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martedì 27 dicembre 2022

Le diete alla moda

 

Nella nutrizione spesso si sente parlare di "dieta alla moda" (fad diet in inglese, FD). Di cosa si tratta? Il termine è usato per le diete che di solito hanno un nome accattivante ma per il quale non esiste una forte dimostrazione scientifica di efficacia, in particolare nel lungo termine. 


Solitamente sono raccomandate da qualche santone messo ai margini dalla comunità scientifica e hanno alcuni testimonial famosi che in poco tempo hanno perso peso e guarito tutti i propri mali.




Spesso infatti queste diete promettono risultati veloci con poco sforzo e in assenza di attività fisica. Escludono alcuni alimenti e possono essere nutrizionalmente inadeguate o carenti di alcuni nutrienti. 

Un gruppo di ricercatori ha revisionato i dati pubblicati su alcune note diete per verificare la loro utilità, il loro presupposto scientifico e la potenziale pericolosità. Di alcune di queste ho già scritto e troverete i link nel paragrafo.

La dieta Atkins, una dieta ad alto contenuto proteico e ipoglucidica, fu messa a punto dal cardiologo Atkins negli anni 70 del secolo scorso. In alcuni studi ha mostrato di migliorare i parametri cardiometabolici (glicemia, colesterolo ecc.). Il dimagrimento può essere maggiore rispetto ad altri regimi. Le conclusioni invitano a seguire la dieta solo sotto supervisione di esperti. 

La dieta chetogenica (KD) è abbastanza simile all'Atkins, con un contenuto di carboidrati ancora inferiore. Lo stato di chetosi può ridurre lo stimolo insulinico all'immagazzinamento dei nutrienti e favorire così il dimagrimento. Paragonato a una dieta classica, la KD può favorire un maggiore dimagrimento, che però non sempre è mantenuto e non in tutti gli studi risulta superiore nel lungo termine. In alcuni casi si è visto un peggioramento del quadro lipidico nel lungo termine. Gli effetti collaterali solitamente sono superabili e temporanei, solo raramente si sono avuti problemi ossei e al metabolismo del calcio. È ormai utilizzabile in sicurezza sotto supervisione di esperti, ma il risultato sul lungo termine può essere deludente se non si mantengono i comportamenti corretti.

La dieta paleo esclude gli alimenti che abbiamo introdotto con la rivoluzione agricola: cereali, legumi, latticini e qualsiasi alimento industriale. Questo dovrebbe corrispondere all'alimentazione dei vecchi cacciatori-raccoglitori. In realtà non era esattamente così e saltuariamente i nostri antenati consumavano anche alcuni di questi alimenti. Non si danno grosse indicazioni sulle porzioni ed esistono 3 livelli di aderenza. La dieta può dare benefici in alcuni sottogruppi di persone e in alcune patologie, per esempio intestinali, ma allo stesso tempo essere negativa per altri. I risultati sui parametri metabolici sono ugualmente misti. La dieta viene descritta come costosa e difficile da seguire per lungo tempo. La principale carenza che può essere rilevata con la paleo è quella di calcio. Appare una dieta efficace nel dimagrimento ma non vi sono studi che dimostrino il miglioramento del rischio cardiovascolare nel lungo periodo. 

La dieta mediterranea viene descritta come il regime ideale e senza conseguenze negative sul lungo periodo. "È altamente adatta al pubblico in generale per la prevenzione delle carenze di micronutrienti e in particolare per quei pazienti che sono più attenti alla salute che orientati solo alla perdita di peso". È il modello attualmente più usato e le linee guida per la popolazione generali si rifanno a questo modello dietetico.

Le diete vegetariane possono avere effetti favorevoli sulla salute ma devono essere correttamente bilanciate e integrate perché espongono alla carenza di alcuni nutrienti come vitamina B12, D, calcio, ferro, zinco e acidi grassi essenziali come gli omega 3. Possono essere nutrizionalmente adeguate e utili nella prevenzione e nel trattamento di alcune malattie croniche. "Benefici e rischi dipendono dalle scelte dietetiche, quindi il piano individualizzato che soddisfa i requisiti di micronutrienti deve essere attentamente sviluppato da un professionista".

Il digiuno intermittente (IF) può essere realizzato in diversi modi. Alcuni studi hanno mostrato la sua efficacia nel dimagrimento e nel migliorare il quadro metabolico, ma nel medio periodo non si osservano particolari benefici rispetto a una continua restrizione calorica classica. Il IF può favorire oscillazioni troppo ampie nella quantità di acidi grassi liberi nel sangue e questo è stato associato  a peggioramento del metabolismo glucidico. Anche in questo caso mancano studi a lungo termine sulla sostenibilità e sugli effetti sulla salute.

Le diete detox derivano dalle antiche culture greche, romane ecc. in cui si pensava di purificare il corpo dopo eccessi o presunte intossicazioni. Ne sono disponibili varie forme commerciali con digiuni, clisteri, succhi purificatori, lassativi, vitamine ecc. Le diete detox favoriscono il dimagrimento ma apparentemente solo grazie alla restrizione calorica. Sappiamo bene che questo meccanismo può favorire il recupero del peso riducendo la spesa energetica e aumentando l'appetito, in particolare per i cibi spazzatura, nel medio-lungo periodo. Il rischio di insufficiente introduzione di alcuni nutrienti è reale e attualmente la dieta non dovrebbe essere consigliata dai professionisti.

La review conclude così: "Le diete alla moda facilitano la perdita di peso facile e veloce, migliorano l'aspetto e non richiedono molto tempo per ottenere i risultati. Queste diete sono efficaci nel migliorare la salute in una certa misura. Tuttavia, l'aderenza è sempre una preoccupazione significativa a causa delle combinazioni irrealistiche e dell'inadeguatezza nutrizionale dovuta alla completa eliminazione di uno o più gruppi alimentari essenziali. Nonostante la rapida riduzione del peso, ci sono alcune preoccupazioni per le persone con comorbidità. Tutte queste diete non sono state ampiamente studiate mentre gli studi che sono stati citati in letteratura hanno alti tassi di abbandono e talvolta non sono conclusivi. È necessario eseguire più studi randomizzati controllati di durata prolungata per stabilire la sicurezza delle FD per il pubblico e per rendere le persone consapevoli delle possibili conseguenze dell'adesione a lungo termine a tali modelli dietetici".

Ribadiamo inoltre che i veloci dimagrimenti, tra l'altro con qualsiasi dieta e non solo con le FD, sono destinati a far prendere più kg di prima sul medio lungo periodo se i buoni comportamenti non sono mantenuti.



Il mio invito è sempre quello di attuare una dieta che possiate mantenere sul lungo periodo e non solo per poche settimane. In generale l'abbinamento dell'attività fisica è benefico e necessario. Alcune diete "alla moda" in alcuni casi hanno mostrato di essere utili e non solo essere fantasie di scienziati usciti di testa, ma studi più lunghi e con più persone devono dimostrare la loro applicabilità, sicurezza e soprattutto chi può trarne vantaggio.


Aggiornamento 16/1/2023

Alcuni ricercatori hanno revisionato i lavori scientifici su paleodieta (PD) e malattie tiroidee autoimmuni (AITD) come Hashimoto e Basedow. Nei diversi motori di ricerca sono stati trovati uno studio controllato randomizzato (RCT), uno studio pilota e sei casi singoli (case-study). Si tratta quindi di numeri ridotti. Tutti hanno comunque riportato miglioramenti significativi a livello clinico, in 2 casi la remissione della malattia.
"Dopo una valutazione strutturata degli interventi nutrizionali che utilizzano la PD sugli effetti dell'AITD, si è concluso che gli alimenti di natura ancestrale insieme all'aggiunta di integratori specifici, componenti alimentari, esercizio fisico e meditazione consapevole ed esclusione dei cibi moderni hanno un impatto considerevole sugli anticorpi tiroidei e gli ormoni. Gli studi pertinenti suggeriscono che questo protocollo dietetico può essere utile nella pratica clinica ma è necessario condurre studi su larga scala".
In sintesi: 1) Attualmente non ci sono interventi dietetici raccomandati per il trattamento delle malattie autoimmuni tiroidee. È stato documentato che la dieta Paleo migliora gli anticorpi nelle AITD e gli ormoni tiroidei sia nella tiroidite di Hashimoto che nella malattia di Basedow-Graves.
2) La dieta Paleo può fornire una fonte naturale di nutrienti simili ai supplementi che hanno mostrato risultati positivi sull'AITD.
3) La dieta paleo fornisce specifiche percentuali di macronutrienti che possono essere utili nel ridurre gli anticorpi nelle AITD, migliorando al contempo gli ormoni tiroidei.
4) Il supporto della metilazione mediante supplementi può essere utile nei casi di AITD.

Aggiornamento 11/2/2023

Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine ​​e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.

Aggiornamento 20/2/2023

L' Istituto Superiore di Sanità ha finalmente approvato le linee guida dietetiche delle principali società scientifiche italiane nei riguardi dell'obesità: sia l'approccio mediterraneo che la dieta chetogenica con prodotti sostitutivi sono opzioni praticabili.

mercoledì 7 dicembre 2022

L'alimentazione può influenzare il cortisolo


Il cortisolo è l'ormone che viene prodotto in risposta allo stress, favorendo una serie di modificazioni metaboliche che permette di superare il momento di difficoltà. Purtroppo queste modifiche non sono favorevoli per la composizione corporea, perché si favorisce la trasformazione dei muscoli in zucchero per avere pronta energia, si perde calcio dalle ossa e si favorisce l'accumulo di grasso viscerale.
Il cortisolo può "sabotare" la dieta e chi ha valori più alti ha più alto rischio di recupero del peso, anche inducendo desiderio di cibo.


https://twitter.com/iheartguts/status/1351283251332194306



Alcune componenti della dieta possono influenzare i livelli di cortisolo e la sua azione. Andare in ipoglicemia è un fattore di stimolo per il cortisolo, per cui lunghi digiuni e allenamenti eccessivi senza ricariche hanno effetto negativo sulla muscolatura.
Tra gli aminoacidi, il triptofano può ridurre il cortisolo mentre glutammina e arginina non sono efficaci.
Tra i supplementi, la fosfatidilserina si è dimostrata efficace nel ridurre il cortisolo.
Il GABA è un neurotrasmettitore che riduce la secrezione di CRH, l'ormone che stimola l'ipofisi che a sua volta porta al rilascio del cortisolo.





Alimenti a base di latte fermentato, germogli di riso integrale, orzo e fagioli contengono GABA, così come alcuni integratori, ma questi ultimi sono stati osservati avere potenziali effetti avversi.
Litio, vitamina B6, vitamina B12 e folati migliorano l'attività GABAergica, la taurina migliora quella del recettore. Anche praticare yoga aumenta il GABA.
Vitamina C, D e alcune del gruppo B sono associate in alcuni studi a miglioramento del metabolismo del cortisolo. Anche gli omega 3 e la vitamina E potrebbero ridurlo, ma per tutti questi elementi non ci sono prove definitive. L'EGCG del tè verde è invece efficace nel bloccare la conversione di cortisone in cortisolo. Il caffè invece stimola la produzione di cortisolo, agendo sulle ghiandole surrenali. La betaina e l'ornitina riducono il cortisolo negli sportivi; la prima supporta la crescita muscolare, la seconda migliora il sonno.

Il cortisolo ha comunque anche funzioni utili nei confronti dell'infiammazione, ma purtroppo "è stato dimostrato che le malattie infiammatorie e immunitarie croniche portano alla resistenza all'azione antinfiammatoria dei glucocorticosteroidi, compreso il cortisolo. Ruijters et al. hanno dimostrato che componenti bioattivi di origine alimentare, grazie alla loro attività antiossidante, possono proteggere le funzioni positive del cortisolo sul processo infiammatorio. Tra i componenti con maggiore attività protettiva vi erano la curcumina, il resveratrolo, la crisina, la genisteina, il 7-mono-O-(β-idrossietil)-rutoside e la teofillina".
Alcuni estratti vegetali come Tongkat Ali (ginseng malese) e Rhodiola rosea hanno mostrato interessanti proprietà nella modulazione dell'azione del cortisolo.

Gli autori dell'articolo concludono indicando che la modulazione del cortisolo mediante nutrienti e integratori può essere utile negli sportivi e nelle persone stressate per migliorare la performance e la qualità della vita.

Altre considerazioni:

Le diete ipocaloriche (in generale) e quelle low carb aumentano il cortisolo, perché la restrizione calorica viene vista dal corpo come fonte di stress

Il sito Healthline indica come alimenti per ridurre il cortisolo, compresi in una dieta nutrizionalmente densa, il cacao amaro, cereali integrali e legumi, frutta e verdura, grassi sani, tè verde, probiotici e prebiotici, acqua a sufficienza per evitare la disidratazione. Inoltre come supplementi gli omega 3 e l'ashwagandha.

Il sito MNT raccomanda anche aglio e banane, con la raccomandazione di evitare la caffeina.

Entrambi i siti insistono sulla vita senza stress, socialità, sonno, risate, divertimento ecc.

Aggiornamento 18/1/2023

È stato confrontato l'effetto sullo stress di 3 tecniche di respirazione. "Sospiro ciclico", in cui si dedica più tempo e pensiero all'espirazione che all'inalazione o al blocco del respiro; "respirazione a scatola", in cui la respirazione e il blocco vengono eseguiti per la stessa quantità di tempo; iperventilazione ciclica, in cui le inalazioni durano più a lungo delle esalazioni.
Il 90% dei volontari ha riportato un miglioramento dello stress. La tecnica maggiormente efficace è stata quella del sospiro ciclico. Queste tecniche si sono rivelate più efficaci della meditazione.

Aggiornamento 11/2/2023

Le persone con artrite reumatoide, una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni, hanno problemi a dormire a causa dei dolori e questo può formare un circolo vizioso perché si alterano gli ormoni glucocorticoidi (cortisolo) che dovrebbero ridurre dolore e infiammazione. Inoltre i messaggeri infiammatori riducono ulteriormente l'effetto antinfiammatorio del cortisolo e i recettori diventano resistenti alla sua azione. Anche la produzione di melatonina viene ridotta, aumentando i problemi di infiammazione e di insonnia. Il sonno alterato di per sé aumenta inoltre la sensibilità al dolore. Sapevi che le malattie autoimmuni migliorano adottando una corretta alimentazione?

Aggiornamento 20/2/2023

La sindrome dell'intestino irritabile (IBS) è spesso accompagnata da problematiche psicologiche come ansia e depressione legate allo stress. Un probiotico misto con 2 bifidobatteri può contrastare lo stress in persone con sindrome dell'intestino irritabile. Un ceppo (B. infantis 35624) contrasta i dolori addominali mentre l'altro (1714) migliora la risposta allo stress. Le persone infatti possono avere un'alterazione dell'asse surrenalico legata alle citochine infiammatorie indotte dall'intestino irritabile e i 2 ceppi lavorano così in modo sinergico, migliorando ansia, depressione e sonno.

giovedì 17 novembre 2022

Pressione: come farla scendere

 


L'ipertensione arteriosa, o pressione sanguigna elevata, è una condizione che stressa il sistema cardiovascolare ed è probabilmente la prima causa di malattie cardiovascolari ed eventi acuti come infarti e ictus.


http://joyreactor.com/post/442523


Quello farmacologico dovrebbe essere il primo approccio per l'ipertensione? No, le linee guida prevedono innanzitutto le modifiche dello stile di vita. Qualche medico vi ha prescritto dieta e attività fisica?

Secondo il giornale dei medici americani, JAMA, "la terapia di prima linea per l'ipertensione è la modifica dello stile di vita, consistente in perdita di peso, riduzione di sodio nella dieta e supplementazione di potassio, dieta sana, attività fisica e consumo limitato di alcol. Quando è necessaria la terapia farmacologica, le terapie di prima scelta sono i diuretici tiazidici, gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina o i bloccanti del recettore dell'angiotensina e i calcio-antagonisti".


Precisa l'articolo: "Gli interventi non farmacologici consolidati per la prevenzione e il trattamento dell'ipertensione sono la perdita di peso, la riduzione del sodio nella dieta, l'aumento dell'assunzione di potassio, il consumo di una dieta sana per il cuore, l'impegno nell'attività fisica e la riduzione del consumo di alcol. Anche se non facile da raggiungere e sostenere, il cambiamento del comportamento è fattibile, specialmente nei pazienti motivati ​​sostenuti da professionisti qualificati con il rinforzo del medico. Ciascuno di questi interventi può ridurre la pressione massima (sistolica) media di circa 5 mmHg negli adulti con ipertensione e di circa 2-3 mmHg negli adulti non ipertesi. Sono possibili maggiori riduzioni della PA in individui con valori iniziali più alti quando gli interventi sullo stile di vita sono combinati. Gli interventi non farmacologici aumentano anche l'abbassamento della pressione arteriosa da parte di agenti farmacologici, anche nei pazienti con ipertensione resistente ai farmaci. Un approccio ragionevole consiste nell'implementare gli interventi che hanno maggiori probabilità di successo, sulla base dei fattori dello stile di vita che sono più subottimali e della disponibilità del paziente ad adottare gli interventi". In pratica si agisce su ciò che non è già stato messo a posto e su quello che il paziente è disposto a variare.

Perdita di peso

"La perdita di peso si ottiene al meglio combinando la riduzione delle calorie e l'attività fisica. L'approccio ideale è graduale e si traduce in una perdita di peso duratura, con un obiettivo di riduzione settimanale di 1-2 kg. Ci si aspetta una riduzione della PAS di circa 1 mm Hg per ogni chilogrammo di peso perso. Tra gli individui con obesità e ipertensione che soddisfano i criteri appropriati (indice di massa corporea >35 e ipertensione scarsamente controllata), la chirurgia bariatrica può indurre una sostanziale perdita di peso e migliorare significativamente la pressione arteriosa".

Assunzione dietetica di sodio e potassio

"Qualsiasi diminuzione dell'assunzione di sodio è utile perché l'associazione tra sodio e riduzione della pressione arteriosa è approssimativamente lineare, con una riduzione di 1000 mg di sodio che risulta in una riduzione della PAS di circa 3 mmHg. Come obiettivo ottimale, i medici possono raccomandare un apporto di sodio inferiore a 1500 mg al giorno. I modelli alimentari associati alla riduzione dell'apporto dietetico di sodio includono il consumo di cibi freschi al posto di quelli sottoposti a processi industriali, la riduzione delle dimensioni delle porzioni, l'evitamento di cibi particolarmente ricchi di sodio, la lettura delle etichette degli alimenti confezionati e preparati, la scelta di condimenti a basso contenuto di sodio e la sostituzione del sodio con l'utilizzo di erbe, spezie o sostituti del sale arricchiti di potassio.

Studi clinici randomizzati hanno dimostrato che l'integrazione di potassio abbassa significativamente la pressione arteriosa".

I modelli dietetici

"Le diete salutari per il cuore, come la dieta mediterranea e la dieta DASH, consistono in cereali integrali, verdure, legumi, pesce, olio d'oliva, frutta, noci, semi, erbe aromatiche e un consumo moderato di alcol (definito come ≤ 1 drink standard al giorno per le donne e ≤2 per gli uomini)". 

Attività fisica

"La maggior parte degli studi clinici che dimostrano un effetto di riduzione della pressione arteriosa dell'attività fisica hanno utilizzato esercizi aerobici come camminata veloce, nuoto, danza o esercizi in palestra. Tuttavia, anche l'esercizio di resistenza dinamica come l'hand grip o lo yoga sono utili. L'esercizio di intensità medio-alta, come la corsa, e l'esercizio aerobico a bassa intensità, come la camminata, possono abbassare la pressione arteriosa. Secondo le prove cliniche, una durata dell'esercizio da 40 a 60 minuti almeno 3 volte a settimana può essere ottimale per l'abbassamento della pressione arteriosa".

Consumo di alcool

"Studi epidemiologici hanno ripetutamente documentato una relazione dose-risposta progressiva, diretta e quantitativa tra il consumo di alcol e il livello di PA, nonché l'incidenza di ipertensione. È ragionevole continuare a consumare piccole quantità di alcol (≤2 drink al giorno per uomini e ≤1 per le donne), ma il consumo di alcol non dovrebbe essere incoraggiato a causa del rischio di incidenti, lesioni e malattie del fegato e della potenziale dipendenza da alcol".

In conclusione vediamo come anche in caso di trattamento farmacologico non si possa prescindere dai buoni comportamenti che lo supportino.

Da non dimenticare che anche la carenza di magnesio gioca un ruolo e aumentare il suo apporto può essere d'aiuto.


Aggiornamento 23/12/2022

Bere 2 o più tazze di caffè al giorno è associato con aumentata mortalità cardiovascolare in persone con ipertensione severa in uno studio giapponese. Questo si rileva in persone con pressione maggiore di 160/100 mmHg, ma non in persone ipertese con valori inferiori. Il tè verde invece non aumenta il rischio anche con pressione elevata.
"È stato dimostrato che il caffè con caffeina, che contiene ingredienti come acido clorogenico e altri composti fenolici, magnesio e trigonellina, abbassa i livelli sierici di colesterolo, migliora la funzione endoteliale e riduce l'infiammazione nelle donne con diabete. Anche i bevitori abituali di caffè possono sviluppare tolleranza alla caffeina, che può ridurre gli effetti avversi della caffeina sugli esiti cardiovascolari. Gli effetti cardiovascolari dannosi della caffeina (ad es. aumento transitorio della pressione arteriosa) sarebbero compensati dagli effetti benefici di questi altri componenti e dalla tolleranza alla caffeina nella popolazione generale. Tuttavia, poiché le persone con ipertensione sono più suscettibili agli effetti della caffeina, gli effetti dannosi della caffeina possono superare i suoi effetti protettivi e aumentare il rischio di mortalità nelle persone con ipertensione grave.
Al contrario, il meccanismo alla base degli effetti benefici del tè verde può essere spiegato dall'effetto dell'epigallocatechina3-gallato, il polifenolo più abbondante nel tè verde. Precedenti studi sugli animali hanno suggerito che l'EGCG può ridurre significativamente i livelli di pressione arteriosa e migliorare la funzione endoteliale nei ratti ipertesi. L'EGCG può anche ridurre lo stress ossidativo, attenuare l'infiammazione e migliorare il profilo lipidico plasmatico. Questi effetti benefici delle catechine del tè verde possono in parte spiegare perché solo il consumo di caffè è stato associato a un aumento del rischio di mortalità nelle persone con ipertensione grave nonostante sia il tè verde che il caffè contengano caffeina".

Aggiornamento 17/2/2023

L'omocisteina alta nel sangue può indurre ipertensione resistente ai farmaci, forse perché danneggia la muscolatura dei vasi e l'endotelio e perché lo stress ossidativo che provoca non permette la produzione di ossido nitrico, determinando vasocostrizione, anche a livello dei vasi cerebrali.
Il prodotto ideale da usare in questi casi dovrebbe contenere metilfolato, N-acetilcisteina e vitamina B6, ma anche metilB12 e vitamina B2 appaiono importanti. Ridurre la pressione significherebbe ridurre il rischio di malattie cardiovascolari come infarto e ictus.

Aggiornamento 14/3/2023

Il microbiota intestinale influenza la pressione sanguigna sia grazie ai suoi metaboliti (SCFA prodotti dalla fermentazione delle fibre) sia metabolizzando i farmaci antipertensivi. Ecco perché alcuni farmaci non funzionano in tutti. Il sodio e i precursori della TMAO (colina, betaina ecc.) stimolano un aumento della pressione. I lattobacilli mitigano lo stimolo del sodio. La presenza di permeabilità intestinale contribuisce all'ipertensione e il sale è un fattore che la peggiora, insieme alla riduzione dello strato di muco legato a una dieta con poche fibre.

Aggiornamento 16/3/2023

La barbabietola è un ortaggio capace di abbassare la pressione grazie alla sua azione sul microbiota e alla produzione di ossido nitrico derivato dai suoi nitrati naturali, che permette il rilassamento dei vasi sanguigni. Anche altri flavonoidi e polifenoli presenti supportano la riduzione della pressione

domenica 30 ottobre 2022

Il bilancio energetico spiegato correttamente

 


Un gruppo di scienziati ha elencato 30 miti/incomprensioni/semplificazioni sull'obesità. Mi limito a illustrare con le loro parole una semplificazione a cui spesso fanno ricorso anche i professionisti: solo le calorie contano.

Infatti sebbene l'aumento (o la diminuzione) di peso sia sempre dovuto a uno squilibrio tra calorie introdotte e quelle consumate, questo equilibrio (o disequilibrio) energetico è influenzato da fattori che non sempre sono sotto il nostro controllo. Ecco perché è sbagliato generalizzare dando tutte le colpe alle persone.


https://www.precisionnutrition.com/all-about-energy-balance



Le leggi della termodinamica non vengono violate, ma l'efficienza (o l'inefficienza) del sistema biologico modula l'utilizzo delle calorie.
L'effetto termico del cibo (produzione di calore dopo il pasto) aumenta con alimenti non processati, con un'alta introduzione totale di calorie e con i grassi a catena media rispetto a quelli a catena lunga; invece può essere ridotto negli obesi e in caso di insulinoresistenza.
Dai nutrienti la cellula ottiene al 40% ATP (la "benzina" per le reazioni cellulari) e al 60% calore. Piccole variazioni di queste percentuali possono influenzare notevolmente il bilancio energetico sul lungo periodo.

"La natura dell'assunzione di cibo e macronutrienti e i processi metabolici postprandiali influenzano tutti l'equilibrio calorico. Per quanto riguarda le "calorie in", i macronutrienti differiscono nella loro densità energetica. Il grado di assorbimento intestinale degli alimenti ingeriti dipende dalla proporzione di fibre digeribili e non digeribili. L'indice e il carico glicemico identificano il grado con cui il cibo aumenta i livelli di glucosio postprandiale nel sangue (glicemia).

Una dieta a basso indice/carico glicemico è focalizzata sulla riduzione della glicemia e dell'insulina postprandiali, mentre una dieta chetogenica è focalizzata sulla riduzione della quantità di carboidrati totali. Le diete chetogeniche sopprimono l'appetito e sono utilizzate come intervento dietetico per promuovere la riduzione del peso nei pazienti con obesità. Alcuni studi suggeriscono che l'associazione tra indice glicemico/carico di alimenti e risultati sulla salute e obesità è equivoca. Mentre l'iperinsulinemia con insulino-resistenza può aumentare l'attività del sistema nervoso simpatico (e potenzialmente aumentare la pressione sanguigna) e facilitare la lipolisi delle cellule adipose, gli effetti dell'insulino-resistenza sul tasso metabolico a riposo (oltre all'aumento associato della massa grassa) non sono evidenti. Tuttavia, altri studi supportano che un elevato indice/carico glicemico alimentare è effettivamente associato a un aumentato rischio di diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari, e che schemi dietetici a basso indice glicemico/carico sono associati a una ridotta incidenza di diabete mellito e malattie cardiovascolari. Inoltre, nel caso specifico, ma illustrativo del diabete mellito gestazionale, le diete a basso indice glicemico riducono il rischio di assunzione di insulina e riducono il rischio di macrosomia (eccessivo peso alla nascita).

Se una dieta a basso contenuto di carboidrati facilita la riduzione del peso, ciò è probabilmente dovuto alla diminuzione della fame, al ridotto apporto energetico e all'aumento spontaneo dell'attività fisica, con possibile attenuazione della diminuzione sia della massa muscolare che della spesa energetica a riposo, che spesso si riscontra con la riduzione del peso. Infine, gli alimenti ad alto indice glicemico possono essere associati all'obesità addominale negli individui e nelle popolazioni suscettibili".

Quali fattori influenzano le calorie in entrata?

Il tipo di alimento influenza l'appetito e la sazietà. "Il marketing alimentare e la stimolazione dei sensi come vista, suono, olfatto, gusto e tatto possono favorire le scelte alimentari. Altri fattori che influenzano il tipo e la quantità di assunzione di cibo includono i tempi e le emozioni durante i pasti, l'ambiente, la ricompensa, lo stress mentale, le malattie psichiatriche e i disturbi alimentari. La restrizione del sonno spesso aumenta la fame, l'appetito, l'assunzione di cibo e il grasso viscerale".

L'assunzione di farmaci può aumentare la fame e quindi l'assunzione calorica, mentre il microbiota può modulare l'estrazione di calorie dalla dieta.

Quali fattori influenzano le calorie in uscita?

Quelli più importanti sono il metabolismo basale, estremamente variabile, e l'attività fisica, sia volontaria che involontaria, anch'essa molto diversa tra gli individui. E come già accennato l'effetto termico del cibo: più mangio e più consumo, e le proteine hanno il maggior effetto.

La quantità e il tipo di grasso (grasso bianco inerte o grasso bruno termogenico) non sono marginali, mentre farmaci e condizioni fisiologiche come gravidanza e allattamento possono aumentare la spesa energetica.

Fare sempre lo stesso tipo di allenamento può portare a una riduzione della spesa energetica per adattamenti che si instaurano, così come stare sempre in restrizione calorica.

Per concludere e riassumere: "nel complesso, sia che si tratti di macronutrienti consumati o immagazzinati, la semplice affermazione di "calorie che entrano è uguale a calorie in uscita" [per avere un bilancio calorico in equilibrio] è clinicamente corretta solo se si comprende la complessità di "calorie in entrata" e "calorie in uscita", nonché le efficienze e le inefficienze metaboliche".




Aggiornamento 20/11/2022

Ritardare i pasti porta a una significativa riduzione dell'ossidazione dei grassi nei confronti dei carboidrati, come si evince da una aumento del quoziente respiratorio, che misura la "miscela" di carboidrati e grassi che viene consumata da noi costantemente. La spesa energetica totale non sembra essere influenzata in maniera significativa, ma in un contesto di eccesso calorico si favorirebbe maggiormente l'accumulo di adipe.

Aggiornamento 28/1/2023

Una revisione degli studi mostra che una significativa porzione delle persone normopeso che perdono peso di proposito, magari per pressioni sociali o distorsione dell'immagine, spesso riacquistano i kg persi con gli interessi. L'analisi suggerisce che indurre un bilancio energetico negativo genera dei comportamenti compensatori di adattamento che persistono oltre la fase in cui si mangia per recuperare il peso. In questo modo ci si può ritrovare con più kg totali, ma meno muscolo e più grasso. Per questo un taglio calorico può, in individui predisposti, favorire un passaggio al sovrappeso o all'obesità.

Aggiornamento 11/2/2023

Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine ​​e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.

Aggiornamento 6/3/2023

Il grasso bruno è presente nelle persone in diverse quantità. Si tratta di un particolare tipo di grasso che dissipa come calore l'energia consumata nei suoi mitocondri (termogenesi). Pur essendo piccola in valore assoluto, la quantità di calorie consumata è comunque importante, tant'è che le persone con più grasso bruno hanno meno tendenza all'obesità e alle malattie metaboliche. Negli studi sui topi emerge che un esposizione acuta a una dieta ad alto contenuto di zucchero aumenta la termogenesi, ma un uso cronico di zucchero la riduce, nonostante aumenti la massa del grasso bruno. Si riduce in generale la capacità di consumare energia ma aumenta quella di metterla da parte, insieme alla produzione di trigliceridi. Ebbene sì, quello che mangiamo può influenzare la spesa energetica.


bozza

 bozza

domenica 4 settembre 2022

L'infiammazione, causa di tanti problemi/bis

 Continua qui il post sulla relazione tra stato infiammatorio e nutrienti.

Aggiornamento 8/9/2022

Secondo una revisione degli studi la supplementazione con omega 3 può diminuire i livelli sierici di TNF-α, IL-6 e CRP, tre marcatori associati all'infiammazione. "I pazienti con malattie la cui patogenesi è correlata all'infiammazione cronica, come cancro, malattie renali, diabete mellito e malattie cardiache, possono beneficiare dell'integrazione di omega 3". Sia EPA che DHA, i 2 principali omega 3, hanno effetto da singoli, ma se usati contemporaneamente l'effetto è migliore e sinergico.

Aggiornamento 26/9/2022

Nelle malattie autoimmuni, a causa di un'interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali si scatena un'infiammazione che altera il funzionamento delle cellule e del sistema immunitario. Le proresolvine, derivati degli omega 3, possono fermare questa infiammazione cronica che concorre alla malattia in maniera diversa dagli antinfiammatori, non bloccandola ma favorendo la sua risoluzione.

"La sclerosi multipla (SM) è attualmente una malattia neurologica incurabile e non traumatica con gravi implicazioni emotive ed economiche. L'infiammazione è considerata un attore importante nella sua patogenesi poiché la mancata risoluzione dell'infiammazione è il fattore unificante delle condizioni patologiche in diverse malattie infiammatorie. Sebbene siano disponibili diversi regimi farmacologici e approcci riabilitativi per la gestione di questa malattia, al momento non sono disponibili strategie efficaci per modulare l'alterazione del sistema immunitario che attacca diversi componenti del sistema nervoso. I farmaci disponibili per il trattamento sono associati a sostanziali effetti avversi che complicano ulteriormente la gestione di questa malattia debilitante. Pertanto, le terapie esistenti possono solo ritardare in una certa misura la progressione della malattia, ma un approccio curativo o riparativo per invertire il danno causato alla mielina rimane elusivo".
Le proresolvine sono un trattamento potenziale e promettente per la SM da verificare negli studi clinici.


Aggiornamento 28/9/2022


Un po' di aggiornamenti su proresolvine, derivati degli omega 3 che favoriscono la risoluzione dell'infiammazione cronica, ed eccesso di peso. La condizione di sovrappeso spesso si lega a un infiammazione di basso grado che è alla base delle patologie collegate, diabete, malattie cardiovascolari e simili.
La mancanza di proresolvine è alla base di questa infiammazione cronica, che forniscono segnali fondamentali per bloccarla.
Insulinoresistenza, pressione alta, steatosi epatica, stress ossidativo, tutte caratteristiche della sindrome metabolica, possono migliorare con le proresolvine. Anche l'infiammazione e la permeabilità intestinale possono migliorare, insieme a un effetto di modulazione del microbiota.
Nei diabetici che si sottopongono a chirurgia bariatrica, la remissione del diabete non avviene in chi ha bassi livelli di proresolvina maresina 1.
Nonostante gli studi sull'uomo siano ancora pochi, il loro uso è promettente.


Aggiornamento 2/10/2022

Diverse prove mostrano che sia negli animali che nell'uomo la restrizione calorica (CR) può avere dei vantaggi in termini di riduzione dell'infiammazione, agendo anche sull'espressione dei geni, sui segnali cellulari (citochine) e sul microbiota.
Tuttavia tra gli effetti collaterali a lungo termine possono esserci: alterazioni della composizione corporea, aumento della sensibilità al freddo, riduzione della forza muscolare, irregolarità mestruali, infertilità, perdita della libido, osteoporosi , guarigione lenta delle ferite, ossessione per il cibo, irritabilità e depressione. Inoltre la CR non assicura vantaggi se utilizzata in tarda età.

Aggiornamento 8/10/2022

Perché l'infiammazione cronica non sparisce con i farmaci? I farmaci antinfiammatori (FANS) agiscono sulle vie dei mediatori dell'infiammazione, bloccandole. Ma in questo modo bloccano anche la produzione di proresolvine, sostanze che favoriscono la fase di risoluzione dell'infiammazione cronica. Con la risoluzione si ha la "rimozione" delle scorie provocate dallo stato infiammatorio e la riparazione dei tessuti, con ritorno alla normale funzione. Ma se questa fase non arriva l'infiammazione rimane cronica, con conseguenti dolori, problemi metabolici e invecchiamento delle strutture



Aggiornamento 4/11/2022

La principale differenza nel consumo tra comune zucchero da tavola (saccarosio) e il fruttosio industriale appare essere l'aumento dei parametri infiammatori indotto dal fruttosio, mentre non ci sono differenze significative nei parametri metabolici (glicemia, colesterolo ecc.), pressori o antropometrici.

Aggiornamento 11/12/2022

In uno studio sono stati confrontati gli effetti di diverse dosi di EPA (omega 3) sulla depressione non trattata. La dose più alta è stata maggiormente efficace nel ridurre lo stato infiammatorio e i sintomi. La correlazione tra calo degli indici infiammatori (PCR) e dei sintomi è stata evidente.

Aggiornamento 18/12/2022

L'ipoglicemia, bassi livelli di glucosio nel sangue, può colpire i diabetici ma anche persone sane. Si tratta di una condizione che può rappresentare uno stress sia a livello cellulare che sistemico e determina una risposta infiammatoria. Nei diabetici può essere dovuta a un errato uso dei farmaci. Se ripetuta nel tempo diventa un fattore di rischio cardiovascolare. L'effetto è dovuto all'aumento dello stress ossidativo che determina infiammazione e disfunzione endoteliale (stress dei vasi sanguigni). L'ipoglicemia inoltre, come qualsiasi stress, stimola le ghiandole surrenali favorendo una risposta immunitaria infiammatoria e un incremento della tendenza alla formazione di trombi che sono alla base delle malattie cardiovascolari.

Aggiornamento 12/2/2023

L'anastomosi è il collegamento tra le viscere che il chirurgo esegue quando interviene nei viscere, per esempio in chirurgia bariatrica o oncologica nell'intestino. Una chiusura imperfetta (Anastomotic leakage, AL) aumenta il rischio di ricorrenza e la mortalità nel tumore al colon. Nel modello animale si è dimostrato che il microbiota intestinale influenza la guarigione dell'anastomosi. Alcuni batteri aumentano quindi il rischio di una guarigione non corretta mentre altri sembrano favorirla. Questo avviene modulando le citochine infiammatorie e la permeabilità intestinale. L'infiammazione ostacola la guarigione, favorendo l'accumulo di globuli bianchi.
"Il ruolo dell'infiammazione subclinica di basso grado viene riconosciuto in diversi disturbi, come la sindrome dell'intestino irritabile e l'obesità, nonché nella fisiopatologia generale dei tumori gastrointestinali.
I pazienti a rischio di sviluppare AL sarebbero candidati per potenziali trattamenti prima dell'intervento chirurgico mirati al microbiota intestinale, come prebiotici, probiotici e postbiotici per attenuare l'infiammazione del colon, rafforzare la barriera intestinale e migliorare la guarigione anastomotica. Inoltre, gli approcci basati sul microbiota potrebbero essere rilevanti per altri interventi gastrointestinali oncologici e non oncologici, comprese le resezioni dell'intestino tenue, l'escissione del tumore transanale e le operazioni gastroduodenali".

Aggiornamento 8/3/2023

Tra le persone che assumono statine, chi ha livelli di infiammazione alti (riscontrabili col semplice esame della PCR) ha ancora rischio cardiovascolare "residuo".
"[…] i dati (potrebbero suggerire) che è improbabile che raggiungere il target dell'LDL da solo riduca completamente il rischio aterosclerotico e che le vie infiammatorie devono ancora essere completamente "utilizzate" per ridurre i tassi di eventi cardiovascolari fatali e non fatali. Riteniamo che l'uso combinato di terapie ipolipemizzanti e antinfiammatorie aggressive potrebbe diventare in futuro uno standard di cura per la malattia aterosclerotica".
L'alimentazione è uno dei principali determinanti dell'infiammazione, quindi per ridurre il rischio cardiovascolare non basta spolverare le statine sopra i fritti.

Aggiornamento 12/3/2023

Muscoli e artrite reumatoide.

La sarcopenia è un disturbo muscolare scheletrico progressivo e generalizzato che comporta la perdita accelerata di forza e massa muscolare. È tipica dell'anziano malnutrito e colpisce circa una persona su quattro con artrite reumatoide (RA).

Le citochine infiammatorie possono accelerare lo sviluppo della sarcopenia attraverso l'aumento della proteolisi muscolare, l'interruzione dell'auto-rinnovamento delle cellule staminali muscolari e la compromissione diretta della forza delle fibre muscolari.
L'esercizio fisico è attualmente l'intervento più efficace per migliorare la forza e la massa muscolare nelle persone con AR.

I principali fattori di rischio per la sarcopenia sono: Inattività fisica, Fumo, Carenza di vitamina D, Basso apporto dietetico di proteine. Nelle persone con AR si aggiungono, tra gli altri, uso di cortisonici, dolore alle articolazioni, stato infiammatorio.
La vitamina D è fondamentale per la salute dei muscoli e la sua carenza può alterare la funzione mitocondriale e indurre l'atrofia del muscolo scheletrico. I livelli sono proporzionali al rischio di sarcopenia e alla forza e chi non la assume ha rischio maggiore.
Gli studi sottolineano l'importanza di un corretto apporto proteico e di un'eventuale supplementazione per la protezione della massa magra.
L'articolo si conclude invitando i reumatologi a un approccio olistico che punti a considerare anche gli aspetti legati allo stile di vita.