Cerca nel blog

lunedì 27 febbraio 2023

Fruttosio industriale, nemico della salute

 

Se mi viene chiesto cosa può far sempre male nell'alimentazione, posso rispondere 3 "ingredienti": grassi trans industriali, alcol e fruttosio industriale. Per quanto riguarda i primi, già i LARN della SINU consigliano di assumerne il meno possibile, salvo poi inserire biscotti, cracker ecc. tra le possibilità. L'alcol non ha una dose sicura, ma un consumo saltuario viene definito tollerabile. Il fruttosio industriale, che si estrae solitamente da cereali come il mais e viene inserito nelle merendine, bibite gassate ecc., è dannoso per diversi motivi e qui illustro alcune ricerche recenti.


https://happyratio.com/blogs/blog/is-fructose-good-or-bad


Alimentarsi in modo più naturale, ossia usando alimenti salutari non alterati dall'industria, è, checché ne dicano personaggi che non capiscono l'alimentazione, quello che ci permette di avere una vita più sana ed è quello che ci indicano le linee guida. Forse non tutti si sono ancora aggiornati. Consumare alimenti confezionati può essere concesso saltuariamente, ma nella quotidianità è bene non usarli.

Il fruttosio industriale per esempio ha un effetto diverso da quello naturalmente contenuto nella frutta a livello cardiovascolare. Mentre il consumo di bibite aumenta il rischio cardiovascolare, la frutta ha una curva a J secondo cui si riduce la mortalità, per cui solo un consumo oltre i 400g al giorno non è più protettivo. In pratica i ricercatori spiegano che le quantità inferiori di fruttosio presenti nella frutta e soprattutto la "matrice" che lo circonda (fibre, vitamine, antiossidanti) impediscono che questo zucchero sia pericoloso in quel contesto. Questi risultati erano talmente attesi che un ricercatore ha pubblicato un editoriale in cui spiega come non ci si debba sorprendere del diverso effetto delle diverse fonti di fruttosio.

Sta prendendo quota l'ipotesi secondo cui il fruttosio sia (co)responsabile della malattia di Alzheimer. Questo avviene mediante l'alterazione di alcune vie metaboliche neuronali, suscitando neuroinfiammazione, atrofia cerebrale e perdita di neuroni. Gli autori parlano di un mal adattamento evoluzionistico, nel senso che si tratta di un effetto relativo alla nostra "impreparazione" a gestire quantità notevoli di questo zucchero, che viene metabolizzato in maniera particolare e che quando è presente in alte quantità "inceppa" le vie metaboliche.

Proprio il suo metabolismo a livello del fegato è responsabile del suo effetto lipogenico. Vengono infatti alterati diversi enzimi, recettori e ormoni epatici in modo da ridurre l'ossidazione dei grassi e favorire le vie anaboliche (costruzione) relative ai grassi.


https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36753292/


 Gli acidi grassi non riescono a entrare facilmente nei mitocondri. L'acetato prodotto dai batteri funge come base per costruire grassi. In questo modo l'energia del cibo non viene consumata ma utilizzata per la sintesi di nuovo grasso e viene favorita la deposizione, sia a livello del tessuto adiposo che del fegato. Il grasso epatico (steatosi) disturba ulteriormente il metabolismo creando un circolo vizioso in cui è più difficile ossidare i grassi, si ha resistenza insulinica e diabete.

Solitamente non è necessario eliminare completamente il fruttosio industriale, ma cerchiamo di evitarlo il più possibile per avere una vita sana.

 

martedì 24 gennaio 2023

Omega 3: proteggono dalle malattie cardiovascolari?


Esistono molti tipi di grassi, alcuni dei quali essenziali, nel senso che il nostro corpo non li può produrre ma dipende dall'introduzione alimentare: gli omega 3 e gli omega 6. In questo articolo ho spiegato le differenze.

http://www.luciomariapollini.com/Articoli/omega%203%206%209.htm


Il tipo di grassi in generale e anche il tipo di omega 3 influenzano la salute a causa di diverse proprietà fisico-chimiche e non solo.

https://www.pinterest.it/pin/319474167290232535/


Gli omega 3 a lunga catena (EPA e DHA) possono avere un effetto nei confronti di dislipidemia e aterosclerosi. Infatti anche quando si raggiunge il corretto livello di LDL (il colesterolo "cattivo" ritenuto un fattore di rischio cardiovascolare) rimane un rischio residuo legato ai trigliceridi alti, che non vengono abbassati dalle statine. Nonostante gli omega 3 abbiano effetto sui livelli di trigliceridi, la diminuzione degli eventi cardiovascolari appare inconsistente e la loro efficacia nei confronti della riduzione della mortalità cardiovascolare è ancora dubbia secondo i risultati dei trial.

Alcune spiegazioni le dà un articolo appena pubblicato. La produzione di questi grassi è piuttosto limitata nell'uomo, a parte nelle donne in età fertile che hanno una discreta conversione di ALA (omega 3 a 18 atomi di carbonio) in DHA che è necessario per lo sviluppo del nascituro. Per questo devono essere necessariamente introdotti con l'alimentazione o l'integrazione. Le specie marine come lo sgombro o il salmone hanno fino a 4 g per porzione rispetto al pesce bianco meno ricco. Ad esempio, la tilapia ha livelli tissutali dieci volte inferiori di omega 3 mentre appare ricca di omega 6. Assumere pesce allevato che assume fonti di omega 6 e non alghe ricche in omega 3 (o pesci che seguono la corretta catena alimentare e quindi ne contengono) fa in modo che sia ricco dei primi e non dei secondi. Per questo esiste forte interesse per gli integratori: il pesce che assumiamo non sempre fornisce omega 3. È corretto usarli? Alcuni integratori di mediocre qualità contengono prodotti ossidati e grassi saturi che possono essere addirittura dannosi. Questi elementi non sono presenti nei prodotti di grado farmaceutico.

Il processo di estrazione che è necessario per gli integratori può degradare gli omega 3 che sono molto delicati, favorendo così un effetto proossidante che è contrario a quello previsto (addirittura incremento dei trigliceridi in un trial).

Una formulazione farmacologica (icosapent etile) di EPA, il grasso omega 3 a 20 atomi di carbonio, appare efficace per ridurre la mortalità in persone ad alto rischio e la progressione dell'aterosclerosi in persone con ipertrigliceridemia.

L'EPA appare più efficace del DHA (che possiede 22 atomi di carbonio e quindi struttura differente) grazie a diversi meccanismi: inibizione della trombosi e dell'attivazione piastrinica, protezione della struttura della membrana cellulare, miglioramento della funzione endoteliale, miglioramento nella distribuzione del colesterolo nella membrana cellulare e maggiore efflusso di colesterolo rispetto al DHA. Il DHA sembra avere maggiore effetto sulla salute cerebrale e sui nervi. I cristalli di colesterolo monoidrato si depositano nelle membrane e nelle placche aterosclerotiche, aumentando l'attivazione dei macrofagi e l'infiammazione. A livello delle placche favoriscono la rottura rendendo instabile la struttura. La rottura della placca è l'evento che precede la formazione del trombo e quindi l'infarto.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8670783/



Usare formule contenenti entrambi i grassi non è efficace come usare solo l'EPA nei confronti del pericolo cardiovascolare.
La riduzione della trigliceridemia avviene mediante alcuni meccanismi principali: aumento della betaossidazione dei grassi nei mitocondri e riduzione della lipogenesi e della produzione di VLDL ricche in trigliceridi. Gli omega 3 attivano il recettore GPR120 che stimola il grasso bruno.
L'attivazione di PPAR-α da parte degli omega 3 riduce i livelli di VLDL e trigliceridi mentre aumenta i livelli circolanti di lipoproteine ​​ad alta densità (HDL) in seguito all'induzione dell'espressione epatica  dell'apolipoproteina A-I e dell'apolipoproteina A-II.

Alcuni degli effetti degli omega 3 sono correlati alla loro influenza sulle membrane cellulari, modulando l'effetto del colesterolo che ha il compito di regolare la fluidità delle membrane: il DHA promuove l'aggregazione del colesterolo stabilizzando le membrane (molto importante per i rapidi cambi conformazionali necessari per la visione) mentre anche in questo caso l'EPA favorisce una protezione dall'aterosclerosi, anche aumentando il trasporto inverso. Per questo il DHA si concentra nei neuroni mentre l'EPA è più importante nelle arterie. 


L'effetto antiossidante sulle membrane dell'EPA è maggiore rispetto agli altri grassi polinsaturi. I grassi con 2 doppi legami o meno non hanno una struttura di risonanza capace di proteggere dall'ossidazione. In questo modo l'EPA riduce le LDL ossidate, un fattore di rischio principale per l'aterosclerosi. L'effetto antiossidante è particolarmente evidente nel caso di diabete dove l'EPA blocca i danni indotti dal glucosio in eccesso. Le statine possono avere un effetto sinergico.
In sintesi i migliori effetti dell'EPA rispetto al DHA nel caso delle malattie cardiovascolari sono dovute soprattutto alle sue proprietà fisico-chimiche e antiossidanti sulle membrane, ma solo appropriate formulazioni sono veramente efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare.

Una recente metanalisi ha mostrato che in generale gli omega 3 sono efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare, nonostante 2 pubblicazioni mostrassero una potenziale efficacia negativa (ossia possibile aumento delle morti), ma le formulazioni con EPA sono più efficaci di quelle con EPA + DHA. Secondo qualcuno il DHA potrebbe addirittura negare i benefici dell'EPA. Un'altra metanalisi evidenzia che gli effetti di riduzione di morte cardiaca, infarto miocardico, rivascolarizzazione coronarica, angina instabile ed eventi vascolari maggiori si notano solo con almeno 1 grammo al giorno, con un maggior rischio di sanguinamento e fibrillazione.

Gli effetti antinfiammatori e restauratori dell'omeostasi degli omega 3 sono dovuti soprattutto ai loro derivati proresolvine (SPM), la cui carenza è legata a progressione dell'aterosclerosi, e agiscono tramite riduzione del traffico di granulociti, generazione di citochine, rimozione del danno cellulare da parte dei macrofagi, modulazione delle diverse cellule immunitarie in modo da risolvere l'infiammazione e riportare l'omeostasi (corretto equilibrio) nei tessuti.  

In una sinossi delle varie linee guida delle società scientifiche, gli autori del lavoro riassumono così: gli omega 3 possono essere utili nell'insufficienza cardiaca, non appaiono utili nelle aritmie (anzi possono aumentare il rischio di fibrillazione atriale), possono aiutare in diverse cardiomiopatie (Chagas, dilatativa, tachicardia atriale). Gli omega 3 possono aiutare ad abbassare la pressione alta e riducono il rischio di morte improvvisa tra il 40 e l'80%. 

Sebbene controversi nella pratica clinica, gli effetti protettivi sulla salute cardiaca sono dovuti sia al miglioramento del quadro lipidico, in particolare riduzione delle VLDL e dei trigliceridi, sia all'azione anti-aterosclerosi tramite regolazione della funzione endoteliale, della stabilità della membrana, dell'infiammazione, delle molecole di adesione, della perossidazione lipidica, mediante la riduzione della formazione della placca aterosclerotica e sua stabilizzazione, riducendo l'attivazione e l'aggregazione piastrinica e regolando la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca. 

Nel 2019 l'EMA ha ritirato l'indicazione all'uso di EPA + DHA per la prevenzione cardiovascolare e in generale le linee guida di varie nazioni li indicano solo per la gestione dell'ipertrigliceridemia. In pratica non c'è dimostrazione che il DHA riduca il rischio cardiovascolare; esiste invece per l'EPA purificato. Gli esperti cinesi inoltre raccomandano l'EPA più del mix per proteggere dalla rivascolarizzazione in chi abbia avuto eventi. Tra gli effetti collaterali si registrano lievi aumenti nel rischio di fibrillazione atriale e sanguinamento e qualche problema gastrointestinale.

In definitiva per avere una significativa riduzione del pericolo cardiovascolare è necessario probabilmente usare la formulazione farmacologica di omega 3 (icosapent-etile) mentre i comuni integratori sono d'aiuto solo se di buona qualità e senza risultati eccelsi. 

Aggiornamento 14/2/2023

L'uso di olio di pesce ricco in omega 3 in persone con artrite reumatoide aumenta i livelli di proresolvine, mediatori specifici per la risoluzione dell'infiammazione cronica.

martedì 27 dicembre 2022

Le diete alla moda

 

Nella nutrizione spesso si sente parlare di "dieta alla moda" (fad diet in inglese, FD). Di cosa si tratta? Il termine è usato per le diete che di solito hanno un nome accattivante ma per il quale non esiste una forte dimostrazione scientifica di efficacia, in particolare nel lungo termine. 


Solitamente sono raccomandate da qualche santone messo ai margini dalla comunità scientifica e hanno alcuni testimonial famosi che in poco tempo hanno perso peso e guarito tutti i propri mali.




Spesso infatti queste diete promettono risultati veloci con poco sforzo e in assenza di attività fisica. Escludono alcuni alimenti e possono essere nutrizionalmente inadeguate o carenti di alcuni nutrienti. 

Un gruppo di ricercatori ha revisionato i dati pubblicati su alcune note diete per verificare la loro utilità, il loro presupposto scientifico e la potenziale pericolosità. Di alcune di queste ho già scritto e troverete i link nel paragrafo.

La dieta Atkins, una dieta ad alto contenuto proteico e ipoglucidica, fu messa a punto dal cardiologo Atkins negli anni 70 del secolo scorso. In alcuni studi ha mostrato di migliorare i parametri cardiometabolici (glicemia, colesterolo ecc.). Il dimagrimento può essere maggiore rispetto ad altri regimi. Le conclusioni invitano a seguire la dieta solo sotto supervisione di esperti. 

La dieta chetogenica (KD) è abbastanza simile all'Atkins, con un contenuto di carboidrati ancora inferiore. Lo stato di chetosi può ridurre lo stimolo insulinico all'immagazzinamento dei nutrienti e favorire così il dimagrimento. Paragonato a una dieta classica, la KD può favorire un maggiore dimagrimento, che però non sempre è mantenuto e non in tutti gli studi risulta superiore nel lungo termine. In alcuni casi si è visto un peggioramento del quadro lipidico nel lungo termine. Gli effetti collaterali solitamente sono superabili e temporanei, solo raramente si sono avuti problemi ossei e al metabolismo del calcio. È ormai utilizzabile in sicurezza sotto supervisione di esperti, ma il risultato sul lungo termine può essere deludente se non si mantengono i comportamenti corretti.

La dieta paleo esclude gli alimenti che abbiamo introdotto con la rivoluzione agricola: cereali, legumi, latticini e qualsiasi alimento industriale. Questo dovrebbe corrispondere all'alimentazione dei vecchi cacciatori-raccoglitori. In realtà non era esattamente così e saltuariamente i nostri antenati consumavano anche alcuni di questi alimenti. Non si danno grosse indicazioni sulle porzioni ed esistono 3 livelli di aderenza. La dieta può dare benefici in alcuni sottogruppi di persone e in alcune patologie, per esempio intestinali, ma allo stesso tempo essere negativa per altri. I risultati sui parametri metabolici sono ugualmente misti. La dieta viene descritta come costosa e difficile da seguire per lungo tempo. La principale carenza che può essere rilevata con la paleo è quella di calcio. Appare una dieta efficace nel dimagrimento ma non vi sono studi che dimostrino il miglioramento del rischio cardiovascolare nel lungo periodo. 

La dieta mediterranea viene descritta come il regime ideale e senza conseguenze negative sul lungo periodo. "È altamente adatta al pubblico in generale per la prevenzione delle carenze di micronutrienti e in particolare per quei pazienti che sono più attenti alla salute che orientati solo alla perdita di peso". È il modello attualmente più usato e le linee guida per la popolazione generali si rifanno a questo modello dietetico.

Le diete vegetariane possono avere effetti favorevoli sulla salute ma devono essere correttamente bilanciate e integrate perché espongono alla carenza di alcuni nutrienti come vitamina B12, D, calcio, ferro, zinco e acidi grassi essenziali come gli omega 3. Possono essere nutrizionalmente adeguate e utili nella prevenzione e nel trattamento di alcune malattie croniche. "Benefici e rischi dipendono dalle scelte dietetiche, quindi il piano individualizzato che soddisfa i requisiti di micronutrienti deve essere attentamente sviluppato da un professionista".

Il digiuno intermittente (IF) può essere realizzato in diversi modi. Alcuni studi hanno mostrato la sua efficacia nel dimagrimento e nel migliorare il quadro metabolico, ma nel medio periodo non si osservano particolari benefici rispetto a una continua restrizione calorica classica. Il IF può favorire oscillazioni troppo ampie nella quantità di acidi grassi liberi nel sangue e questo è stato associato  a peggioramento del metabolismo glucidico. Anche in questo caso mancano studi a lungo termine sulla sostenibilità e sugli effetti sulla salute.

Le diete detox derivano dalle antiche culture greche, romane ecc. in cui si pensava di purificare il corpo dopo eccessi o presunte intossicazioni. Ne sono disponibili varie forme commerciali con digiuni, clisteri, succhi purificatori, lassativi, vitamine ecc. Le diete detox favoriscono il dimagrimento ma apparentemente solo grazie alla restrizione calorica. Sappiamo bene che questo meccanismo può favorire il recupero del peso riducendo la spesa energetica e aumentando l'appetito, in particolare per i cibi spazzatura, nel medio-lungo periodo. Il rischio di insufficiente introduzione di alcuni nutrienti è reale e attualmente la dieta non dovrebbe essere consigliata dai professionisti.

La review conclude così: "Le diete alla moda facilitano la perdita di peso facile e veloce, migliorano l'aspetto e non richiedono molto tempo per ottenere i risultati. Queste diete sono efficaci nel migliorare la salute in una certa misura. Tuttavia, l'aderenza è sempre una preoccupazione significativa a causa delle combinazioni irrealistiche e dell'inadeguatezza nutrizionale dovuta alla completa eliminazione di uno o più gruppi alimentari essenziali. Nonostante la rapida riduzione del peso, ci sono alcune preoccupazioni per le persone con comorbidità. Tutte queste diete non sono state ampiamente studiate mentre gli studi che sono stati citati in letteratura hanno alti tassi di abbandono e talvolta non sono conclusivi. È necessario eseguire più studi randomizzati controllati di durata prolungata per stabilire la sicurezza delle FD per il pubblico e per rendere le persone consapevoli delle possibili conseguenze dell'adesione a lungo termine a tali modelli dietetici".

Ribadiamo inoltre che i veloci dimagrimenti, tra l'altro con qualsiasi dieta e non solo con le FD, sono destinati a far prendere più kg di prima sul medio lungo periodo se i buoni comportamenti non sono mantenuti.



Il mio invito è sempre quello di attuare una dieta che possiate mantenere sul lungo periodo e non solo per poche settimane. In generale l'abbinamento dell'attività fisica è benefico e necessario. Alcune diete "alla moda" in alcuni casi hanno mostrato di essere utili e non solo essere fantasie di scienziati usciti di testa, ma studi più lunghi e con più persone devono dimostrare la loro applicabilità, sicurezza e soprattutto chi può trarne vantaggio.


Aggiornamento 16/1/2023

Alcuni ricercatori hanno revisionato i lavori scientifici su paleodieta (PD) e malattie tiroidee autoimmuni (AITD) come Hashimoto e Basedow. Nei diversi motori di ricerca sono stati trovati uno studio controllato randomizzato (RCT), uno studio pilota e sei casi singoli (case-study). Si tratta quindi di numeri ridotti. Tutti hanno comunque riportato miglioramenti significativi a livello clinico, in 2 casi la remissione della malattia.
"Dopo una valutazione strutturata degli interventi nutrizionali che utilizzano la PD sugli effetti dell'AITD, si è concluso che gli alimenti di natura ancestrale insieme all'aggiunta di integratori specifici, componenti alimentari, esercizio fisico e meditazione consapevole ed esclusione dei cibi moderni hanno un impatto considerevole sugli anticorpi tiroidei e gli ormoni. Gli studi pertinenti suggeriscono che questo protocollo dietetico può essere utile nella pratica clinica ma è necessario condurre studi su larga scala".
In sintesi: 1) Attualmente non ci sono interventi dietetici raccomandati per il trattamento delle malattie autoimmuni tiroidee. È stato documentato che la dieta Paleo migliora gli anticorpi nelle AITD e gli ormoni tiroidei sia nella tiroidite di Hashimoto che nella malattia di Basedow-Graves.
2) La dieta Paleo può fornire una fonte naturale di nutrienti simili ai supplementi che hanno mostrato risultati positivi sull'AITD.
3) La dieta paleo fornisce specifiche percentuali di macronutrienti che possono essere utili nel ridurre gli anticorpi nelle AITD, migliorando al contempo gli ormoni tiroidei.
4) Il supporto della metilazione mediante supplementi può essere utile nei casi di AITD.

Aggiornamento 11/2/2023

Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine ​​e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.

Aggiornamento 20/2/2023

L' Istituto Superiore di Sanità ha finalmente approvato le linee guida dietetiche delle principali società scientifiche italiane nei riguardi dell'obesità: sia l'approccio mediterraneo che la dieta chetogenica con prodotti sostitutivi sono opzioni praticabili.

mercoledì 7 dicembre 2022

L'alimentazione può influenzare il cortisolo


Il cortisolo è l'ormone che viene prodotto in risposta allo stress, favorendo una serie di modificazioni metaboliche che permette di superare il momento di difficoltà. Purtroppo queste modifiche non sono favorevoli per la composizione corporea, perché si favorisce la trasformazione dei muscoli in zucchero per avere pronta energia, si perde calcio dalle ossa e si favorisce l'accumulo di grasso viscerale.
Il cortisolo può "sabotare" la dieta e chi ha valori più alti ha più alto rischio di recupero del peso, anche inducendo desiderio di cibo.


https://twitter.com/iheartguts/status/1351283251332194306



Alcune componenti della dieta possono influenzare i livelli di cortisolo e la sua azione. Andare in ipoglicemia è un fattore di stimolo per il cortisolo, per cui lunghi digiuni e allenamenti eccessivi senza ricariche hanno effetto negativo sulla muscolatura.
Tra gli aminoacidi, il triptofano può ridurre il cortisolo mentre glutammina e arginina non sono efficaci.
Tra i supplementi, la fosfatidilserina si è dimostrata efficace nel ridurre il cortisolo.
Il GABA è un neurotrasmettitore che riduce la secrezione di CRH, l'ormone che stimola l'ipofisi che a sua volta porta al rilascio del cortisolo.





Alimenti a base di latte fermentato, germogli di riso integrale, orzo e fagioli contengono GABA, così come alcuni integratori, ma questi ultimi sono stati osservati avere potenziali effetti avversi.
Litio, vitamina B6, vitamina B12 e folati migliorano l'attività GABAergica, la taurina migliora quella del recettore. Anche praticare yoga aumenta il GABA.
Vitamina C, D e alcune del gruppo B sono associate in alcuni studi a miglioramento del metabolismo del cortisolo. Anche gli omega 3 e la vitamina E potrebbero ridurlo, ma per tutti questi elementi non ci sono prove definitive. L'EGCG del tè verde è invece efficace nel bloccare la conversione di cortisone in cortisolo. Il caffè invece stimola la produzione di cortisolo, agendo sulle ghiandole surrenali. La betaina e l'ornitina riducono il cortisolo negli sportivi; la prima supporta la crescita muscolare, la seconda migliora il sonno.

Il cortisolo ha comunque anche funzioni utili nei confronti dell'infiammazione, ma purtroppo "è stato dimostrato che le malattie infiammatorie e immunitarie croniche portano alla resistenza all'azione antinfiammatoria dei glucocorticosteroidi, compreso il cortisolo. Ruijters et al. hanno dimostrato che componenti bioattivi di origine alimentare, grazie alla loro attività antiossidante, possono proteggere le funzioni positive del cortisolo sul processo infiammatorio. Tra i componenti con maggiore attività protettiva vi erano la curcumina, il resveratrolo, la crisina, la genisteina, il 7-mono-O-(β-idrossietil)-rutoside e la teofillina".
Alcuni estratti vegetali come Tongkat Ali (ginseng malese) e Rhodiola rosea hanno mostrato interessanti proprietà nella modulazione dell'azione del cortisolo.

Gli autori dell'articolo concludono indicando che la modulazione del cortisolo mediante nutrienti e integratori può essere utile negli sportivi e nelle persone stressate per migliorare la performance e la qualità della vita.

Altre considerazioni:

Le diete ipocaloriche (in generale) e quelle low carb aumentano il cortisolo, perché la restrizione calorica viene vista dal corpo come fonte di stress

Il sito Healthline indica come alimenti per ridurre il cortisolo, compresi in una dieta nutrizionalmente densa, il cacao amaro, cereali integrali e legumi, frutta e verdura, grassi sani, tè verde, probiotici e prebiotici, acqua a sufficienza per evitare la disidratazione. Inoltre come supplementi gli omega 3 e l'ashwagandha.

Il sito MNT raccomanda anche aglio e banane, con la raccomandazione di evitare la caffeina.

Entrambi i siti insistono sulla vita senza stress, socialità, sonno, risate, divertimento ecc.

Aggiornamento 18/1/2023

È stato confrontato l'effetto sullo stress di 3 tecniche di respirazione. "Sospiro ciclico", in cui si dedica più tempo e pensiero all'espirazione che all'inalazione o al blocco del respiro; "respirazione a scatola", in cui la respirazione e il blocco vengono eseguiti per la stessa quantità di tempo; iperventilazione ciclica, in cui le inalazioni durano più a lungo delle esalazioni.
Il 90% dei volontari ha riportato un miglioramento dello stress. La tecnica maggiormente efficace è stata quella del sospiro ciclico. Queste tecniche si sono rivelate più efficaci della meditazione.

Aggiornamento 11/2/2023

Le persone con artrite reumatoide, una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni, hanno problemi a dormire a causa dei dolori e questo può formare un circolo vizioso perché si alterano gli ormoni glucocorticoidi (cortisolo) che dovrebbero ridurre dolore e infiammazione. Inoltre i messaggeri infiammatori riducono ulteriormente l'effetto antinfiammatorio del cortisolo e i recettori diventano resistenti alla sua azione. Anche la produzione di melatonina viene ridotta, aumentando i problemi di infiammazione e di insonnia. Il sonno alterato di per sé aumenta inoltre la sensibilità al dolore. Sapevi che le malattie autoimmuni migliorano adottando una corretta alimentazione?

Aggiornamento 20/2/2023

La sindrome dell'intestino irritabile (IBS) è spesso accompagnata da problematiche psicologiche come ansia e depressione legate allo stress. Un probiotico misto con 2 bifidobatteri può contrastare lo stress in persone con sindrome dell'intestino irritabile. Un ceppo (B. infantis 35624) contrasta i dolori addominali mentre l'altro (1714) migliora la risposta allo stress. Le persone infatti possono avere un'alterazione dell'asse surrenalico legata alle citochine infiammatorie indotte dall'intestino irritabile e i 2 ceppi lavorano così in modo sinergico, migliorando ansia, depressione e sonno.

giovedì 17 novembre 2022

Pressione: come farla scendere

 


L'ipertensione arteriosa, o pressione sanguigna elevata, è una condizione che stressa il sistema cardiovascolare ed è probabilmente la prima causa di malattie cardiovascolari ed eventi acuti come infarti e ictus.


http://joyreactor.com/post/442523


Quello farmacologico dovrebbe essere il primo approccio per l'ipertensione? No, le linee guida prevedono innanzitutto le modifiche dello stile di vita. Qualche medico vi ha prescritto dieta e attività fisica?

Secondo il giornale dei medici americani, JAMA, "la terapia di prima linea per l'ipertensione è la modifica dello stile di vita, consistente in perdita di peso, riduzione di sodio nella dieta e supplementazione di potassio, dieta sana, attività fisica e consumo limitato di alcol. Quando è necessaria la terapia farmacologica, le terapie di prima scelta sono i diuretici tiazidici, gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina o i bloccanti del recettore dell'angiotensina e i calcio-antagonisti".


Precisa l'articolo: "Gli interventi non farmacologici consolidati per la prevenzione e il trattamento dell'ipertensione sono la perdita di peso, la riduzione del sodio nella dieta, l'aumento dell'assunzione di potassio, il consumo di una dieta sana per il cuore, l'impegno nell'attività fisica e la riduzione del consumo di alcol. Anche se non facile da raggiungere e sostenere, il cambiamento del comportamento è fattibile, specialmente nei pazienti motivati ​​sostenuti da professionisti qualificati con il rinforzo del medico. Ciascuno di questi interventi può ridurre la pressione massima (sistolica) media di circa 5 mmHg negli adulti con ipertensione e di circa 2-3 mmHg negli adulti non ipertesi. Sono possibili maggiori riduzioni della PA in individui con valori iniziali più alti quando gli interventi sullo stile di vita sono combinati. Gli interventi non farmacologici aumentano anche l'abbassamento della pressione arteriosa da parte di agenti farmacologici, anche nei pazienti con ipertensione resistente ai farmaci. Un approccio ragionevole consiste nell'implementare gli interventi che hanno maggiori probabilità di successo, sulla base dei fattori dello stile di vita che sono più subottimali e della disponibilità del paziente ad adottare gli interventi". In pratica si agisce su ciò che non è già stato messo a posto e su quello che il paziente è disposto a variare.

Perdita di peso

"La perdita di peso si ottiene al meglio combinando la riduzione delle calorie e l'attività fisica. L'approccio ideale è graduale e si traduce in una perdita di peso duratura, con un obiettivo di riduzione settimanale di 1-2 kg. Ci si aspetta una riduzione della PAS di circa 1 mm Hg per ogni chilogrammo di peso perso. Tra gli individui con obesità e ipertensione che soddisfano i criteri appropriati (indice di massa corporea >35 e ipertensione scarsamente controllata), la chirurgia bariatrica può indurre una sostanziale perdita di peso e migliorare significativamente la pressione arteriosa".

Assunzione dietetica di sodio e potassio

"Qualsiasi diminuzione dell'assunzione di sodio è utile perché l'associazione tra sodio e riduzione della pressione arteriosa è approssimativamente lineare, con una riduzione di 1000 mg di sodio che risulta in una riduzione della PAS di circa 3 mmHg. Come obiettivo ottimale, i medici possono raccomandare un apporto di sodio inferiore a 1500 mg al giorno. I modelli alimentari associati alla riduzione dell'apporto dietetico di sodio includono il consumo di cibi freschi al posto di quelli sottoposti a processi industriali, la riduzione delle dimensioni delle porzioni, l'evitamento di cibi particolarmente ricchi di sodio, la lettura delle etichette degli alimenti confezionati e preparati, la scelta di condimenti a basso contenuto di sodio e la sostituzione del sodio con l'utilizzo di erbe, spezie o sostituti del sale arricchiti di potassio.

Studi clinici randomizzati hanno dimostrato che l'integrazione di potassio abbassa significativamente la pressione arteriosa".

I modelli dietetici

"Le diete salutari per il cuore, come la dieta mediterranea e la dieta DASH, consistono in cereali integrali, verdure, legumi, pesce, olio d'oliva, frutta, noci, semi, erbe aromatiche e un consumo moderato di alcol (definito come ≤ 1 drink standard al giorno per le donne e ≤2 per gli uomini)". 

Attività fisica

"La maggior parte degli studi clinici che dimostrano un effetto di riduzione della pressione arteriosa dell'attività fisica hanno utilizzato esercizi aerobici come camminata veloce, nuoto, danza o esercizi in palestra. Tuttavia, anche l'esercizio di resistenza dinamica come l'hand grip o lo yoga sono utili. L'esercizio di intensità medio-alta, come la corsa, e l'esercizio aerobico a bassa intensità, come la camminata, possono abbassare la pressione arteriosa. Secondo le prove cliniche, una durata dell'esercizio da 40 a 60 minuti almeno 3 volte a settimana può essere ottimale per l'abbassamento della pressione arteriosa".

Consumo di alcool

"Studi epidemiologici hanno ripetutamente documentato una relazione dose-risposta progressiva, diretta e quantitativa tra il consumo di alcol e il livello di PA, nonché l'incidenza di ipertensione. È ragionevole continuare a consumare piccole quantità di alcol (≤2 drink al giorno per uomini e ≤1 per le donne), ma il consumo di alcol non dovrebbe essere incoraggiato a causa del rischio di incidenti, lesioni e malattie del fegato e della potenziale dipendenza da alcol".

In conclusione vediamo come anche in caso di trattamento farmacologico non si possa prescindere dai buoni comportamenti che lo supportino.

Da non dimenticare che anche la carenza di magnesio gioca un ruolo e aumentare il suo apporto può essere d'aiuto.


Aggiornamento 23/12/2022

Bere 2 o più tazze di caffè al giorno è associato con aumentata mortalità cardiovascolare in persone con ipertensione severa in uno studio giapponese. Questo si rileva in persone con pressione maggiore di 160/100 mmHg, ma non in persone ipertese con valori inferiori. Il tè verde invece non aumenta il rischio anche con pressione elevata.
"È stato dimostrato che il caffè con caffeina, che contiene ingredienti come acido clorogenico e altri composti fenolici, magnesio e trigonellina, abbassa i livelli sierici di colesterolo, migliora la funzione endoteliale e riduce l'infiammazione nelle donne con diabete. Anche i bevitori abituali di caffè possono sviluppare tolleranza alla caffeina, che può ridurre gli effetti avversi della caffeina sugli esiti cardiovascolari. Gli effetti cardiovascolari dannosi della caffeina (ad es. aumento transitorio della pressione arteriosa) sarebbero compensati dagli effetti benefici di questi altri componenti e dalla tolleranza alla caffeina nella popolazione generale. Tuttavia, poiché le persone con ipertensione sono più suscettibili agli effetti della caffeina, gli effetti dannosi della caffeina possono superare i suoi effetti protettivi e aumentare il rischio di mortalità nelle persone con ipertensione grave.
Al contrario, il meccanismo alla base degli effetti benefici del tè verde può essere spiegato dall'effetto dell'epigallocatechina3-gallato, il polifenolo più abbondante nel tè verde. Precedenti studi sugli animali hanno suggerito che l'EGCG può ridurre significativamente i livelli di pressione arteriosa e migliorare la funzione endoteliale nei ratti ipertesi. L'EGCG può anche ridurre lo stress ossidativo, attenuare l'infiammazione e migliorare il profilo lipidico plasmatico. Questi effetti benefici delle catechine del tè verde possono in parte spiegare perché solo il consumo di caffè è stato associato a un aumento del rischio di mortalità nelle persone con ipertensione grave nonostante sia il tè verde che il caffè contengano caffeina".

Aggiornamento 17/2/2023

L'omocisteina alta nel sangue può indurre ipertensione resistente ai farmaci, forse perché danneggia la muscolatura dei vasi e l'endotelio e perché lo stress ossidativo che provoca non permette la produzione di ossido nitrico, determinando vasocostrizione, anche a livello dei vasi cerebrali.
Il prodotto ideale da usare in questi casi dovrebbe contenere metilfolato, N-acetilcisteina e vitamina B6, ma anche metilB12 e vitamina B2 appaiono importanti. Ridurre la pressione significherebbe ridurre il rischio di malattie cardiovascolari come infarto e ictus.

Aggiornamento 14/3/2023

Il microbiota intestinale influenza la pressione sanguigna sia grazie ai suoi metaboliti (SCFA prodotti dalla fermentazione delle fibre) sia metabolizzando i farmaci antipertensivi. Ecco perché alcuni farmaci non funzionano in tutti. Il sodio e i precursori della TMAO (colina, betaina ecc.) stimolano un aumento della pressione. I lattobacilli mitigano lo stimolo del sodio. La presenza di permeabilità intestinale contribuisce all'ipertensione e il sale è un fattore che la peggiora, insieme alla riduzione dello strato di muco legato a una dieta con poche fibre.

Aggiornamento 16/3/2023

La barbabietola è un ortaggio capace di abbassare la pressione grazie alla sua azione sul microbiota e alla produzione di ossido nitrico derivato dai suoi nitrati naturali, che permette il rilassamento dei vasi sanguigni. Anche altri flavonoidi e polifenoli presenti supportano la riduzione della pressione

domenica 30 ottobre 2022

Il bilancio energetico spiegato correttamente

 


Un gruppo di scienziati ha elencato 30 miti/incomprensioni/semplificazioni sull'obesità. Mi limito a illustrare con le loro parole una semplificazione a cui spesso fanno ricorso anche i professionisti: solo le calorie contano.

Infatti sebbene l'aumento (o la diminuzione) di peso sia sempre dovuto a uno squilibrio tra calorie introdotte e quelle consumate, questo equilibrio (o disequilibrio) energetico è influenzato da fattori che non sempre sono sotto il nostro controllo. Ecco perché è sbagliato generalizzare dando tutte le colpe alle persone.


https://www.precisionnutrition.com/all-about-energy-balance



Le leggi della termodinamica non vengono violate, ma l'efficienza (o l'inefficienza) del sistema biologico modula l'utilizzo delle calorie.
L'effetto termico del cibo (produzione di calore dopo il pasto) aumenta con alimenti non processati, con un'alta introduzione totale di calorie e con i grassi a catena media rispetto a quelli a catena lunga; invece può essere ridotto negli obesi e in caso di insulinoresistenza.
Dai nutrienti la cellula ottiene al 40% ATP (la "benzina" per le reazioni cellulari) e al 60% calore. Piccole variazioni di queste percentuali possono influenzare notevolmente il bilancio energetico sul lungo periodo.

"La natura dell'assunzione di cibo e macronutrienti e i processi metabolici postprandiali influenzano tutti l'equilibrio calorico. Per quanto riguarda le "calorie in", i macronutrienti differiscono nella loro densità energetica. Il grado di assorbimento intestinale degli alimenti ingeriti dipende dalla proporzione di fibre digeribili e non digeribili. L'indice e il carico glicemico identificano il grado con cui il cibo aumenta i livelli di glucosio postprandiale nel sangue (glicemia).

Una dieta a basso indice/carico glicemico è focalizzata sulla riduzione della glicemia e dell'insulina postprandiali, mentre una dieta chetogenica è focalizzata sulla riduzione della quantità di carboidrati totali. Le diete chetogeniche sopprimono l'appetito e sono utilizzate come intervento dietetico per promuovere la riduzione del peso nei pazienti con obesità. Alcuni studi suggeriscono che l'associazione tra indice glicemico/carico di alimenti e risultati sulla salute e obesità è equivoca. Mentre l'iperinsulinemia con insulino-resistenza può aumentare l'attività del sistema nervoso simpatico (e potenzialmente aumentare la pressione sanguigna) e facilitare la lipolisi delle cellule adipose, gli effetti dell'insulino-resistenza sul tasso metabolico a riposo (oltre all'aumento associato della massa grassa) non sono evidenti. Tuttavia, altri studi supportano che un elevato indice/carico glicemico alimentare è effettivamente associato a un aumentato rischio di diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari, e che schemi dietetici a basso indice glicemico/carico sono associati a una ridotta incidenza di diabete mellito e malattie cardiovascolari. Inoltre, nel caso specifico, ma illustrativo del diabete mellito gestazionale, le diete a basso indice glicemico riducono il rischio di assunzione di insulina e riducono il rischio di macrosomia (eccessivo peso alla nascita).

Se una dieta a basso contenuto di carboidrati facilita la riduzione del peso, ciò è probabilmente dovuto alla diminuzione della fame, al ridotto apporto energetico e all'aumento spontaneo dell'attività fisica, con possibile attenuazione della diminuzione sia della massa muscolare che della spesa energetica a riposo, che spesso si riscontra con la riduzione del peso. Infine, gli alimenti ad alto indice glicemico possono essere associati all'obesità addominale negli individui e nelle popolazioni suscettibili".

Quali fattori influenzano le calorie in entrata?

Il tipo di alimento influenza l'appetito e la sazietà. "Il marketing alimentare e la stimolazione dei sensi come vista, suono, olfatto, gusto e tatto possono favorire le scelte alimentari. Altri fattori che influenzano il tipo e la quantità di assunzione di cibo includono i tempi e le emozioni durante i pasti, l'ambiente, la ricompensa, lo stress mentale, le malattie psichiatriche e i disturbi alimentari. La restrizione del sonno spesso aumenta la fame, l'appetito, l'assunzione di cibo e il grasso viscerale".

L'assunzione di farmaci può aumentare la fame e quindi l'assunzione calorica, mentre il microbiota può modulare l'estrazione di calorie dalla dieta.

Quali fattori influenzano le calorie in uscita?

Quelli più importanti sono il metabolismo basale, estremamente variabile, e l'attività fisica, sia volontaria che involontaria, anch'essa molto diversa tra gli individui. E come già accennato l'effetto termico del cibo: più mangio e più consumo, e le proteine hanno il maggior effetto.

La quantità e il tipo di grasso (grasso bianco inerte o grasso bruno termogenico) non sono marginali, mentre farmaci e condizioni fisiologiche come gravidanza e allattamento possono aumentare la spesa energetica.

Fare sempre lo stesso tipo di allenamento può portare a una riduzione della spesa energetica per adattamenti che si instaurano, così come stare sempre in restrizione calorica.

Per concludere e riassumere: "nel complesso, sia che si tratti di macronutrienti consumati o immagazzinati, la semplice affermazione di "calorie che entrano è uguale a calorie in uscita" [per avere un bilancio calorico in equilibrio] è clinicamente corretta solo se si comprende la complessità di "calorie in entrata" e "calorie in uscita", nonché le efficienze e le inefficienze metaboliche".




Aggiornamento 20/11/2022

Ritardare i pasti porta a una significativa riduzione dell'ossidazione dei grassi nei confronti dei carboidrati, come si evince da una aumento del quoziente respiratorio, che misura la "miscela" di carboidrati e grassi che viene consumata da noi costantemente. La spesa energetica totale non sembra essere influenzata in maniera significativa, ma in un contesto di eccesso calorico si favorirebbe maggiormente l'accumulo di adipe.

Aggiornamento 28/1/2023

Una revisione degli studi mostra che una significativa porzione delle persone normopeso che perdono peso di proposito, magari per pressioni sociali o distorsione dell'immagine, spesso riacquistano i kg persi con gli interessi. L'analisi suggerisce che indurre un bilancio energetico negativo genera dei comportamenti compensatori di adattamento che persistono oltre la fase in cui si mangia per recuperare il peso. In questo modo ci si può ritrovare con più kg totali, ma meno muscolo e più grasso. Per questo un taglio calorico può, in individui predisposti, favorire un passaggio al sovrappeso o all'obesità.

Aggiornamento 11/2/2023

Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine ​​e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.

Aggiornamento 6/3/2023

Il grasso bruno è presente nelle persone in diverse quantità. Si tratta di un particolare tipo di grasso che dissipa come calore l'energia consumata nei suoi mitocondri (termogenesi). Pur essendo piccola in valore assoluto, la quantità di calorie consumata è comunque importante, tant'è che le persone con più grasso bruno hanno meno tendenza all'obesità e alle malattie metaboliche. Negli studi sui topi emerge che un esposizione acuta a una dieta ad alto contenuto di zucchero aumenta la termogenesi, ma un uso cronico di zucchero la riduce, nonostante aumenti la massa del grasso bruno. Si riduce in generale la capacità di consumare energia ma aumenta quella di metterla da parte, insieme alla produzione di trigliceridi. Ebbene sì, quello che mangiamo può influenzare la spesa energetica.