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domenica 30 ottobre 2022

Il bilancio energetico spiegato correttamente

 


Un gruppo di scienziati ha elencato 30 miti/incomprensioni/semplificazioni sull'obesità. Mi limito a illustrare con le loro parole una semplificazione a cui spesso fanno ricorso anche i professionisti: solo le calorie contano.

Infatti sebbene l'aumento (o la diminuzione) di peso sia sempre dovuto a uno squilibrio tra calorie introdotte e quelle consumate, questo equilibrio (o disequilibrio) energetico è influenzato da fattori che non sempre sono sotto il nostro controllo. Ecco perché è sbagliato generalizzare dando tutte le colpe alle persone.


https://www.precisionnutrition.com/all-about-energy-balance



Le leggi della termodinamica non vengono violate, ma l'efficienza (o l'inefficienza) del sistema biologico modula l'utilizzo delle calorie.
L'effetto termico del cibo (produzione di calore dopo il pasto) aumenta con alimenti non processati, con un'alta introduzione totale di calorie e con i grassi a catena media rispetto a quelli a catena lunga; invece può essere ridotto negli obesi e in caso di insulinoresistenza.
Dai nutrienti la cellula ottiene al 40% ATP (la "benzina" per le reazioni cellulari) e al 60% calore. Piccole variazioni di queste percentuali possono influenzare notevolmente il bilancio energetico sul lungo periodo.

"La natura dell'assunzione di cibo e macronutrienti e i processi metabolici postprandiali influenzano tutti l'equilibrio calorico. Per quanto riguarda le "calorie in", i macronutrienti differiscono nella loro densità energetica. Il grado di assorbimento intestinale degli alimenti ingeriti dipende dalla proporzione di fibre digeribili e non digeribili. L'indice e il carico glicemico identificano il grado con cui il cibo aumenta i livelli di glucosio postprandiale nel sangue (glicemia).

Una dieta a basso indice/carico glicemico è focalizzata sulla riduzione della glicemia e dell'insulina postprandiali, mentre una dieta chetogenica è focalizzata sulla riduzione della quantità di carboidrati totali. Le diete chetogeniche sopprimono l'appetito e sono utilizzate come intervento dietetico per promuovere la riduzione del peso nei pazienti con obesità. Alcuni studi suggeriscono che l'associazione tra indice glicemico/carico di alimenti e risultati sulla salute e obesità è equivoca. Mentre l'iperinsulinemia con insulino-resistenza può aumentare l'attività del sistema nervoso simpatico (e potenzialmente aumentare la pressione sanguigna) e facilitare la lipolisi delle cellule adipose, gli effetti dell'insulino-resistenza sul tasso metabolico a riposo (oltre all'aumento associato della massa grassa) non sono evidenti. Tuttavia, altri studi supportano che un elevato indice/carico glicemico alimentare è effettivamente associato a un aumentato rischio di diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari, e che schemi dietetici a basso indice glicemico/carico sono associati a una ridotta incidenza di diabete mellito e malattie cardiovascolari. Inoltre, nel caso specifico, ma illustrativo del diabete mellito gestazionale, le diete a basso indice glicemico riducono il rischio di assunzione di insulina e riducono il rischio di macrosomia (eccessivo peso alla nascita).

Se una dieta a basso contenuto di carboidrati facilita la riduzione del peso, ciò è probabilmente dovuto alla diminuzione della fame, al ridotto apporto energetico e all'aumento spontaneo dell'attività fisica, con possibile attenuazione della diminuzione sia della massa muscolare che della spesa energetica a riposo, che spesso si riscontra con la riduzione del peso. Infine, gli alimenti ad alto indice glicemico possono essere associati all'obesità addominale negli individui e nelle popolazioni suscettibili".

Quali fattori influenzano le calorie in entrata?

Il tipo di alimento influenza l'appetito e la sazietà. "Il marketing alimentare e la stimolazione dei sensi come vista, suono, olfatto, gusto e tatto possono favorire le scelte alimentari. Altri fattori che influenzano il tipo e la quantità di assunzione di cibo includono i tempi e le emozioni durante i pasti, l'ambiente, la ricompensa, lo stress mentale, le malattie psichiatriche e i disturbi alimentari. La restrizione del sonno spesso aumenta la fame, l'appetito, l'assunzione di cibo e il grasso viscerale".

L'assunzione di farmaci può aumentare la fame e quindi l'assunzione calorica, mentre il microbiota può modulare l'estrazione di calorie dalla dieta.

Quali fattori influenzano le calorie in uscita?

Quelli più importanti sono il metabolismo basale, estremamente variabile, e l'attività fisica, sia volontaria che involontaria, anch'essa molto diversa tra gli individui. E come già accennato l'effetto termico del cibo: più mangio e più consumo, e le proteine hanno il maggior effetto.

La quantità e il tipo di grasso (grasso bianco inerte o grasso bruno termogenico) non sono marginali, mentre farmaci e condizioni fisiologiche come gravidanza e allattamento possono aumentare la spesa energetica.

Fare sempre lo stesso tipo di allenamento può portare a una riduzione della spesa energetica per adattamenti che si instaurano, così come stare sempre in restrizione calorica.

Per concludere e riassumere: "nel complesso, sia che si tratti di macronutrienti consumati o immagazzinati, la semplice affermazione di "calorie che entrano è uguale a calorie in uscita" [per avere un bilancio calorico in equilibrio] è clinicamente corretta solo se si comprende la complessità di "calorie in entrata" e "calorie in uscita", nonché le efficienze e le inefficienze metaboliche".




Aggiornamento 20/11/2022

Ritardare i pasti porta a una significativa riduzione dell'ossidazione dei grassi nei confronti dei carboidrati, come si evince da una aumento del quoziente respiratorio, che misura la "miscela" di carboidrati e grassi che viene consumata da noi costantemente. La spesa energetica totale non sembra essere influenzata in maniera significativa, ma in un contesto di eccesso calorico si favorirebbe maggiormente l'accumulo di adipe.

Aggiornamento 28/1/2023

Una revisione degli studi mostra che una significativa porzione delle persone normopeso che perdono peso di proposito, magari per pressioni sociali o distorsione dell'immagine, spesso riacquistano i kg persi con gli interessi. L'analisi suggerisce che indurre un bilancio energetico negativo genera dei comportamenti compensatori di adattamento che persistono oltre la fase in cui si mangia per recuperare il peso. In questo modo ci si può ritrovare con più kg totali, ma meno muscolo e più grasso. Per questo un taglio calorico può, in individui predisposti, favorire un passaggio al sovrappeso o all'obesità.

Aggiornamento 11/2/2023

Gli studi comparativi hanno mostrato che non c'è grande differenza nel dimagrimento ottenuto con una classica restrizione calorica e il digiuno intermittente.
Alcuni ricercatori hanno mostrato che aumentando le proteine e distribuendole correttamente durante la giornata il digiuno intermittente è molto più efficace per quanto riguarda il miglioramento della composizione corporea (aumentando il muscolo e riducendo il grasso), la circonferenza addominale, il grasso viscerale, la gestione dell'appetito, la pressione sanguigna e i lipidi plasmatici, a parità di calorie con una classica dieta ipocalorica.
"I risultati dello studio dovrebbero favorire l'enfasi sulla qualità dei nutrienti assunti (riduzione di zucchero e sodio e aumento di proteine ​​e fibre) e la quantità di cibo consumato per promuovere la perdita di peso, il miglioramento della composizione corporea e dei comportamenti nell'assunzione di cibo. Questi effetti favorevoli appaiono indipendenti dalle alterazioni degli ormoni circolanti e dalle differenze nel bilancio energetico."
Le persone in digiuno intermittente hanno perso 3kg in più con un'introduzione calorica simile.

Aggiornamento 6/3/2023

Il grasso bruno è presente nelle persone in diverse quantità. Si tratta di un particolare tipo di grasso che dissipa come calore l'energia consumata nei suoi mitocondri (termogenesi). Pur essendo piccola in valore assoluto, la quantità di calorie consumata è comunque importante, tant'è che le persone con più grasso bruno hanno meno tendenza all'obesità e alle malattie metaboliche. Negli studi sui topi emerge che un esposizione acuta a una dieta ad alto contenuto di zucchero aumenta la termogenesi, ma un uso cronico di zucchero la riduce, nonostante aumenti la massa del grasso bruno. Si riduce in generale la capacità di consumare energia ma aumenta quella di metterla da parte, insieme alla produzione di trigliceridi. Ebbene sì, quello che mangiamo può influenzare la spesa energetica.

Aggiornamento 5/6/2023

Il microbiota, l'insieme dei nostri microbi in particolare intestinali, ha una discreta influenza sul peso mediante diversi meccanismi.
Durante lo sviluppo influenza la crescita dei tessuti e la loro infiammazione; Influenza fame e sazietà tramite i metaboliti (SCFA) e i neurotrasmettitori e altre molecole che mimano l'azione degli ormoni, modulano la ricompensa del cibo; nel fegato influenzano gli acidi biliari e le vie metaboliche che fanno produrre grassi e carboidrati (lipogenesi e gluconeogenesi); nel tessuto adiposo influenzano la quantità di grassi immagazzinati, la loro ossidazione e la termogenesi; nell'intestino digeriscono nutrienti traendo più calorie dalla dieta e influenzano infiammazione e sistema immunitario modulando la permeabilità intestinale.

Aggiornamento 26/6/2023

Una dieta amica del microbiota può portare a spendere in media oltre 100 kcal in più al giorno rispetto a una dieta di tipo occidentale, notoriamente poco propensa a supportare il microbiota. Se i sembra poco immaginate che 10 kcal in più ogni giorno vogliono dire un kg in più in un anno.
Il vantaggio è dato soprattutto dalla maggiore escrezione di energia con le feci, energia che non viene metabolizzata nonostante fosse presente nel cibo, portando così a un maggiore spreco. Nell'altro caso si parla invece di "microbiota risparmiatore", ossia che tende a estrarre tutta l'energia possibile.
"Le comunità microbiche nell'intestino hanno un profondo impatto sull'endocrinologia, sulla fisiologia e sul bilancio energetico dell'ospite dei mammiferi.
La comunità scientifica si è recentemente riorientata verso interventi sulla popolazione che promuovono piccoli cambiamenti nell'assunzione e nel dispendio energetico come mezzo per prevenire l'aumento di peso. Questo studio dimostra il potenziale per attuare il principio dei "piccoli cambiamenti" attraverso il consumo di cibi integrali per modulare il microbioma intestinale. Un principio così semplice potrebbe essere un utile strumento a livello di popolazione per combattere l'epidemia globale di obesità. Gli esperimenti futuri dovrebbero concentrarsi sui meccanismi microbici o dell'ospite che sono alla base della grande variabilità interindividuale osservata nella risposta alla consegna di maggiori substrati dietetici ai microbi intestinali. Questi meccanismi possono quindi essere presi di mira con approcci nutrizionali di precisione".

Aggiornamento 1/7/2023

Ottima review sulla percezione del gusto del grasso e le sue implicazioni.

"Sia il gusto che l'olfatto contribuiscono alla percezione del sapore. Lo screening del gusto e dell'olfatto è importante per la diagnosi precoce dei processi patologici e la gestione degli effetti avversi dei disturbi chemosensoriali. I grassi sono fonti di acidi grassi essenziali e sono importanti mediatori del bilancio energetico e dell'omeostasi cellulare. Sia gli animali che gli esseri umani mostrano una preferenza per i cibi ricchi di grassi. Oltre alla consistenza, il gusto e l'olfatto sono parte integrante della percezione del grasso. Gli attuali candidati per i recettori del gusto e dell'olfatto dei grassi sono CD36 e GPR120. La trasduzione del gusto grasso coinvolge la segnalazione di Ca2+ e cascate di messaggeri secondari, come le MAP chinasi. I polimorfismi genetici più frequentemente studiati associati alla chemosensazione dei grassi sono i polimorfismi CD36. Secondo quanto riferito, gli individui con obesità mostrano una disfunzione chemosensoriale dei grassi".

Aggiornamento 2/9/2023

Gli astrociti sono cellule che circondano e supportano i neuroni nel cervello. Si è scoperto che possono influenzare anche il metabolismo energetico. In particolare modulano l'azione dei neuroni ipotalamici che rilasciano GABA, un neurotrasmettitore che inibisce i neuroni. Per capirci si tratta dello stesso recettore attivato da alcuni tranquillanti che, guarda caso, fanno ingrassare. Così a seconda dell'attività degli astrociti che possono essere più o meno attivi viene rilasciato GABA. Il risultato è di inibire l'attivazione del metabolismo energetico, con minore produzione di calore (termogenesi) e maggiore accumulo di grasso.

Aggiornamento 5/9/2023


Ridurre i carboidrati in favore di proteine e grassi aiuta a ridurre il grasso nel fegato, anche in condizioni eucaloriche (cioè senza riduzione delle calorie). La riduzione dei carboidrati può avere un effetto maggiore della restrizione calorica.
"Anche in condizioni di bilancio energetico, i risultati cumulativi suggeriscono un effetto clinicamente significativo della riduzione dell’assunzione di carboidrati e dell’aumento dell’assunzione di grassi alimentari (e/o proteine) sul contenuto epatico di trigliceridi (TG) negli individui obesi con steatosi, in particolare negli individui con resistenza all’insulina. Sulla base di studi sull’uomo, i meccanismi attraverso i quali la riduzione dei carboidrati e l’aumento dell’assunzione di grassi portano a un minore accumulo epatico di TG possono essere correlati all’aumento della beta-ossidazione degli acidi grassi e all’aumento della chetogenesi nel fegato, adattamenti metabolici che imitano la risposta alla restrizione calorica. Inoltre, la lipogenesi (sintesi di grassi dai carboidrati) nel fegato viene ridotta quando la disponibilità di carboidrati nella dieta diminuisce, anche in condizioni eucaloriche. È probabile che anche una minore disponibilità di insulina, anche portale, nel fegato dovuta alla riduzione dei carboidrati regoli il metabolismo del substrato nel fegato verso un aumento dell'utilizzo degli acidi grassi e una minore deposizione di grassi.

Aggiornamento 12/9/2023

La food insecurity (FI) si realizza quando persone in difficoltà economiche hanno "periodi di introduzione di quantità e qualità insufficienti del cibo e ansia per la futura scarsità di cibo, ma non deficit energetico cronico" che li porterebbe a dimagrire. Infatti la FI è associata a rischio di eccesso di peso, tant'è che si parla di un paradosso insicurezza alimentare-obesità e può spiegare perché attualmente, contrariamente ai tempi passati, l'obesità riguardi più le fasce meno abbienti.
L'effetto appare maggiore nelle donne adulte dei paesi sviluppati.
I meccanismi non sono chiari ma includono sia un aumento dell'introito che una riduzione della spesa energetica. "Le riduzioni dell’attività fisica, della termogenesi indotta dagli alimenti e del dispendio energetico basale potrebbero tutti contribuire a ridurre il dispendio energetico nell’ambito della FI. Gli effetti della FI sul dispendio energetico basale, che costituisce il 60-70% del bilancio energetico umano, sono attualmente poco studiati e necessitano di ulteriori indagini. L’aumento della ritenzione dell’energia metabolizzabile è un ulteriore meccanismo che potrebbe contribuire al bilancio energetico positivo nell’ambito della FI che deve essere considerato".
Tra i fattori dietetici che favoriscono questo aumento di peso, scarsa introduzione di fibre (con conseguente alterazione del microbiota), ridotto apporto proteico (aumenta la ricerca di cibo, favorendo l'introduzione di junk-food), aumento dei carboidrati ad alto indice glicemico, che favoriscono i picchi di insulina, aumento del consumo di cibo spazzatura, che fornisce energia pronta ma non nutrienti.
Esiste inoltre un'ipotesi, chiamata dell'assicurazione, che spiega perché le calorie "prendono la direzione del tessuto adiposo" e non vengono consumate. Questo modello si integra con gli altri fattori e non li esclude.
Lo stress contribuisce all'indirizzamento dei nutrienti al tessuto adiposo.
Per difendersi dal rischio di carestia si mettono in moto meccanismi che aumentano l'accumulo di grasso in maniera "anticipata", in modo da sopravvivere più avanti, in risposta a segnali che prevedono la futura scarsità di cibo. "I cambiamenti nella qualità della dieta, nell’attività fisica e nelle energie potrebbero essere risposte adattive alla FI, selezionate perché forniscono un bilancio energetico positivo, piuttosto che vincoli imposti dall’ambiente della FI.

Aggiornamento 7/10/2023

I moderni farmaci dimagranti (i primi per ora a sembrare efficaci e sicuri) agiscono aumentando (indirettamente, attraverso lo stimolo del GLP1) la secrezione di insulina. Com'è possibile che aumentando l'insulina si dimagrisca? Questo ormone è ben noto per favorire l'accumulo del grasso e le diete spesso si dice che dovrebbero favorire una riduzione dell'insulina per funzionare. In realtà cambiano sì le quantità, ma soprattutto la sua azione biologica. Agisce sull'ipotalamo dando sazietà, che normalmente non c'è, aiutando a mangiare meno. Ed ecco che si dimagrisce senza (quasi) soffrire, soprattutto mantenendo l'effetto perché non c'è la riduzione del metabolismo e del consumo energetico comune nelle diete ipocaloriche (risposta adattativa), che predispone per il recupero del peso.


Aggiornamento 24/12/2023

Le farfalle nello stomaco possono far dimagrire. Non nel senso che dobbiamo mangiarle, ma quando ci si innamora. Infatti il sistema simpatico, che quando si attiva è responsabile della sensazione tipica degli innamorati, favorisce il rilascio di ossitocina. Questo porta alla sensazione di benessere (stimolando il nucleo del raphe) e promuove la lipolisi.
Inoltre gli studiosi hanno scoperto sorprendentemente che anche i nervi simpatici possono rilasciare ossitocina, promuovendo la lipolisi direttamente sugli adipociti.
È ben noto il miglioramento nella composizione corporea che si ha quando ci si innamora e dal punto di vista evolutivo questo è spiegabile con il fatto di presentarsi meglio al partner.

Aggiornamento 18/1/2024

I succhi di frutta al 100% sono associati ad aumento di peso nei bambini. L'associazione appare in parte essere mediata dall'eccesso calorico. "Un potenziale meccanismo che collega il succo 100% frutta all'aumento di peso è il consumo di calorie liquide, che ha dimostrato di comportare un maggiore aumento di peso rispetto all'ingestione di calorie solide. Rispetto alla frutta intera, il succo 100% frutta contiene meno fibra alimentare, che porta al rapido assorbimento del fruttosio nel fegato. Se consumato in eccesso, ciò può portare alla lipogenesi epatica de novo, alla produzione di lipoproteine ​​a densità molto bassa e trigliceridi".
Le conclusioni dello studio concordano con le indicazioni attuali di non consumare quotidianamente questi prodotti ma preferire la frutta intera.
Curiosamente è possibile individuare un trend a seconda del tipo di frutta, con un possibile supporto dei cosiddetti "superfoods". "I succhi di melagrana, frutti di bosco (goji, crespino, mirtillo e ribes) e amarena tendevano alla perdita di peso, mentre i succhi di mela, agrumi e uva tendevano ad un aumento di peso".

Aggiornamento 4/2/2024

Un modello complesso ma interessante sull'obesità riunifica i principali (carboidrati-insulina e bilancio energetico) integrando anche quello redox e quello degli obesogeni. Il risultato è uno sguardo da molti punti di vista che può spiegare meglio l'epidemia di obesità non solo come un eccessivo introito di calorie ma anche come un forzato deposito di nutrienti influenzato da fattori che causano scarsa propensione ad ossidare, in particolare legato (anche) alla presenza nel cibo o comunque all'esposizione a sostanze che modulano il bilancio energetico influenzando il metabolismo del tessuto adiposo (funzione, localizzazione, numero e grandezza degli adipociti). L'eccesso di radicali liberi (ROS) invece ostacola il lavoro dell'ipotalamo, che gestisce fame, sazietà e consumi.
"Forniamo un modello integrato in grado di spiegare la programmazione e gli effetti dello sviluppo nel corso della vita e delle generazioni, un set point metabolico alterato, alterazioni nell'efficienza mitocondriale e segnali attraverso i tessuti metabolici che trasmettono uno stato nutrizionale modificato. La nostra proposta non prevede che l'esposizione agli obesogeni di per sé sia l’unica causa della pandemia di obesità ma che, attraverso gli effetti sull’espressione genetica e sui ROS, gli obesogeni alterano la funzione dei tessuti metabolici in modo tale che le persone siano più sensibili all’aumento di peso indotto dalla dieta e meno sensibile alla perdita di peso.
L’accettazione di questo modello integrato si concentrerà sulla prevenzione dell’obesità riducendo l’esposizione agli obesogeni in utero, nei primi anni di vita e per tutto l’arco della vita. Questi includono mangiare cibi biologici freschi, evitare il cibo ultraprocessato, evitare la plastica per conservare o riscaldare gli alimenti, utilizzare prodotti senza profumo, evitare pentole antiaderenti e utilizzare acqua potabile purificata (per i dettagli, vedere www.ewg.org). In definitiva, saranno necessarie azioni normative e politiche per ridurre la produzione di sostanze chimiche obesogene".

Aggiornamento 18/3/2024

In uno studio le persone sovrappeso sono state divise in 2 gruppi, uno che assumeva 40g di amido resistente (RS) e l'altro un placebo di 40g di amido normale. Le diete erano uguali per calorie introdotte. Il primo gruppo ha perso in media 2,8kg mentre il gruppo placebo ha mantenuto il peso. Anche il grasso viscerale è migliorato.
Il gruppo trattato ha avuto un miglioramento del microbiota con crescita di alcuni bifidobatteri e riduzione di batteri associati con alterazione metabolica.
Sono infatti migliorati la sensibilità insulinica, la permeabilità intestinale e i marker di infiammazione. Il cambiamento dei microbi appare essenziale per l'effetto dimagrante dell'amido resistente, infatti si evidenzia maggior perdita di peso a seconda del microbiota basale.
"Il microbiota intestinale ha svolto un ruolo fondamentale in questo meccanismo di perdita di peso, modulando potenzialmente l’obesità attraverso le interazioni con l’infiammazione di basso grado e la regolazione delle proteine ​​secretorie legate al bilancio energetico. L’adesione a lungo termine a un modello dietetico ricco di RS per mantenere la composizione del microbioma può essere cruciale per il mantenimento del peso. Poiché l'RS è presente naturalmente negli alimenti e può anche essere aggiunta alla dieta quotidiana, i nostri risultati forniscono uno stile di vita pragmatico per trattare l’obesità e i disturbi metabolici correlati. La manipolazione della composizione microbica intestinale attraverso la dieta può rappresentare una strategia per modificare il bilancio energetico dell’ospite per promuovere la salute".

Le vie del diabete sono infinite 3


Continua qui il post su nutrizione e diabete di tipo 2 o altri tipi (tipo 1, gestazionale ecc.)

https://imgflip.com/i/6p7rgt


Aggiornamento 16/7/2023


I probiotici possono avere un buon effetto sulla glicemia in persone diabetiche secondo una metanalisi. L'effetto è maggiore in persone con BMI superiore a 30. I probiotici a base di bifidobatteri e i cibi probiotici appaiono più efficaci.

"I cambiamenti nella composizione microbica intestinale possono essere un meccanismo mediante il quale l'integrazione di probiotici migliora il controllo glicemico. L'integrazione di probiotici può modulare e aumentare l'abbondanza della flora intestinale che è benefica per il controllo glicemico. Inoltre, il microbiota intestinale può regolare il GLP1, che promuove la secrezione di insulina dalle cellule β pancreatiche e riduce la secrezione di glucagone dalle cellule α, con conseguente riduzione del tempo di svuotamento gastrico, della peristalsi gastrointestinale e della perdita di appetito [lo stesso effetto dei farmaci antiobesità]. Precedenti studi hanno scoperto che i probiotici possono stimolare la produzione di acidi grassi a catena corta, in particolare il butirrato, che aumentano la sensibilità all'insulina e quindi migliorano il controllo glicemico".

Il fatto che le persone con rapporto peso/altezza superiore abbiano maggiore giovamento fa pensare che abbiano un peggiore microbiota. 

Aggiornamento 18/7/2023

A parità di calorie, una dieta con maggiore presenza di alimenti funzionali come cereali integrali, cipolle, carciofi, rucola, salmone, tè verde, mandorle e olio extravergine ha maggiore efficacia nel diabete di tipo 2 rispetto a una dieta classica con olio EVO. In particolare si riduce il grasso pancreatico, quello che altera la risposta metabolica, e migliora l'efficacia dell'insulina, l'ormone rilasciato dopo il pasto che ha il compito di abbassare la glicemia e che risulta inefficace nei diabetici.

Aggiornamento 29/7/2023

Avere una condizione di prediabete, che se non curata quasi sicuramente progredirà in diabete di tipo 2, è associato con aumentato rischio di demenza, ma intervenire impedendo lo sviluppo del diabete riduce questo rischio.
Il legame tra problemi neurocognitivi e diabete è spiegato dalla glicemia alta che mette sotto stress i vasi sanguigni e impedisce un corretto nutrimento del cervello.
In particolare "i meccanismi putativi includono iperglicemia acuta e cronica, tossicità del glucosio, insulino-resistenza e disfunzione microvascolare del sistema nervoso centrale. L'aumento dell'insulina periferica nelle persone con iperglicemia provoca la desensibilizzazione del recettore neuronale dell'insulina, che può portare a una diminuzione della clearance di β-amiloide e un aumento della prefosforilazione della proteina τ. La tossicità del glucosio e la disfunzione microvascolare sono associate ad un aumento dello stress infiammatorio e ossidativo, che porta ad un aumento della permeabilità emato-encefalica. La combinazione di questi meccanismi è stata proposta per spiegare il legame tra diabete e demenza vascolare e di Alzheimer".

Aggiornamento 8/8/2023


In persone con diabete di tipo 1 assumere un pasto con meno carboidrati e più proteine prima dell'attività fisica aiuta a ridurre le escursioni glicemiche. I ricercatori però raccomandano di trovare nuove strategie per la gestione dell'insulina.


Aggiornamento 17/8/2023

Il consumo di dolcificanti artificiali è associato ad aumentato rischio di diabete di tipo 2. Lo studio non può stabilire nesso causale ma è comunque da tenere in considerazione per rinnovare l'invito a evitare il consumo dei dolcificanti. Il rischio aumenta in media dal 9 al 70% a seconda del tipo di dolcificante e delle quantità.


Aggiornamento 18/8/2023

L'uso della dieta chetogenica è normalmente controindicato in caso di diabete di tipo 1 (quello giovanile e autoimmune). Esiste infatti un rischio di chetoacidosi incontrollata che porta al coma.
Un piccolo studio ha messo in evidenza che, riducendo i carboidrati, si può avere un aumento del livello di corpi chetonici ma con bassissimo rischio di chetoacidosi. Alcuni diabetici sono stati divisi in 3 gruppi con crescenti quantità di carboidrati.
Nel gruppo con minore introito (<30g al giorno) "nonostante la grave restrizione di carboidrati, il grado di chetosi nutrizionale osservato è molto inferiore al previsto, con un range di 0,3-1,15 mmol/L". La soglia ritenuta indicativa di chetoacidosi è di 3mmol/L, quindi più alta. Lo studio è indicativo di sicurezza della dieta chetogenica nei diabetici di tipo 1, con interessanti prospettive di beneficio nella gestione della malattia, ma sono necessari studi più grandi per confermare i risultati.

Aggiornamento 22/8/2023

Il fico, temutissimo per il suo incredibile contenuto di zuccheri 🤌🏼🤌🏼, in realtà contrasta il diabete grazie al suo effetto di modulazione del metabolismo glucidico. Infatti determina un rallentamento dell’assorbimento del glucosio e un miglioramento del suo ingresso nelle cellule muscolari (miglioramento della sensibilità insulinica), insieme alla modulazione del metabolismo glicemico nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo. Inoltre ha un effetto antiossidante che contrasta i radicali liberi.

Aggiornamento 1/9/2023

Sono uscite le nuove linee guida per la prevenzione cardiovascolare nei diabetici. Si consiglia in generale una dieta mediterranea, meglio se supplementata con olio EVO o frutta oleosa. Queste diete agiscono meglio di una low fat. L'uso di omega 3 non è raccomandato. Dovrebbe essere evitato il consumo di zuccheri, bibite zuccherate e succhi di frutta.
In caso di insufficienza cardiaca una dieta con maggiore quantitativo proteico ha un effetto migliore sui fattori di rischio.
La presenza di un team multidisciplinare è fondamentale.

Aggiornamento 19/9/2023

Nelle persone normopeso con diabete l'esercizio coi pesi è più efficace di quello aerobico per migliorare il quadro glicemico. Il miglioramento dell'emoglobina glicata è proporzionale all'aumento della massa magra.

Aggiornamento 24/9/2023

Le diete lowcarb non sono attualmente raccomandate per la gestione del diabete nei giovani. Uno dei motivi è che si può incorrere in ridotta crescita, carenze nutrizionali e problemi di salute, soprattutto se non effettuare correttamente.
Un parere ufficiale dei pediatri americani ha elencato i seguenti punti:

👨🏽i ragazzi con diabete di tipo 1 possono fare una dieta chetogenica o lowcarb solo sotto attenta supervisione medica.

🍩🚫 la riduzione dei carboidrati deve avvenire minimizzando l'introduzione del cibo industriale.

🧋 eliminare bibite e succhi zuccherati contribuisce alla riduzione del peso e al miglioramento del quadro glicemico

🥖 le restrizioni dietetiche devono essere gestite da esperti perché possono favorire l'insorgenza di disturbi del comportamento alimentare

🏃🏼‍♀ dieta e sport anche intenso devono essere prescritti da specialisti

💶 le persone economicamente svantaggiate sono a rischio maggiore di diabete di tipo 2 e devono quindi essere supportate in modo da fare scelte alimentari migliori

Aggiornamento 15/10/2023

L'esposizione alla luce naturale migliora la glicemia nelle persone diabetiche.
Questo è stato dimostrato in un piccolo gruppo di diabetici che indossavano il dispositivo per il monitoraggio continuo della glicemia (CGM).
Quando esposti alla luce solare le persone avevano una glicemia normale per periodi più lunghi. Anche il quoziente respiratorio (QR) era inferiore e questo indicava una maggiore facilità nell'ossidazione dei grassi.
"Se lavori in un ufficio quasi senza esposizione alla luce naturale, ciò avrà un impatto sul tuo metabolismo e sul tuo rischio... o sul controllo del diabete di tipo 2, quindi cerca di ottenere quanta più luce solare possibile e, idealmente, di uscire all'aperto quando puoi”, ha detto il prof. Habets a PracticeUpdate di Elsevier. “Per ora, sembra che [l’esposizione alla luce naturale] non abbia un’influenza maggiore dei farmaci nell’abbassare i livelli di glucosio. Tuttavia, poiché si sono verificati miglioramenti nella [percentuale di] tempo nell’intervallo target di glucosio e nel QR, è utile valutare e modificare l’esposizione alla luce naturale o artificiale dei pazienti, poiché questa potrebbe essere una facile opportunità per ottenere miglioramenti. "

L'insicurezza alimentare raddoppia il rischio di ipoglicemia nei diabetici.

Aggiornamento 24/10/2023

L’insicurezza alimentare (food insecurity, FI), definita come "la mancanza di accesso costante a cibo sufficiente per una vita attiva e sana", è un potente fattore di rischio per lo sviluppo e la progressione del diabete.
I motivi sono diversi. Le persone assumono alimenti economici ma che non possono fornire nutrienti a sufficienza. In questo modo aumentano le spese sanitarie e la predisposizione per malattie croniche, incluse ridotta salute mentale, soprattutto stress e depressione.
La FI agisce anche, indirettamente, inducendo infiammazione. L'alimentazione di scarsa qualità è proinfiammatoria e questo determina stress e resistenza insulinica.
I programmi alimentari di sostegno con alimenti salubri agiscono da vera e propria medicina nelle popolazioni colpite da FI.
I pasti medicali su misura (MTM) sono in grado di "migliorare la qualità della dieta, diminuire l’insicurezza alimentare e l’ipoglicemia, migliorare l’autogestione del diabete e sostenere migliori risultati psicosociali. La partecipazione ai programmi MTM è stata anche associata a un minore utilizzo dell’assistenza sanitaria e a costi inferiori". Sono quindi un investimento che fa risparmiare soldi alla sanità.


Il diabete di tipo 2 è un fattore stressante per il corpo. Più ci si ammala da giovani, più si riduce l'aspettativa di vita. Ogni decade con il diabete riduce l'aspettativa di vita di 3-4 anni.

Aggiornamento 27/10/2023

Il diabete gestazionale aumenta il rischio di sovrappeso nella prole.
I potenziali meccanismi includono alterazioni nel metabolismo lipidico che aumentano l’adiposità della prole, alterazioni nella secrezione di insulina fetale e nella resistenza all’insulina, cambiamenti epigenetici e cambiamenti nella composizione corporea che aumentano il rischio di obesità infantile.
La gestione del peso e una dieta corretta sono fondamentali per prevenire e correggere il diabete gravidico ed evitare la trasmissione ereditaria intergenerazionale del sovrappeso e del diabete.
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Aggiornamento 29/10/2023

In uno studio su 75 persone con diabete di tipo 2 è stata verificata l'efficacia del TRE, time restricted feeding, un tipo di digiuno alternato in cui si mangia senza guardare le calorie ma si può assumere cibo solo in una finestra di 8 ore, digiunando nel resto del giorno. Il confronto con una classica dieta ipocalorica ha mostrato una maggiore perdita di peso nel gruppo TRE, ma calo dell'emoglobina glicata simile tra i 2 gruppi.
Considerazioni personali: sbagliato l'orario di alimentazione (12-20, senza colazione) e la glicata non è calata correttamente perché è aumentato il cortisolo, ormone iperglicemizzante.

Aggiornamento 21/11/2023

La riduzione del sonno (6 ore a notte) porta a resistenza insulinica, indipendentemente dall'adiposità.

Aggiornamento 4/1/2024

Alcuni recenti studi evidenziano che la dieta lowcarb può ridurre il rischio di diabete gestazionale e promuovere minor aumento di peso a lungo termine, ma solo se contemplano una maggioranza di alimenti salutari e di qualità. Questo va a smentire il tanto caro "tutte le calorie sono uguali" che ancora imperversa tra i professionisti.
Le diete a basso contenuto di carboidrati efficaci erano caratterizzate da (pochi) cereali integrali e legumi, frutta e verdura, proteine di alta qualità e grassi salutari.
I meccanismi sembrano legati alla presenza dei micronutrienti e antiossidanti che contrastano la resistenza insulinica che è alla base della patologia diabetica, mentre le fibre aumentano la sazietà e il ridotto introito di grassi saturi riduce l'infiammazione. Inoltre i carboidrati da fonti raffinate possono modulare il destino dei nutrienti, aumentando la tendenza a depositare grasso.

Aggiornamento 6/1/2024

In uno studio che ha coinvolto circa 150 diabetici una dieta con pasti sostituitivi della durata di 13 settimane (e successiva reintroduzione) induce la remissione del diabete di tipo 2 nella metà dei soggetti.

Aggiornamento 2/2/2024

Raggiungere la remissione del diabete riduce effettivamente il rischio di malattia cardiovascolare e renale. È quindi corretto dedicarsi ai cambiamenti dello stile di vita che possono ridurre morbilità e mortalità.

Aggiornamento 18/2/2024

Uno studio ha indagato il legame tra bevande e rischio cardiovascolare in persone con diabete di tipo 2 (T2D).
I risultati mostrano che "maggiori assunzioni di bibite zuccherate, bibite dolcificate artificialmente e succhi di frutta naturali erano ciascuno linearmente associati a un rischio più elevato di eventi cardiovascolari (CVD) in individui con T2D, indipendentemente dalla predisposizione genetica alla CVD, e che la sostituzione di bibite e succhi con caffè, tè o yogurt, ma non di bibite con dolcificanti artificiali erano associati a un minor rischio di eventi CVD nei soggetti con T2D".

Aggiornamento 19/2/2024

La cannella può migliorare il metabolismo glucidico in persone con prediabete

Aggiornamento 23/2/2024

La supplementazione con magnesio può essere efficace nel ridurre la glicemia in donne con diabete gestazionale

Aggiornamento 27/2/2024

La carenza di vitamina D (VDD) incrementa nei diabetici il rischio di neuropatia periferica (DPN), aumentando le lesioni dei nervi.
"Il meccanismo con cui la VDD influisce sulla DPN non è ancora del tutto chiaro. La VDD può influenzare il metabolismo del glucosio compromettendo la funzione delle cellule β pancreatiche, diminuendo i fattori neurotrofici che portano alla disfunzione neurologica e attenuando gli effetti antinfiammatori che portano alla disfunzione endoteliale vascolare, promuovendo così l’insorgenza e la progressione della DPN. La vitamina D ha effetti fisiologici significativi, influenzando la sensibilità all’insulina nel sangue periferico e il metabolismo degli acidi grassi e inattivando le citochine associate alla resistenza all’insulina. Nello specifico, i recettori della vitamina D sono presenti sulle cellule β del pancreas, dove facilitano significativamente la secrezione di insulina migliorando l’afflusso transmembrana di Ca2+ nello spazio intracellulare. La VDD può bloccare il normale rilascio di insulina alterando il flusso di calcio sulle cellule β. Inoltre, la vitamina D, funzionando come neurosteroide, svolge un ruolo chiave nella prevenzione e nel trattamento di vari disturbi neurologici. L’evidenza epidemiologica ha suggerito che la vitamina D svolge un ruolo cruciale nello sviluppo neuronale e gli studi hanno dimostrato che i recettori della vitamina D e l’enzima richiesto per la produzione della sua forma attiva (1a-OHasi) sono distribuiti nel cervello, nelle cellule neuronali e nelle cellule gliali.

Aggiornamento 6/3/2024

È noto che l'assunzione di statine può aumentare il rischio di diabete di tipo 2 in alcune persone. Il legame può essere dato da alcuni batteri intestinali e dal loro effetto sul metabolismo.

"Uno è l’effetto dei metaboliti microbici: aumento dell’imidazolo propionato, degli aminoacidi a catena ramificata (BCAA) e diminuzione degli acidi grassi a catena corta (SCFA) che possono influenzare la secrezione di insulina, la resistenza all’insulina e il bilancio energetico. Gli altri sono l’interruzione della funzione della barriera intestinale che causa l’entrata in circolo di LPS (lipopolisaccaride) e l’aumento indotto dai polisaccaridi batterici di TNF-α (fattore di necrosi tumorale alfa) e IL-6 (interleuchina-6) circolanti, che portano a infiammazione cronica e esacerbazione della resistenza all’insulina".

Aggiornamento 7/3/2024

Non dormire a sufficienza aumenta il rischio di diabete (T2D) anche in chi segue un'alimentazione corretta.
"Come suggerito da studi di laboratorio, la mancanza di sonno può contribuire allo sviluppo del T2D attraverso vari meccanismi, come una ridotta sensibilità cellulare all’insulina, un metabolismo energetico del muscolo scheletrico spostato verso la non ossidazione del glucosio, una maggiore attività del sistema nervoso simpatico e una composizione alterata del microbiota intestinale".
Un altro legame è rappresentato dall'ostruzione delle vie aeree spesso presente, un altro fattore che determina insulinoresistenza.

Aggiornamento 9/3/2024

Nelle persone con diabete di tipo 1 (quello giovanile) l'uso di vitamina D è associato con migliore controllo glicemico. L'associazione deve essere comunque confermata in studi di intervento.

Aggiornamento 21/3/2024

Nel diabete e nella nefropatia diabetica la polarizzazione M2 dei macrofagi può favorire la riparazione dei tessuti danneggiati, mentre quella M1 esacerba l'infiammazione

Aggiornamento 25/3/2024

Durante la gravidanza alcuni ormoni come progesterone, cortisolo, prolattina e ormone lattogeno placentare riducono la sensibilità insulinica per favorire l'accrescimento del feto.
Il controllo metabolico (glicemia e lipidi) è importante perché il nutrimento del nascituro dipende dai nutrienti che oltrepassano la placenta. Iperglicemia e iperlipidemia favoriscono un'eccessiva crescita intrauterina e così predispongono per malattie metaboliche future.
Una metanalisi dimostra l'efficacia degli omega 3 nel migliorare l'insulina e l'indice HOMA nelle donne con ridotta sensibilità insulinica, mentre nelle sane non ci sono variazioni significative.