Da tempo si parla di un legame tra zucchero e comportamento alterato nei bambini. E da tempo lo si spaccia per un mito. Ma ricerche recenti dimostrano che non è così.
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è uno dei disturbi mentali cronici più comuni tra i bambini, e la sua prevalenza è stata stimata al 7,2% nel 2015, apparendo crescente negli ultimi anni.
I bambini con ADHD hanno problemi nell'apprendimento, tendenza a depressione, ansia e problemi sociali; possono manifestare comportamento antisociale, di dipendenza e obesità in età adulta. Fattori genetici, ambientali e biologici (es. presenza di sostanze chimiche tossiche nell'ambiente, fumo, traumi cranici, antibiotici nei primi mesi di vita, complicazioni durante la gravidanza, uso di farmaci e carenza di vitamina D in gravidanza, parto cesareo) sono stati per lungo tempo attribuiti all'incidenza dell'ADHD.
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La relazione tra nutrizione e ADHD è stata studiata solo dal 1996. La dieta risulta uno dei fattori modificabili più efficaci che gioca un ruolo fondamentale nei sintomi neurologici e comportamentali. Sono stati messi in relazione con la condizione la carenza di alcuni nutrienti come zinco, rame, ferro, magnesio e il rapporto tra l'assunzione di grassi ω3 e ω6. Negli ultimi anni l'aumento del consumo di cibi non salutari come bevande zuccherate, dessert, snack e cioccolatini ha probabilmente contribuito alla manifestazione dei sintomi dell'ADHD.
Nelle indagini di popolazione si è visto infatti che i bambini che assumono più junkfood hanno aumentato fortemente (dell'83%) le probabilità di manifestazioni di ADHD, mentre una dieta definita "occidentale" (dolci, snack, bibite gassate, pizza ecc.) è associata al 92% in più di rischio. Questo modello è povero di vitamine e minerali, ma ha elevate quantità di coloranti alimentari artificiali, zucchero e un alto indice glicemico (ossia provoca un veloce aumento della glicemia nel sangue). I coloranti artificiali sembrano coinvolti nell'8% dei casi.
La nuova revisione degli studi ha mostrato inoltre che più elevate assunzioni di frutta, verdura (fonti di antiossidanti), pesce (fonte di grassi polinsaturi omega 3) e latticini, e in generale fonti di zinco e magnesio, erano correlate in modo protettivo al rischio di ADHD (riduzione del 37%), mentre appunto bevande zuccherate, dolci, sale e carni conservate erano legati all'esacerbazione dei sintomi.
In particolare il meccanismo con cui il consumo di zuccheri aggiunti potrebbe attivare i comportamenti può riguardare l'induzione di disturbi gastrointestinali, ipoglicemia reattiva (che aumenta le reazioni di rabbia) e/o insufficiente assunzione di alcuni micronutrienti essenziali. La review però sottolinea che i risultati sono molto vari, che ci possono essere fattori confondenti e che il legame non è necessariamente causale. Inoltre i risultati cambiano considerando zucchero o bibite zuccherate, suggerendo che anche altri ingredienti (per esempio caffeina) possono determinare il sintomo. Il legame è comunque supportato dal modello animale.
Un'altra ipotesi è che lo zucchero (in particolare il fruttosio) possa alterare la produzione di energia mitocondriale e così la funzionalità cerebrale.
È possibile intervenire con l'alimentazione? Oltre che come sottolineato prima con una dieta che riduca il cibo non nutriente e privilegi quello non processato, alcuni accorgimenti e integrazioni possono migliorare il quadro.
La malattia può avere anche una base infiammatoria e legata allo stress ossidativo, e questo giustifica l'uso di una dieta ricca di nutrienti e antiossidanti.
Gli studi di intervento (in cui si somministra/toglie qualcosa in un gruppo contro placebo) sono pochi rispetto a quelli dove si osserva semplicemente.
Qualche anno fa i risultati delle diete di eliminazione e degli omega 3 erano ritenuti promettenti. Ora ci sono più studi ma le evidenze devono ancora migliorare.
Alcuni risultati sono stati messi in evidenza con la dieta oligoantigenica, un approccio che esclude gli alimenti che provocano allergie e infiammazione, a partire da glutine e caseine, ma che può riguardare anche carni e vegetali solitamente ritenuti non dannosi o allergizzanti. In caso si evidenzi un miglioramento si può procedere a una lenta reintroduzione che può durare mesi. Uno studio (su pochi individui) ha evidenziato 27 diverse sensibilità alimentari; la maggior parte dei pazienti ne aveva più di una.
In alcuni casi i miglioramenti sono stati evidenziati anche mediante la risonanza magnetica.
Focalizzandoci su altri tipi di diete, esclusioni più moderate (additivi alimentari, glutine, latte e latticini, uova e cibi ad alto contenuto di salicilati e solfiti) insieme a consigli di educazione sanitaria (sonno regolare, tempo limitato alla TV) si sono rivelati utili nel migliorare il comportamento secondo un'analisi della letteratura. Il dimagrimento in sé porta al miglioramento dei sintomi, così come una dieta con meno carboidrati e più lipidi.
Anche la dieta DASH, simile alla mediterranea ma usata per trattare l'ipertensione, ha dato buoni risultati in un campione di 18 bambini.
Come già accennato le carenze di minerali possono giocare un ruolo, ma potrebbero essere solo una manifestazione della tendenza a mangiare male (o poco, magari perché non stanno seduti o assumono farmaci che riducono l'appetito). La review suggerisce però integrazione solo in caso di palese carenza, e gli studi di intervento danno risultati misti di evidenza positiva ma inconclusiva. Tra di essi lo zinco appare quello con più dati positivi.
Il magnesio è noto per modulare alcuni neurotrasmettitori e recettori/canale favorendo la calma, spesso negli affetti da ADHD è carente e la sua supplementazione può essere efficace, specie se con la vitamina D.
La vitamina D può funzionare bene come adiuvante della terapia farmacologica (metilfenidato). La sua carenza è molto diffusa nell'ADHD.
Sugli omega 3 (EPA e DHA) i dati sono molti ma le varie revisioni hanno risultati contrastanti e solitamente non esaltanti.
I dati della Cochrane, vecchi ormai di 10 anni, parlano di piccola evidenza di effetti positivi. Conclusioni simili raggiunge un documento di consenso di 8 esperti internazionali, mentre una linea guida di psichiatri consiglia una combinazione di EPA e DHA, con più EPA in caso di infiammazione o allergia. Secondo una metanalisi su Nutrients sono sicuri ma non sembrano dare effetti positivi.
Se invece ci si concentra su persone che sono carenti o hanno difetti genetici, i risultati sono migliori.
In una review del 2015 si parla infatti di un effetto piccolo ma significativo e presente soprattutto in caso di carenze, suggerendo gli omega 3 come possibile trattamento adiuvante, ma invitando a fare ulteriori ricerche.
In particolare l'EPA è efficace nel migliorare i sintomi cognitivi in bambini che ne sono carenti e hanno scarsa produzione endogena di omega 3 a catena lunga (ne parlo qui). I bambini che hanno livelli alti possono anche avere effetti negativi (forse da qui gli effetti neutri nelle metanalisi). Si dovrebbe andare quindi verso una personalizzazione del trattamento. La carenza è comunque più diffusa dei livelli alti e in questi casi appunto appare efficace.
Secondo una review della ESPEN sul DHA, anche quest'altro omega 3 può essere utile, contribuendo "al miglioramento della memoria verbale e dell'apprendimento, della capacità di lettura, dello sviluppo cognitivo non verbale, della capacità percettiva visiva e della funzione esecutiva".
Omega 3 abbinati a ginseng rosso coreano hanno migliorato attenzione, memoria e funzione esecutiva in bambini con ADHD.
Tra altri integratori potenzialmente utilizzabili per migliorare la situazione carnosina e fosfatidilserina, zafferano, sulforafano (broccoli e cavoli) e NAC, ma vi è attualmente una carenza di studi clinici.
Uno studio durato un anno con multivitaminico e minerale ha dato ottimi risultati in alcuni bambini.
I legami con la mutazione MTHFR e i livelli di omocisteina sono controversi.
Microbiota
Secondo una revisione la prematurità e il parto cesareo, riducendo i lattobacilli benefici neuroprotettivi e che concorrono allo sviluppo cerebrale, possono aumentare il rischio di problemi comportamentali. Anche l'uso di antibiotici nei primi 3 anni aumenta il rischio, mentre l'allattamento è associato a rischio inferiore.
I lattobacilli sono importanti per la produzione di acetilcolina, mentre i bifidi supportano la produzione di GABA (neurotrasmettitore inibitorio).
I bambini con ADHD sembrano avere tuttavia aumentati livelli di bifidobatteri (ma ridotti di B. longum), specie solitamente legate a buona salute. Altre specie aumentate sono Enterococcus e Odoribacter, che possono favorire problemi nel sistema dopaminergico (ricompensa). La riduzione di Faecalibacterium indica aumentata permeabilità intestinale e produzione di citochine infiammatorie. La famiglia Ruminococcaceae si riduce mentre Bacteroides uniformis e Bacteroides ovatus sono aumentati e questo si riconduce ad alterate quantità di SCFA. Altre review non hanno trovato caratteristiche particolari. Il probiotico LGG ha mostrato di ridurre il rischio di ADHD se somministrato in gravidanza, ma anche di funzionare sui bambini affetti. Questo avviene modulando la permeabilità intestinale e le citochine infiammatorie. Infatti anche la zonulina e la claudina-5, marker di permeabilità intestinale, spesso legata ad alimentazione di bassa qualità e disbiosi, possono essere associate alle manifestazioni di iperattività e problemi di socialità.
In un piccolo studio B. bifidum ha migliorato il comportamento, il peso e il microbiota di bambini con ADHD.
L'uso dei probiotici può aiutare inoltre a migliorare il quadro metabolico (profilo infiammatorio, glicemico e lipidico).
Il microbiota influenza anche il metabolismo degli omega 3 e questo potrebbe giustificare la varietà di esiti nella somministrazione.
Si sono riscontrati miglioramenti nell'intelligenza fluida, nell'attenzione e nei sintomi di ADHD.
Secondo i ricercatori i grassi presenti nelle noci (acido alfalinolenico, omega 3) è capace di favorire la crescita di sinapsi con un migliore funzionamento e quindi migliori connessioni tra neuroni. Per i risultati l'aderenza ha contato molto e i ricercatori hanno concluso raccomandando una porzione per almeno 3 volte a settimana.
Si tratta di sostanze utilizzate nel cibo spazzatura per migliorare la "texture", quella sensazione di cibo che si scioglie in bocca, e per aumentare la durata dei cibi, ma a quanto sembra riduce la durata dell'uomo.