutivo alla scarsità di cibo.

Il destino dei nutrienti è quindi guidato dagli ormoni e dalla rete neuronale dipendente dall'ipotalamo, che integra i segnali periferici (disponibilità di cibo) per prendere le sue decisioni (attivare il metabolismo o rallentarlo, in termini semplificati).

Che lo vogliate o no, consumare energia è come il battito cardiaco o la pressione sanguigna: non può essere regolato dalla nostra volontà, ma rimane sotto il controllo del sistema nervoso autonomo. Noi possiamo solo assisterlo coi comportamenti corretti che non sono semplicemente mangiare poco e muoverci di più, ma mangiare meglio e stimolare la crescita della massa magra, come se aumentassimo la cilindrata del motore e gli permettessimo di consumare di più. 

Nella rete neurormonale ipotalamica esistono popolazioni distinte di neuroni: 

https://link.springer.com/article/10.1007/s00125-020-05104-9/figures/1




"Gli studi dimostrano che i neuroni AgRP esercitano un forte controllo sulla ripartizione dei nutrienti promuovendo l'immagazzinamento dei lipidi, mentre i neuroni POMC e post-sinaptici MC4R favoriscono la mobilizzazione e l'utilizzo dei nutrienti".

In questo modo l'ipotalamo gestisce il grasso bruno, la lipolisi, la produzione di grassi dai carboidrati (lipogenesi) che poi vengono immagazzinati se in eccesso. In particolare i neuroni AgRP bloccano la termogenesi e la lipolisi, mentre la perdita di neuroni MC4R porta alla proliferazione di precursori del grasso bianco (preadipociti) e quindi alla sua espansione  permettendo l'aumento di massa grassa. "Pertanto, il sistema melanocortinico ARC esercita un duplice controllo della plasticità e del metabolismo del tessuto adiposo che contribuisce all'appropriato stoccaggio e utilizzo dei nutrienti".

Il primo controllo avviene proprio a livello cellulare dell'ipotalamo: ciò che avviene nelle sue cellule riflette poi quello che succederà nel corpo. Se l'ipotalamo ha i giusti segnali di abbondanza di nutrienti allora si può attivare la lipolisi e la termogenesi, altrimenti il corpo sarà ben lieto di risparmiare e accumulare i nutrienti.

Il Santo Graal della nutrizione sportiva (e non solo) sarebbe l'uso illimitato del grasso di deposito come fonte energetica. Per esempio se uno smettesse di mangiare o mangiasse pochissimo dovrebbe in teoria consumare il grasso di deposito e tranquillamente sopravvivere. In realtà come spiegato migliaia di volte questo approccio non fa altro che predisporre l'organismo per un futuro recupero del peso con interessi, proprio a causa delle modifiche metaboliche indotte. Che volenti o nolenti sono esattamente quelle di ridurre il consumo energetico e quindi rallentare il metabolismo.

Ne parla anche Louise Bourke, nota nutrizionista sportiva. La disponibilità e la capacità di utilizzare tutti i combustibili muscolari per supportare le esigenze specifiche dell'esercizio (flessibilità metabolica) porterebbe l'atleta ad avere energie quasi illimitate. Purtroppo nella realtà questo non succede, ma ci sono indicazioni per cui con una dieta chetogenica si massimizzi l'uso dei grassi come fonte energetica, con adattamenti specifici del metabolismo per cui si ossidano fino a 2g di grasso al minuto. Per i cambiamenti sono necessari 5-10 giorni con un adattamento massimo dopo 3/4 settimane. L'impatto sulla performance deve ancora essere determinato. Infatti la stessa dottoressa mette in guardia dagli effetti sulla prestazione sportiva, che può calare, e raccomanda di seguire la dieta solo sotto controllo esperto, avvertendo che come sempre un approccio idoneo per qualcuno non può essere necessariamente adatto per un altro.

Per contrastare l'inflessibilità metabolica non si può prescindere da dieta ed esercizio fisico. Integratori, massaggi e quant'altro possono supportare ma mai essere sostitutivi dei due fattori principali. Il salto della colazione è un altro fattore che può predisporre per l'inflessibilità metabolica.

I polifenoli vegetali possono interagire in diversi modi (microbiota e assi ipotalamici) per modulare appetito e spesa energetica.

Aggiornamento 7/5/2023

Sono stati individuate 60 proteine espresse nel sistema nervoso centrale implicate nel controllo del peso corporeo.
Queste proteine spiegano l'interazione tra cervello e l'ambiente alimentare, che è notevolmente cambiato negli ultimi decenni. Il ricercatore dr. Arsenault ha spiegato: "Questa relazione potrebbe influenzare i comportamenti alimentari e l'accumulo di energia. Il peso non è una scelta né un'abitudine di vita. Non abbiamo un peso corporeo elevato perché siamo pigri o ci manca la forza di volontà. Sono in gioco meccanismi neuronali inconsci. Il cervello è quello che comanda. Spero che i risultati di questo studio possano in parte spiegare perché il peso corporeo varia così tanto da una persona all'altra".

Aggiornamento 11/8/2023

L'ipotalamo delle persone sovrappeso può essere più grande (ipertrofico) e infiammato. Questo organello è posto alla base del cervello e regola l'appetito, il bilancio energetico e la composizione corporea. Uno stato infiammatorio è noto per alterare la funzione dell'organo (functio laesa). Per questo avere alterazioni ipotalamiche può far cadere in un circolo vizioso che rende difficile controllare l'appetito e il peso.
Tuttavia i ricercatori scrivono che "il disegno di questo studio non può stabilire una relazione causale e suggeriamo che siano necessarie ulteriori ricerche per stabilire se un volume ipotalamico maggiore sia una causa o un effetto di un peso superiore al normale (non si capisce se sia un'effetto del mangiare di più o chi ha un ipotalamo più grande mangia di più per questo). La cascata infiammatoria di aumentata espressione di citochine infiammatorie, la gliosi indotta dalla dieta, l'alterazione della barriera ematoencefalica (BBB, che "filtra" le informazioni che arrivano all'ipotalamo) e alterazioni vascolari possono esacerbare un'ulteriore disregolazione dei meccanismi omeostatici energetici governati dall'ipotalamo, alterando l'efficacia delle strategie per la perdita di peso. Riteniamo che la ricerca futura dovrebbe tentare di chiarire e identificare le cause del maggiore volume ipotalamico nell'obesità, allo scopo di affrontare le opportunità terapeutiche per un'esigenza di salute pubblica mondiale".

Aggiornamento 20/8/2023

Si è scoperto che la quantità di vitamina A viene regolata nel sangue dall'ipotalamo, lo stesso organello che regola bilancio energetico, fame, sete, pressione, sessualità ecc. Questo potrebbe aiutare a prevenire le carenze e pone l'evidenza per l'esistenza del "vitaminostato", un meccanismo che regoli le concentrazioni plasmatiche di vitamine.

Aggiornamento 2/9/2023

Gli astrociti sono cellule che circondano e supportano i neuroni nel cervello. Si è scoperto che possono influenzare anche il metabolismo energetico. In particolare modulano l'azione dei neuroni ipotalamici che rilasciano GABA, un neurotrasmettitore che inibisce i neuroni. Per capirci si tratta dello stesso recettore attivato da alcuni tranquillanti che, guarda caso, fanno ingrassare. Così a seconda dell'attività degli astrociti che possono essere più o meno attivi viene rilasciato GABA. Il risultato è di inibire l'attivazione del metabolismo energetico, con minore produzione di calore (termogenesi) e maggiore accumulo di grasso.


Aggiornamento 5/9/2023


Ridurre i carboidrati in favore di proteine e grassi aiuta a ridurre il grasso nel fegato, anche in condizioni eucaloriche (cioè senza riduzione delle calorie). La riduzione dei carboidrati può avere un effetto maggiore della restrizione calorica.
"Anche in condizioni di bilancio energetico, i risultati cumulativi suggeriscono un effetto clinicamente significativo della riduzione dell’assunzione di carboidrati e dell’aumento dell’assunzione di grassi alimentari (e/o proteine) sul contenuto epatico di trigliceridi (TG) negli individui obesi con steatosi, in particolare negli individui con resistenza all’insulina. Sulla base di studi sull’uomo, i meccanismi attraverso i quali la riduzione dei carboidrati e l’aumento dell’assunzione di grassi portano a un minore accumulo epatico di TG possono essere correlati all’aumento della beta-ossidazione degli acidi grassi e all’aumento della chetogenesi nel fegato, adattamenti metabolici che imitano la risposta alla restrizione calorica. Inoltre, la lipogenesi (sintesi di grassi dai carboidrati) nel fegato viene ridotta quando la disponibilità di carboidrati nella dieta diminuisce, anche in condizioni eucaloriche. È probabile che anche una minore disponibilità di insulina, anche portale, nel fegato dovuta alla riduzione dei carboidrati regoli il metabolismo del substrato nel fegato verso un aumento dell'utilizzo degli acidi grassi e una minore deposizione di grassi.

Aggiornamento 12/9/2023

La food insecurity (FI) si realizza quando persone in difficoltà economiche hanno "periodi di introduzione di quantità e qualità insufficienti del cibo e ansia per la futura scarsità di cibo, ma non deficit energetico cronico" che li porterebbe a dimagrire. Infatti la FI è associata a rischio di eccesso di peso, tant'è che si parla di un paradosso insicurezza alimentare-obesità e può spiegare perché attualmente, contrariamente ai tempi passati, l'obesità riguardi più le fasce meno abbienti.
L'effetto appare maggiore nelle donne adulte dei paesi sviluppati.
I meccanismi non sono chiari ma includono sia un aumento dell'introito che una riduzione della spesa energetica. "Le riduzioni dell’attività fisica, della termogenesi indotta dagli alimenti e del dispendio energetico basale potrebbero tutti contribuire a ridurre il dispendio energetico nell’ambito della FI. Gli effetti della FI sul dispendio energetico basale, che costituisce il 60-70% del bilancio energetico umano, sono attualmente poco studiati e necessitano di ulteriori indagini. L’aumento della ritenzione dell’energia metabolizzabile è un ulteriore meccanismo che potrebbe contribuire al bilancio energetico positivo nell’ambito della FI che deve essere considerato".
Tra i fattori dietetici che favoriscono questo aumento di peso, scarsa introduzione di fibre (con conseguente alterazione del microbiota), ridotto apporto proteico (aumenta la ricerca di cibo, favorendo l'introduzione di junk-food), aumento dei carboidrati ad alto indice glicemico, che favoriscono i picchi di insulina, aumento del consumo di cibo spazzatura, che fornisce energia pronta ma non nutrienti.
Esiste inoltre un'ipotesi, chiamata dell'assicurazione, che spiega perché le calorie "prendono la direzione del tessuto adiposo" e non vengono consumate. Questo modello si integra con gli altri fattori e non li esclude.
Lo stress contribuisce all'indirizzamento dei nutrienti al tessuto adiposo.
Per difendersi dal rischio di carestia si mettono in moto meccanismi che aumentano l'accumulo di grasso in maniera "anticipata", in modo da sopravvivere più avanti, in risposta a segnali che prevedono la futura scarsità di cibo. "I cambiamenti nella qualità della dieta, nell’attività fisica e nelle energie potrebbero essere risposte adattive alla FI, selezionate perché forniscono un bilancio energetico positivo, piuttosto che vincoli imposti dall’ambiente della FI.

lunedì 27 febbraio 2023

Fruttosio industriale, nemico della salute

 

Se mi viene chiesto cosa può far sempre male nell'alimentazione, posso rispondere 3 "ingredienti": grassi trans industriali, alcol e fruttosio industriale. Per quanto riguarda i primi, già i LARN della SINU consigliano di assumerne il meno possibile, salvo poi inserire biscotti, cracker ecc. tra le possibilità. L'alcol non ha una dose sicura, ma un consumo saltuario viene definito tollerabile. Il fruttosio industriale viene prodotto solitamente da cereali come il mais, il cui amido viene convertito in bioreattori diventando appunto fruttosio. Dopodiché viene inserito nelle merendine, bibite gassate ecc., è dannoso per diversi motivi e qui illustro alcune ricerche recenti.


https://happyratio.com/blogs/blog/is-fructose-good-or-bad


Alimentarsi in modo più naturale, ossia usando alimenti salutari non alterati dall'industria, è, checché ne dicano personaggi che non capiscono l'alimentazione, quello che ci permette di avere una vita più sana ed è quello che ci indicano le linee guida. Forse non tutti si sono ancora aggiornati. Consumare alimenti confezionati può essere concesso saltuariamente, ma nella quotidianità è bene non usarli.

Il fruttosio industriale per esempio ha un effetto diverso da quello naturalmente contenuto nella frutta a livello cardiovascolare. Mentre il consumo di bibite aumenta il rischio cardiovascolare, la frutta ha una curva a J secondo cui si riduce la mortalità, per cui solo un consumo oltre i 400g al giorno non è più protettivo. In pratica i ricercatori spiegano che le quantità inferiori di fruttosio presenti nella frutta e soprattutto la "matrice" che lo circonda (fibre, vitamine, antiossidanti) impediscono che questo zucchero sia pericoloso in quel contesto. Questi risultati erano talmente attesi che un ricercatore ha pubblicato un editoriale in cui spiega come non ci si debba sorprendere del diverso effetto delle diverse fonti di fruttosio.

Sta prendendo quota l'ipotesi secondo cui il fruttosio sia (co)responsabile della malattia di Alzheimer. Questo avviene mediante l'alterazione di alcune vie metaboliche neuronali, suscitando neuroinfiammazione, atrofia cerebrale e perdita di neuroni. Gli autori parlano di un mal adattamento evoluzionistico, nel senso che si tratta di un effetto relativo alla nostra "impreparazione" a gestire quantità notevoli di questo zucchero, che viene metabolizzato in maniera particolare e che quando è presente in alte quantità "inceppa" le vie metaboliche.

Proprio il suo metabolismo a livello del fegato è responsabile del suo effetto lipogenico. Vengono infatti alterati diversi enzimi, recettori e ormoni epatici in modo da ridurre l'ossidazione dei grassi e favorire le vie anaboliche (costruzione) relative ai grassi.


https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36753292/


 Gli acidi grassi non riescono a entrare facilmente nei mitocondri. L'acetato prodotto dai batteri funge come base per costruire grassi. In questo modo l'energia del cibo non viene consumata ma utilizzata per la sintesi di nuovo grasso e viene favorita la deposizione, sia a livello del tessuto adiposo che del fegato. Il grasso epatico (steatosi) disturba ulteriormente il metabolismo creando un circolo vizioso in cui è più difficile ossidare i grassi, si ha resistenza insulinica e diabete.

Solitamente non è necessario eliminare completamente il fruttosio industriale, ma cerchiamo di evitarlo il più possibile per avere una vita sana.


Aggiornamento 14/4/2023

Una revisione degli studi sullo zucchero ha trovato che il consumo elevato è associato con 45 effetti negativi sulla salute:

🍬 Un elevato consumo di zucchero nella dieta è generalmente più dannoso che benefico per la salute, specialmente in caso di malattie cardiometaboliche
❤️‍🩹 Il consumo di zucchero potrebbe avere effetti negativi sulla salute, in particolare obesità, diabete, malattie cardiovascolari, iperuricemia, gotta, accumulo di grasso ectopico, carie dentale e alcuni tipi di cancro
🦀 Le prove dell'associazione tra consumo di zucchero nella dieta e cancro rimangono limitate ma richiedono ulteriori ricerche
🧋 Si raccomanda di ridurre il consumo di zuccheri liberi o zuccheri aggiunti al di sotto di 25 g/giorno (circa 6 cucchiaini/giorno) e di limitare il consumo di bevande zuccherate a meno di una porzione/settimana (circa 200-355 ml/settimana) per ridurre l'effetto negativo degli zuccheri sulla salute.

Il fruttosio industriale appare particolarmente dannoso. "Rispetto ad altri carboidrati, il fruttosio potrebbe aumentare la capacità lipogenica epatica inducendo fattori di trascrizione epatici. Inoltre, uno studio sugli animali ha scoperto che il fruttosio alimentare potrebbe essere convertito in acetato dal microbiota intestinale, che può aumentare la lipogenesi epatica fornendo acetil-CoA lipogenico indipendentemente dall'ATP citrato liasi. I prodotti intermedi come i diacilgliceroli generati durante il processo di lipogenesi possono compromettere la segnalazione dell'insulina nel fegato e nei tessuti periferici e quindi portare all'insulino-resistenza. Successivamente, può promuovere la deposizione di grasso ectopico nel fegato e nei muscoli. Il fruttosio alimentare può anche inibire l'ossidazione degli acidi grassi nel fegato compromettendo le dimensioni e la funzione mitocondriale e l'acetilazione dell'enzima limitante. Inoltre, si suggerisce che il fruttosio contenuto nelle bevande zuccherate induca probabilmente l'insorgenza dell'obesità riducendo il dispendio energetico a riposo e promuovendo la resistenza alla leptina, stimolando l'appetito e inducendo un introito eccessivo di calorie, accumulo di grasso nel fegato e insulino-resistenza a lungo termine. Questa ipotesi è confermata da diversi studi clinici condotti su adulti sani, che hanno scoperto che il consumo di bevande zuccherate si traduce in un maggiore apporto calorico e aumento del peso rispetto alle bevande con dolcificanti. Inoltre, un recente studio controllato randomizzato in doppio cieco condotto su 94 uomini sani ha suggerito che il consumo di bevande zuccherate contenenti fruttosio potrebbe indurre un cambiamento significativo nel quadro del colesterolo, con una distribuzione delle particelle di lipoproteine ​​a bassa densità verso particelle più piccole e più aterogene, mediando parzialmente le associazioni del consumo di bevande zuccherate con la dislipidemia e le malattie cardiovascolari". Anche la produzione di acido urico (causa della gotta e di danni renali e cardiovascolari) aumenta grazie al fruttosio, che agisce anche nell'intestino alterando il microbiota, la permeabilità intestinale e l'infiammazione. Anche patologie neurologiche come depressione e ADHD possono essere associate allo zucchero, così come l'aumento di escrezione di calcio che può favorire l'osteoporosi.

Aggiornamento 22/4/2023

Per persone con diabete assumere bibite zuccherate è un po' come buttare benzina sul fuoco.
🥤 Tra gli adulti con diabete di tipo 2, una maggiore assunzione di bevande zuccherate (SSB) è associata a una maggiore mortalità per tutte le cause e incidenza di malattie cardiovascolari, mentre l'assunzione di caffè, tè, acqua naturale o latte scremato è stata inversamente associata a mortalità per tutte le cause
Un maggiore aumento del consumo di caffè e tè dopo la diagnosi di diabete è stato significativamente associato a una minore mortalità per tutte le cause
💧 La sostituzione delle SSB con caffè, tè o acqua naturale è stata associata in modo statisticamente significativo a una minore mortalità per tutte le cause tra gli adulti con diabete.

 

Aggiornamento 27/5/2023

Anche nei bambini il fegato grasso è un fattore di rischio per il diabete di tipo 2. Nonostante sia una condizione tipica dell'anziano, è in forte aumento anche tra i giovani e addirittura i bambini. La principale causa? Il fruttosio industriale (bibite e dolci).


Aggiornamento 10/7/2023

L'OMS raccomanda di evitare le pubblicità di cibo spazzatura (definito come "alimenti e bevande analcoliche ad alto contenuto di acidi grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri liberi e sale") durante i programmi tv per bambini e adolescenti. 

martedì 24 gennaio 2023

Omega 3: proteggono dalle malattie cardiovascolari?


Esistono molti tipi di grassi, alcuni dei quali essenziali, nel senso che il nostro corpo non li può produrre ma dipende dall'introduzione alimentare: gli omega 3 e gli omega 6. In questo articolo ho spiegato le differenze.

http://www.luciomariapollini.com/Articoli/omega%203%206%209.htm


Il tipo di grassi in generale e anche il tipo di omega 3 influenzano la salute a causa di diverse proprietà fisico-chimiche e non solo.

https://www.pinterest.it/pin/319474167290232535/


Gli omega 3 a lunga catena (EPA e DHA) possono avere un effetto nei confronti di dislipidemia e aterosclerosi. Infatti anche quando si raggiunge il corretto livello di LDL (il colesterolo "cattivo" ritenuto un fattore di rischio cardiovascolare) rimane un rischio residuo legato ai trigliceridi alti, che non vengono abbassati dalle statine. Nonostante gli omega 3 abbiano effetto sui livelli di trigliceridi, la diminuzione degli eventi cardiovascolari appare inconsistente e la loro efficacia nei confronti della riduzione della mortalità cardiovascolare è ancora dubbia secondo i risultati dei trial.

Alcune spiegazioni le dà un articolo appena pubblicato. La produzione di questi grassi è piuttosto limitata nell'uomo, a parte nelle donne in età fertile che hanno una discreta conversione di ALA (omega 3 a 18 atomi di carbonio) in DHA che è necessario per lo sviluppo del nascituro. Per questo devono essere necessariamente introdotti con l'alimentazione o l'integrazione. Le specie marine come lo sgombro o il salmone hanno fino a 4 g per porzione rispetto al pesce bianco meno ricco. Ad esempio, la tilapia ha livelli tissutali dieci volte inferiori di omega 3 mentre appare ricca di omega 6. Assumere pesce allevato che assume fonti di omega 6 e non alghe ricche in omega 3 (o pesci che seguono la corretta catena alimentare e quindi ne contengono) fa in modo che sia ricco dei primi e non dei secondi. Per questo esiste forte interesse per gli integratori: il pesce che assumiamo non sempre fornisce omega 3. È corretto usarli? Alcuni integratori di mediocre qualità contengono prodotti ossidati e grassi saturi che possono essere addirittura dannosi. Questi elementi non sono presenti nei prodotti di grado farmaceutico.

Il processo di estrazione che è necessario per gli integratori può degradare gli omega 3 che sono molto delicati, favorendo così un effetto proossidante che è contrario a quello previsto (addirittura incremento dei trigliceridi in un trial).

Una formulazione farmacologica (icosapent etile) di EPA, il grasso omega 3 a 20 atomi di carbonio, appare efficace per ridurre la mortalità in persone ad alto rischio e la progressione dell'aterosclerosi in persone con ipertrigliceridemia.

L'EPA appare più efficace del DHA (che possiede 22 atomi di carbonio e quindi struttura differente) grazie a diversi meccanismi: inibizione della trombosi e dell'attivazione piastrinica, protezione della struttura della membrana cellulare, miglioramento della funzione endoteliale, miglioramento nella distribuzione del colesterolo nella membrana cellulare e maggiore efflusso di colesterolo rispetto al DHA. Il DHA sembra avere maggiore effetto sulla salute cerebrale e sui nervi. I cristalli di colesterolo monoidrato si depositano nelle membrane e nelle placche aterosclerotiche, aumentando l'attivazione dei macrofagi e l'infiammazione. A livello delle placche favoriscono la rottura rendendo instabile la struttura. La rottura della placca è l'evento che precede la formazione del trombo e quindi l'infarto.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8670783/



Usare formule contenenti entrambi i grassi non è efficace come usare solo l'EPA nei confronti del pericolo cardiovascolare.
La riduzione della trigliceridemia avviene mediante alcuni meccanismi principali: aumento della betaossidazione dei grassi nei mitocondri e riduzione della lipogenesi e della produzione di VLDL ricche in trigliceridi. Gli omega 3 attivano il recettore GPR120 che stimola il grasso bruno.
L'attivazione di PPAR-α da parte degli omega 3 riduce i livelli di VLDL e trigliceridi mentre aumenta i livelli circolanti di lipoproteine ​​ad alta densità (HDL) in seguito all'induzione dell'espressione epatica  dell'apolipoproteina A-I e dell'apolipoproteina A-II.

Alcuni degli effetti degli omega 3 sono correlati alla loro influenza sulle membrane cellulari, modulando l'effetto del colesterolo che ha il compito di regolare la fluidità delle membrane: il DHA promuove l'aggregazione del colesterolo stabilizzando le membrane (molto importante per i rapidi cambi conformazionali necessari per la visione) mentre anche in questo caso l'EPA favorisce una protezione dall'aterosclerosi, anche aumentando il trasporto inverso. Per questo il DHA si concentra nei neuroni mentre l'EPA è più importante nelle arterie. 


L'effetto antiossidante sulle membrane dell'EPA è maggiore rispetto agli altri grassi polinsaturi. I grassi con 2 doppi legami o meno non hanno una struttura di risonanza capace di proteggere dall'ossidazione. In questo modo l'EPA riduce le LDL ossidate, un fattore di rischio principale per l'aterosclerosi. L'effetto antiossidante è particolarmente evidente nel caso di diabete dove l'EPA blocca i danni indotti dal glucosio in eccesso. Le statine possono avere un effetto sinergico.
In sintesi i migliori effetti dell'EPA rispetto al DHA nel caso delle malattie cardiovascolari sono dovute soprattutto alle sue proprietà fisico-chimiche e antiossidanti sulle membrane, ma solo appropriate formulazioni sono veramente efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare.

Una recente metanalisi ha mostrato che in generale gli omega 3 sono efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare, nonostante 2 pubblicazioni mostrassero una potenziale efficacia negativa (ossia possibile aumento delle morti), ma le formulazioni con EPA sono più efficaci di quelle con EPA + DHA. Secondo qualcuno il DHA potrebbe addirittura negare i benefici dell'EPA. Un'altra metanalisi evidenzia che gli effetti di riduzione di morte cardiaca, infarto miocardico, rivascolarizzazione coronarica, angina instabile ed eventi vascolari maggiori si notano solo con almeno 1 grammo al giorno, con un maggior rischio di sanguinamento e fibrillazione.

Gli effetti antinfiammatori e restauratori dell'omeostasi degli omega 3 sono dovuti soprattutto ai loro derivati proresolvine (SPM), la cui carenza è legata a progressione dell'aterosclerosi, e agiscono tramite riduzione del traffico di granulociti, generazione di citochine, rimozione del danno cellulare da parte dei macrofagi, modulazione delle diverse cellule immunitarie in modo da risolvere l'infiammazione e riportare l'omeostasi (corretto equilibrio) nei tessuti.  

In una sinossi delle varie linee guida delle società scientifiche, gli autori del lavoro riassumono così: gli omega 3 possono essere utili nell'insufficienza cardiaca, non appaiono utili nelle aritmie (anzi possono aumentare il rischio di fibrillazione atriale), possono aiutare in diverse cardiomiopatie (Chagas, dilatativa, tachicardia atriale). Gli omega 3 possono aiutare ad abbassare la pressione alta e riducono il rischio di morte improvvisa tra il 40 e l'80%. 

Sebbene controversi nella pratica clinica, gli effetti protettivi sulla salute cardiaca sono dovuti sia al miglioramento del quadro lipidico, in particolare riduzione delle VLDL e dei trigliceridi, sia all'azione anti-aterosclerosi tramite regolazione della funzione endoteliale, della stabilità della membrana, dell'infiammazione, delle molecole di adesione, della perossidazione lipidica, mediante la riduzione della formazione della placca aterosclerotica e sua stabilizzazione, riducendo l'attivazione e l'aggregazione piastrinica e regolando la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca. 

Nel 2019 l'EMA ha ritirato l'indicazione all'uso di EPA + DHA per la prevenzione cardiovascolare e in generale le linee guida di varie nazioni li indicano solo per la gestione dell'ipertrigliceridemia. In pratica non c'è dimostrazione che il DHA riduca il rischio cardiovascolare; esiste invece per l'EPA purificato. Gli esperti cinesi inoltre raccomandano l'EPA più del mix per proteggere dalla rivascolarizzazione in chi abbia avuto eventi. Tra gli effetti collaterali si registrano lievi aumenti nel rischio di fibrillazione atriale e sanguinamento e qualche problema gastrointestinale.

In definitiva per avere una significativa riduzione del pericolo cardiovascolare è necessario probabilmente usare la formulazione farmacologica di omega 3 (icosapent-etile) mentre i comuni integratori sono d'aiuto solo se di buona qualità e senza risultati eccelsi. 

Aggiornamento 14/2/2023

L'uso di olio di pesce ricco in omega 3 in persone con artrite reumatoide aumenta i livelli di proresolvine, mediatori specifici per la risoluzione dell'infiammazione cronica.

Aggiornamento 22/4/2023

I trigliceridi alti nel sangue sono associati a maggior rischio cardiovascolare. Esistono farmaci capaci di abbassare il valore (i fibrati per esempio) ma il loro utilizzo in recenti studi non ha evidenziato riduzione del rischio cardiovascolare. Per questo suggerisce il dott. Christopher Labos, cardiologo, è meglio farli abbassare non solo coi farmaci.
"Se vedi un paziente con trigliceridi alti, trattarlo con farmaci per abbassare i trigliceridi probabilmente non ridurrà il suo rischio cardiovascolare. Interventi dietetici, incoraggiamento all'esercizio fisico e riduzione del consumo di alcol sono opzioni migliori. Non solo porteranno ad abbassare i livelli di colesterolo, ma ridurranno anche il rischio cardiovascolare".

Aggiornamento 6/6/2023

Ci sono persone che possono avere maggior effetto dall'uso degli omega 3 nella depressione?

"Da un terzo a metà delle persone depresse ha livelli di infiammazione elevati. La relazione è bidirezionale, promuovendo un circolo vizioso di cattiva salute mentale e fisica. Questo fenomeno aiuta a spiegare perché la depressione coesiste comunemente con le malattie infiammatorie e perché da un terzo alla metà dei casi di depressione sono resistenti ai tradizionali trattamenti antidepressivi, che non mirano specificamente all'infiammazione (ad es. inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina). L'attuale studio ha testato un integratore alimentare antinfiammatorio sicuro e a basso costo - acidi grassi omega-3 - che può aiutare a prevenire l'insorgenza di casi di depressione associati all'infiammazione e difficili da trattare. Questo lavoro suggerisce che nella popolazione generale con frequente stress sociale, l'integrazione di acidi grassi omega-3 può aiutare a scongiurare l'aumento dei sintomi della depressione, forse riducendo le risposte infiammatorie allo stress. Questo metodo può essere vantaggioso perché lo stress è inevitabile e l'integrazione di omega-3 mira semplicemente alla risposta cellulare allo stress. Secondo la teoria della trasduzione del segnale sociale, può anche essere fruttuoso mirare alla frequenza di esposizione allo stress. In particolare, tra coloro che sperimentano stress sociale frequente, come un matrimonio ostile, affrontare lo stress direttamente (ad esempio, attraverso capacità di comunicazione o risoluzione dei conflitti, terapia matrimoniale o separazione/divorzio) può essere un passo necessario nel trattamento o nella prevenzione della depressione. In effetti, da un punto di vista clinico, è inutile, minaccioso e persino negligente raccomandare un integratore alimentare antinfiammatorio come strategia di prevenzione della depressione per qualcuno in una relazione violenta, ad esempio. Tuttavia, questi risultati mostrano come un integratore alimentare antinfiammatorio può aiutare a tamponare l'impatto sulla salute mentale del comune stress sociale, che a volte può essere inevitabile."
In conclusione, l'effetto antidepressivo degli omega-3 può essere più evidente tra coloro che soffrono di frequente stress sociale, forse perché questi grassi buoni riducono la reattività infiammatoria ai fattori di stress sociale.

Aggiornamento 7/6/2023

Secondo una revisione degli studi gli omega 3 sono efficaci nell'alleviare i dolori dovuti all'osteoartrite (OA).

Per i pazienti con un'adeguata assunzione dietetica di questi grassi (come i pazienti con assunzione abituale di pesce) l'integrazione aggiuntiva non è necessaria e ha un'efficacia limitata. L'efficacia è maggiore nei giovani.
In media i dolori si riducono del 29% e la funzione articolare migliora del 21%

"I meccanismi alla base dei benefici degli n-3 PUFA possono essere multifattoriali. Uno studio precedente in un modello cellulare per l'OA canina ha suggerito che l'integrazione di EPA e DHA potrebbe ridurre l'espressione di molteplici marcatori infiammatori coinvolti nella patogenesi della degenerazione della cartilagine, come l'interleuchina-1 beta (IL-1β) e l'ossido nitrico sintasi. Un meccanismo simile è stato rivelato anche nella degenerazione della cartilagine indotta dalla leptina, che ha dimostrato che l'integrazione con EPA e DHA potrebbe ridurre l'attivazione indotta da IL-1β del fattore nucleare-κB e della chinasi N-terminale c-Jun, attenuando così la degenerazione cartilaginea indotta dalla leptina. Uno studio recente ha dimostrato che la maresina-1, un metabolita del DHA, conferisce anche l'efficacia terapeutica per l'OA in un modello di ratto attraverso i suoi potenziali effetti antinfiammatori. […] I risultati della meta-analisi indicano che l'integrazione di n-3 PUFA è efficace per alleviare il dolore e migliorare la funzione articolare nei pazienti con OA, senza aumentare il rischio di eventi avversi correlati al trattamento. Questi risultati supportano l'uso dell'integrazione di n-3 PUFA come trattamento alternativo per l'OA."