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giovedì 2 dicembre 2021

Solanacee: buone o cattive?

 

Nella famiglia delle solanacee sono inclusi tuberi come le patate, o piante con ortaggi edibili come peperoni, pomodori, peperoncino, bacche di goji, ma anche piante che producono molecole attive come la belladonna o il tabacco.





Alcune scuole di pensiero attribuiscono alle solanacee proprietà infiammatorie. Il riassunto fatto da una dietista americana ci aiuta a fare il punto.

Sicuramente alcune solanacee posseggono proprietà tossiche, la belladonna produce atropina, utilizzata per dilatare le pupille e per indurre allucinazioni per il suo effetto neurotossico, e il tabacco nicotina, e quasi tutte presentano la solanina, una sostanza glicoalcaloide che protegge la pianta dai funghi ma può essere mortale in grandi quantità.

Le solanacee edibili hanno bassi quantitativi di solanina, se ne dovrebbe mangiare svariati kg per avere un effetto tossico. Evitando le patate verdi, germogliate o amare dovrebbe escludere il rischio e i casi documentati di morte sono pochissimi.

Tuttavia nel modello animale di intestino irritabile la solanina infiamma l'intestino e incrementa la permeabilità intestinale, anche se l'effetto non è provato sull'uomo. Un altro effetto possibile è l'aumento dei dolori legati all'artrite, ma si tratta solo di casi aneddotici attualmente.

Le lectine, sostanze non digeribili presenti sia nei cereali che nelle solanacee (e nella maggior parte dei vegetali), sono note per il loro effetto su flora, assorbimento dei minerali e infiammazione dell'intestino, in particolare in persone con un apparato digerente già compromesso (per esempio chi ha malattie autoimmuni).

Ma le solanacee sono anche note per apportare buoni nutrienti. Caroteni, minerali, vitamine (in particolare B, C ed E) che potenziano le difese antiossidanti del corpo. 

"In definitiva, non ci sono prove sufficienti per collegare il consumo di solanacee commestibili con malattie autoimmuni e intestinali o aumento dell'infiammazione. Tuttavia, si deve riconoscere che i dati attuali sono limitati, quindi gli specialisti dovrebbero stare attenti a non minimizzare i report di intolleranza. Invece, i nutrizionisti possono guidare i pazienti attraverso una dieta di eliminazione con un'attenta reintroduzione per determinare se queste piante sono dannose o una parte preziosa di una dieta equilibrata. Come parte della dieta di eliminazione, si possono fornire un elenco di alimenti alternativi da incorporare durante il periodo di prova per assicurarsi che siano inclusi i nutrienti vitali".


Aggiornamento 11/2/2022

Per la prima volta una società scientifica, in questo caso la Società Francese di Reumatologia, rilascia delle indicazioni ufficiali per la gestione della dieta nelle malattie reumatiche.

Fondamentalmente si tratta di una dieta mediterranea con integrazione di omega 3.

Diete di esclusione, vegetariane o vegane o digiuno non dovrebbero essere consigliate con le evidenze attuali, ma devono essere indagate ulteriormente, assieme all'effetto del microbiota, dei probiotici, della permeabilità intestinale, del cibo biologico e ultraprocessato.
Viene specificato che la dieta non è un sostituto dei trattamenti farmacologici, che l'integrazione può far parte dell'approccio, che non si può prescindere dall'esercizio fisico e dal dimagrimento e che le raccomandazioni possono essere personalizzate sullo stato fisico della persona.
L'integrazione di omega 3 dev'essere di 2 grammi o più. Non vi sono indicazioni per consigliare vitamine o minerali se non in caso di carenza. Alcuni integratori (zafferano, cannella, aglio, zenzero, sesamina, concentrato di melograno) potrebbero avere effetti benefici sull'attività dell'artrite reumatoide ma i dati sono attualmente troppo limitati per proporne l'uso nella pratica corrente.

Aggiornamento 26/2/2022

Un gruppo di ricercatori italiani ha elaborato una dieta ideale per persone con artrite reumatoide (AR), considerando che "La letteratura scientifica recente suggerisce che la dieta gioca un ruolo fondamentale nella terapia dell'AR, attraverso la gestione dell'infiammazione, dell'immunità e dello stress ossidativo.

Si tratta sostanzialmente di una dieta mediterranea.
Per quanto riguarda le fonti di carboidrati, si suggerisce di usare 3 porzioni al giorno di cereali integrali, preferibilmente senza glutine, ed evitare zuccheri aggiunti e dolci.
I grassi devono essere rappresentati da olio extravergine d'oliva preferibilmente crudo e da semi oleosi come semi di chia e di lino, insieme a 30g di altra frutta secca oleosa.
L'uso di spezie come curcuma, zenzero ecc. può ridurre infiammazione e stress ossidativo.
Un bicchiere di vino o birra può essere concesso.
I latticini possono essere usati con moderazione.
Il pesce preferibilmente grasso dev'essere consumato almeno 3 volte a settimana.
Per quanto riguarda la carne se ne consigliano porzioni a settimana, di cui 3 porzioni di carne bianca e una di carne rossa. Soprattutto per le carni rosse vanno scelti tagli magri, in modo da ridurre l'apporto di grassi saturi.
L'assunzione di legumi dovrebbe essere incoraggiata nella frequenza di 3 porzioni a settimana. Per migliorare la tollerabilità, i legumi possono essere consumati decorticati o frullati.
Le uova contengono diversi nutrienti che possono avere effetto pro o antinfiammatorio, per cui se ne consigliano 2 a settimana.
Caffè e tè possono essere consumati.
L'integrazione con omega 3 può essere fatta con dosi di 2,7g al giorno per 3 mesi. La valutazione dei livelli di vitamina D e l'eventuale integrazione sono fortemente consigliati anche per prevenire l'osteoporosi.
Per quanto riguarda altri supplementi, sebbene la letteratura non sia completamente concordante, l'integrazione con antiossidanti (selenio: 100 o 200 μg/dose; rame 0,9 mg; manganese 10 mg; beta-criptoxantina almeno 86,9 μg/giorno ; zinco almeno 15 mg/giorno; vitamina C almeno 40 mg/die) può essere una strategia utile per prevenire lo sviluppo dell'AR. Anche la quercetina (500mg) e il resveratrolo (1g) hanno buone probabilità di ridurre i sintomi.
È importante correggere l'eventuale anemia da carenza di ferro. Limitare il sale è un altro aspetto importante.
Secondo studi recenti il digiuno intermittente può aiutare, almeno temporaneamente, a migliorare la malattia.

Aggiornamento 29/3/2022

La barriera intestinale ci protegge dai microbi intestinali o loro parti/metaboliti, dagli antigeni alimentari e dalle tossine presenti nel tratto gastrointestinale. Tuttavia, l'integrità della barriera intestinale può essere influenzata da fattori intrinseci ed estrinseci, tra cui la predisposizione genetica, la dieta occidentale, gli antibiotici, l'alcol, l'alterazione del ritmo circadiano, lo stress psicologico e l'invecchiamento. La presenza di una permeabilità intestinale (GP) non fisiologica può portare alla traslocazione di componenti microbici nel corpo, producendo un'infiammazione sistemica di basso grado. L'associazione tra integrità della barriera intestinale e infiammazione nelle malattie intestinali sia ben consolidata, ma recentemente è emerso come si leghi anche a disturbi metabolici, autoimmuni, mentali e legati all'invecchiamento.
Quali fattori provocano la GP? Acroleina (fritti), invecchiamento, alcol, farmaci (antiacidi, cortisonici, antinfiammatori e antibiotici), traumi, chemioterapia, emulsionanti, alterazione dei ritmi circadiani, allenamento strenuo, diete ad alto contenuto di sale, zuccheri e grassi, fruttosio, glutine e fruttani, stress come l'iperglicemia, il calore e l'ipossia, lectine e solanacee, dolcificanti e fumo.
I fattori protettivi sono invece: berberina, glutammina, butirrato, resveratrolo, spermidina, urolitina A e curcumina, fibra, funghi medicinali, probiotici e alimenti fermentati, omega 3, raggi infrarossi, stimolazione del nervo vago, farmaci appositi come gli antiTNFalfa, vitamina D e zinco.
Curiosamente il digiuno può sia proteggere che indurre GP, dipende dalla forma e dal soggetto probabilmente.
L'articolo sottolinea come alcuni farmaci e i probiotici probabilmente farebbero poco sul lungo periodo, "riteniamo invece che i cambiamenti dello stile di vita che coinvolgono la considerazione della composizione della dieta, l'uso di farmaci e alcol, l'esercizio fisico, l'esposizione alla luce solare e i corretti livelli di vitamina D, la regolazione del ritmo circadiano e la gestione dello stress hanno maggiori probabilità di mostrare risultati positivi. I recenti progressi relativi all'integrità della barriera intestinale e alla composizione del microbiota intestinale offrono quindi l'opportunità di rivalutare l'importanza della dieta e dello stile di vita nella prevenzione e nel trattamento delle malattie croniche associate all'alterazione della barriera intestinale, all'infiammazione e all'invecchiamento".

Aggiornamento 22/5/2022

Assumere amido resistente, per esempio con le patate o altre fonti di carboidrati cucinati e mangiati freddi dopo alcune ore, migliora la permeabilità intestinale, il microbiota e l'endotossemia, la presenza di metaboliti batterici nel sangue dopo un pasto dovuta proprio un eccesso di passaggio di sostanze dall'intestino. Migliorano così il microbiota e i marker metabolici di rischio cardiovascolare come pressione, glicemia, insulina, infiammazione e perossidazione lipidica

Aggiornamento 22/4/2023

Alcuni carboidrati sono simili a quelli presenti in batteri patogeni e possono così mimarne gli effetti, inducendo malattie autoimmuni.

sabato 4 settembre 2021

Se fosse così facile 3


Continua qui il post sulla difficoltà a dimagrire, in particolare per alcune persone predisposte geneticamente (o epigeneticamente), con un report da un importante studio condotto sulla capacità delle persone di consumare calorie, in particolare in seguito ad attività fisica.


http://www.quickmeme.com/meme/3rp0z7


Esistono meccanismi compensatori che rendono tutt'altro che facile dimagrire, nonostante l'attività fisica. Portano in generale a mangiare più cibo (perché l'esercizio stimola il nostro appetito), o ridurre la spesa energetica in altre componenti (metabolismo a riposo), in modo che l'esercizio diventi "meno costoso".

Negli anziani per ogni caloria spesa nell'attività fisica, il corpo ne risparmia mezza nel metabolismo basale.
Questo capita anche negli obesi, e un autore dello studio (prof Speakerman) ha affermato "Le persone obese possono essere particolarmente efficienti nel tenersi strette le loro riserve di grasso, rendendo difficile la perdita di peso".
In pratica l'eccesso di grasso favorisce, dopo l'allenamento, una riduzione delle calorie consumate a riposo, nell'ordine del 28%. La variabilità tra persone è alta, e suggerisce che il metabolismo lento non sia un mito (per alcuni).
"Le persone che compensano di più possono avere maggiori probabilità di accumulare grasso corporeo. In alternativa, il processo potrebbe avvenire progressivamente negli individui: man mano che ingrassiamo, il nostro corpo potrebbe compensare più fortemente le calorie bruciate durante l'attività, rendendo progressivamente più difficile perdere grasso".
Questi dati rafforzano l'importanza della prevenzione dell'aumento di peso, e non solo la sua gestione.
"Le strategie di salute pubblica per la perdita di grasso dovrebbero essere riviste per riconoscere la compensazione energetica man mano che la nostra comprensione progredisce su quali individui compensano e di quanto. In questo senso, sono necessarie ulteriori ricerche sulla diversità potenzialmente sostanziale della compensazione energetica tra le sottopopolazioni. In futuro, potrebbero essere sviluppati piani di esercizi personalizzati mirati alla perdita di grasso in parte basati sulla propensione genetica di un individuo per la compensazione energetica".

Aggiornamento 16/9/2021

Una nuova puntata del modello insulina-carboidrati del prof. Ludwig.
"In contrasto con il modello del bilancio energetico, il modello carboidrati-insulina fa un'affermazione coraggiosa: l'eccesso di cibo non è la causa principale dell'obesità. Al contrario, il modello carboidrati-insulina attribuisce gran parte della colpa dell'attuale epidemia di obesità ai moderni modelli dietetici caratterizzati da un consumo eccessivo di alimenti ad alto carico glicemico: in particolare, carboidrati trasformati e rapidamente digeribili. Questi alimenti causano risposte ormonali che modificano radicalmente il nostro metabolismo, determinando l'accumulo di grasso, l'aumento di peso e l'obesità.
Quando mangiamo carboidrati raffinati, il corpo aumenta la secrezione di insulina e sopprime la secrezione di glucagone. Questo, a sua volta, segnala alle cellule adipose di immagazzinare più calorie, lasciando meno calorie disponibili per alimentare i muscoli e altri tessuti metabolicamente attivi. Il cervello percepisce che il corpo non riceve abbastanza energia, il che, a sua volta, porta a sensazioni di fame. Inoltre, il metabolismo può rallentare nel tentativo del corpo di risparmiare carburante. Pertanto, tendiamo a rimanere affamati, anche se continuiamo ad aumentare il grasso in eccesso.
Per comprendere l'epidemia di obesità, dobbiamo considerare non solo quanto stiamo mangiando, ma anche come i cibi che mangiamo influenzano i nostri ormoni e il nostro metabolismo. Con la sua affermazione che tutte le calorie sono uguali per il corpo, il modello del bilancio energetico manca questo pezzo fondamentale del puzzle.
L'adozione del modello carboidrati-insulina rispetto al modello del bilancio energetico ha implicazioni radicali per la gestione del peso e il trattamento dell'obesità. Piuttosto che spingere le persone a mangiare semplicemente di meno, una strategia che di solito non funziona a lungo termine, il modello carboidrati-insulina suggerisce un altro percorso che si concentra maggiormente su ciò che mangiamo. Secondo il Dr. Ludwig, "ridurre il consumo dei carboidrati rapidamente digeribili che hanno inondato l'approvvigionamento alimentare durante l'era della dieta lowfat riduce la spinta sottostante a immagazzinare il grasso corporeo. Di conseguenza, le persone possono perdere peso con meno fame e fatica".
Chi ha ragione allora?
È probabile che entrambi la abbiano, nel senso che, dal punto di vista termodinamico, l'aumento del grasso immagazzinato è sempre dato da un'introduzione calorica superiore a quella consumata, ma dal punto di vista biologico l'immagazzinamento è permesso solo da particolari situazioni ormonali che i carboidrati possono favorire, e l'uso di alimenti non trasformati supporta una maggiore sazietà e quindi una minore introduzione di calorie.

Aggiornamento 19/9/2021

Sempre più prove mostrano che il tipo di microbiota influenza il dimagrimento, e in alcune persone può addirittura ostacolarlo.
Chi ha batteri che digeriscono l'amido e le fibre in glucosio fa più fatica a dimagrire, perché assorbe più calorie e più velocemente. Invece chi ha batteri che si riproducono velocemente è facilitato, perché consumano loro calorie. Inoltre vengono prodotti più SCFA che riducono l'infiammazione intestinale e migliorano il metabolismo energetico favorendo il consumo di grassi e viene ridotto l'ossigeno nell'intestino che può creare stress ossidativo e favorire batteri cattivi.
In generale i Bacteroidetes (inclusi Prevotella) rendono più facile il dimagrimento estraendo meno calorie dalla dieta.

Aggiornamento 1/10/2021

Il microbiota influenza la massa magra nei topi. Si chiama asse intestino-muscolo.
I batteri rilasciano metaboliti che promuovono o bloccano la trofia muscolare, come alcuni sali biliari.
La disbiosi induce infiammazione e permeabilità intestinale che determinano resistenza anabolica. Potete anche andare sollevare il mondo che la muscolatura tenderà ad atrofizzarsi.
Si riducono le cellule satellite (che supportano la crescita muscolare), si blocca l'ipertrofia delle fibre lente e veloci.
Taylor Valentino, primo autore dell'articolo, ha dichiarato: "Essendo in grado di identificare le sostanze che i batteri intestinali producono per aiutare la crescita muscolare dopo l'esercizio, potremmo essere in grado di utilizzare alcune di queste sostanze per promuovere la crescita dei muscoli nelle persone che soffrono di sarcopenia (perdita di muscolo) come si vede tipicamente con l'invecchiamento o il cancro ".

Aggiornamento 13/10/2021

Le variazioni del peso influenzano la spesa calorica. Non dovrebbe essere una sorpresa, ma molti nutrizionisti usano le equazioni predittive come se fossero una legge; alcuni ricercatori hanno verificato la loro attendibilità, evidenziando che non sono per niente affidabili in chi ha perso peso.
Le equazioni sono infatti basate su studi in popolazioni con peso stabile, e non su chi ne ha perso.
Anche modeste variazioni nel peso impattano significativamente sulle equazioni, e l'errore è influenzato sia dal tempo che dalla quantità del dimagrimento.
La termogenesi adattativa, la riduzione della spesa energetica maggiore di quanto teoricamente previsto, oscilla tra le 50 e le 500 kcal al giorno.
"I nostri risultati suggeriscono che la termogenesi adattiva può essere provocata da perdite di peso inferiori rispetto a quanto generalmente ipotizzato, fornendo supporto a un modello di perdita di peso legato alla termogenesi adattiva soprattutto in fase iniziale.
I nostri risultati evidenziano la temporalità del peso come un fattore importante da considerare quando si utilizzano le equazioni di previsione della REE per prescrivere obiettivi calorici in ambito clinico".

Aggiornamento 23/10/2021

Il muscolo delle persone obese ha difficoltà a ossidare i substrati energetici, a causa ad esempio dell'infiltrazione di grasso e della scarsa qualità dei mitocondri.
Queste alterazioni metaboliche si manifestano come "diminuzione dell'assorbimento del glucosio e dell'azione dell'insulina (con conseguente aumento della glicemia), disregolazione del metabolismo lipidico, ridotta ossidazione del substrato mitocondriale e cambiamenti nella morfologia della rete mitocondriale".
La flessibilità metabolica, la capacità di ossidare efficientemente i substrati (grassi e carboidrati) e passare facilmente da un carburante all'altro, è ridotta in caso di resistenza insulinica.
Anche l'ipossia (scarso ossigeno portato dal sangue), l'infiammazione e l'autofagia difettosa contribuiscono alle alterazioni metaboliche e a ridurre l'ossidazione dei grassi.
L'EPA (omega3), sirtuine, la caffeina, l'attività fisica e alcuni interventi farmacologici allo studio possono migliorare l'attività mitocondriale.

Aggiornamento 26/10/2021

Un pugile professionista è stato seguito per 5 anni. In questo tempo ha affrontato 11 incontri, e per ognuno ha fatto un "taglio" del peso per rientrare nella categoria. Dieta con poche fibre, riduzione calorica, taglio dei carboidrati per ridurre il glicogeno che trattiene l'acqua. Questo gli ha consentito di rientrare nella categoria di peso pochi giorni prima del match.

Tra il primo e l'ultimo incontro la composizione corporea è peggiorata (massa grassa da 12,5 a 16,1 kg e massa magra da 69,8 a 67,5 kg), mettendo in evidenza una tendenza all'accumulo di grasso a alla perdita di muscolo.
La tendenza a un peggioramento della composizione corporea è dovuta all'iperfagia (si mangia di più per maggiore fame) dovuta al fatto che il corpo vuole mangiare di più per recuperare la massa magra persa, solo che questo porta ad accumulare più grasso di quello presente in precedenza (collateral fattening).
Questo effetto yoyo (weight-cycling) può predisporre per obesità e malattie metaboliche.

Aggiornamento 8/3/2022

La variante genetica del recettore beta adrenergico, quello che stimola la termogenesi e la lipolisi, ha un impatto sulla composizione corporea. Alcuni hanno quindi un metabolismo più attivo perché i suoi recettori rispondono meglio alle catecolamine e tendono ad accumulare meno grasso. Inoltre possono avere effetto anabolico sui muscoli, tramite stimolazione di mTOR, aumento del segnale insulinico e blocco della miostatina, con una riduzione globale della proteolisi (catabolismo muscolare)

Aggiornamento 18/3/2022

Alcuni nutrienti come N-acetilcisteina, magnesio e calcio glucarato sono fondamentali per il metabolismo degli estrogeni, ormoni tipici femminili che influenzano metabolismo, deposito del grasso, rischio tumorale e problemi tipici femminili come sindrome premestruale, dolori ed endometriosi.
Antiossidanti come glutatione, curcumina e flavonoidi, vitamine A, C ed E e del gruppo B proteggono dall'ossidazione e supportano la funzione di disintossicazione epatica, influenzando la quantità di ormoni attivi circolanti.
Anche il microbiota intestinale, insieme a lignani e fibre, prende parte al metabolismo degli estrogeni favorendo l'escrezione dei metaboliti dannosi.
I fitoestrogeni possono modulare positivamente la risposta dei tessuti.

Aggiornamento 19/3/2022

Nella dietetica classica si insegnava che gli adipociti dopo l'adolescenza non potevano aumentare di numero ma solo di dimensioni. Immaginare una situazione del genere era evidentemente sbagliato visto che si conoscevano già farmaci antidiabetici (i glitazoni) che agivano proprio favorendo la maturazione dei preadipociti in adipociti (cioè aumentando il numero) e permettendo di abbassare la glicemia perché il glucosio in eccesso andava a essere stipato assieme al grasso. Chiaramente se era possibile stimolare la maturazione dei preadipociti con molecole esogene, esistono anche molecole endogene che stimolano le stesse vie.
Oggi sappiamo che il tessuto adiposo è altamente dinamico, e i grassi vengono scomposti e riformati (lipolisi e riesterificazione dei trigliceridi) con spreco di energia, ma questo processo è rallentato nelle persone sovrappeso, nell'invecchiamento e nell'insulinoresistenza ed è un segno di malattie metaboliche (e metabolismo lento). "La lipolisi indotta da catecolamine diminuisce nel tempo e può, in parte, spiegare l'aumento del peso corporeo durante l'invecchiamento". Questo può spiegare perché da giovani è più facile dimagrire, mentre andando avanti con l'età e con più diete alle spalle diventa sempre più difficoltoso.
Gli adipociti vengono rimpiazzati da nuove cellule col tasso del 10% annuo, ma nel dimagrimento non si riducono di numero (solo di dimensioni) e questo facilita il recupero del peso.
Il meccanismo di aumento del numero di adipociti (iperplasia) è particolarmente evidente nell'obeso e nella persona che recupera peso, anche per effetto delle fluttuazioni nella leptina.
L'aumento di numero avviene prevalentemente nel tessuto viscerale e non in quello sottocutaneo, soggetto più che altro a ipertrofia (aumento delle dimensioni delle cellule).

Aggiornamento 26/3/2022

Fare diete da fame può essere la cosa peggiore sul lungo periodo perché determina un aumento dell'appetito che si ripercuote sulla composizione corporea.
"L'effetto complessivo della spesa energetica (EE) sull'equilibrio energetico giornaliero e sul cambiamento di peso dovrebbe essere valutato non solo considerando il suo effetto brucia-calorie ma anche alla luce del suo effetto oressigenico collaterale sull'assunzione di energia. Questi risultati suggeriscono che gli interventi clinici volti a indurre deficit energetici aumentando l'EE dovrebbero tenere conto di eventuali effetti collaterali oressigenici che potrebbero ridurre (o addirittura prevenire) l'entità della perdita di peso promuovendo l'eccesso di cibo.

Aggiornamento 3/4/2022

La vitamina D in alcune malattie endocrine. I suoi livelli sono spesso carenti per diversi motivi (alimentazione di scarsa qualità e poca esposizione al sole).
Nelle malattie autoimmuni della tiroide, come Hashimoto e Basedow. Nella prima è capace di ridurre gli anticorpi e il TSH modulando l'aggressività del sistema immunitario che nel lungo periodo distrugge la tiroide. Anche T3 e T4 (gli ormoni tiroidei) possono migliorare. Nella seconda riduce il rischio di esoftalmo e di alterazioni nella dimensione della tiroide ed è associata alla probabilità di remissione.
Anche nelle malattie metaboliche (obesità e diabete) si trova spesso bassa. Il suo ruolo è importante perché modula il calcio nelle cellule pancreatiche che rilasciano insulina. La sua carenza inoltre è associata con infiammazione che caratterizza queste condizioni.
Correggere la carenza può aiutare a sia a migliorare i parametri glicemici che quelli antropometrici.
Ricordarsi sempre di avere contemporaneamente anche corretti livelli di magnesio.

Aggiornamento 4/4/2022

Le persone obese, secondo un nuovo studio, riportano con errori simili a quelli dei normopeso la loro alimentazione, smentendo il mito secondo cui nascondano quello che mangiano.
Secondo gli autori dello studio è bene che queste persone si focalizzino sul cibo e non sulle calorie.
"Le persone obese vengono erroneamente etichettate in diversi modi", ha detto Sandercock, uno degli autori. "Ma […] etichettarli come bugiardi [] semplicemente non è utile. La vergogna non è un modo per far sì che le persone siano più sane. Dal punto di vista scientifico, cercare di incolpare un problema metodologico su un sottogruppo [] è irresponsabile".

Aggiornamento 14/4/2022

L'insulina basale determina le dinamiche del dimagrimento. L'insulina è l'ormone principalmente coinvolto nell'immagazzinamento dei grassi, ma ha una certa influenza anche sul consumo energetico e chi ha insulina alta ha maggiore rischio di recupero del peso.
"I partecipanti con una maggiore secrezione di insulina hanno perso meno peso come massa grassa, hanno perso più peso come massa magra e avevano una maggiore adiposità centrale rispetto a quelli con una minore secrezione di insulina. Allo stesso modo, i cambiamenti avversi della composizione corporea sono stati previsti da una maggiore resistenza all'insulina ai livelli basali. Questi risultati suggeriscono che le differenze nelle dinamiche dell'insulina possono influenzare la partizione del substrato metabolico e l'ossidazione dei grassi durante la restrizione energetica, con implicazioni per il successo a lungo termine del mantenimento della perdita di peso e della salute cronica.
L'eccessiva riduzione della massa magra durante la perdita di peso tende a diminuire il dispendio energetico, richiedendo una restrizione energetica sempre più severa per sostenere la perdita di peso in corso e un minore apporto energetico di mantenimento per prevenire il recupero del peso. Inoltre, la perdita di massa magra può stimolare meccanismi compensatori, incluso l'aumento della fame. Questi aspetti promuovono l'aumento di grasso corporeo".
La medicina di precisione ha quindi il compito di capire quali alimenti possono mantenere i livelli di insulina inferiori, solitamente proteine e alimenti con indice glicemico basso. Anche la dieta chetogenica può favorire un più favorevole utilizzo dei nutrienti massimizzando la lipolisi e salvaguardando il muscolo.

Aggiornamento 30/7/2022

In una conferenza si è parlato di nuovi temi con cui combattere l'obesità. Lo stress è stato considerato uno dei temi da affrontare. Qualcuno si è spinto ad affermare che è il singolo fattore maggiormente coinvolto.
Lo stress è legato all'aumento di peso con diversi meccanismi.
Il cortisolo, l'ormone dello stress, promuove l'appetito e riduce la sensibilità alla leptina, l'ormone della sazietà rilasciato dopo i pasti. Inoltre aumentano grelina e NPY, ormoni che stimolano la fame e in particolare verso il cibo spazzatura. Nei periodi di stress infatti aumentano i processi di ricompensa stimolati dal cibo ricco di calorie e povero di nutrienti.
Lo stress altera il microbiota e la permeabilità intestinale. Alcune evidenze mostrano che specifici probiotici migliorano la risposta allo stress e quindi la composizione corporea.
Gli interventi di riduzione dello stress riescono a ridurre l'accumulo di grasso addominale, quello più pericoloso per la salute.
Lo stigma dell'obesità può indurre stress ed essere un innesco per un circolo vizioso che favorisce ulteriore accumulo di peso.

Aggiornamento 20/11/2022

Ritardare i pasti porta a una significativa riduzione dell'ossidazione dei grassi nei confronti dei carboidrati, come si evince da una aumento del quoziente respiratorio, che misura la "miscela" di carboidrati e grassi che viene consumata da noi costantemente. La spesa energetica totale non sembra essere influenzata in maniera significativa, ma in un contesto di eccesso calorico si favorirebbe maggiormente l'accumulo di adipe.

Aggiornamento 19/12/2022

Se avete poca voglia di fare sport la colpa potrebbe essere (anche) dei vostri microbi intestinali. Infatti alcuni ricercatori hanno scoperto che i batteri influenzano particolare aree del cervello e in questo modo la tendenza a fare attività fisica.
In particolare vengono prodotti metaboliti degli acidi grassi che agiscono sul sistema endocannabinoide (recettori CB1 in neuroni TRPV1) che "inviano un segnale afferente indotto dall'esercizio al cervello e riducono l'espressione di MAO (enzima che degrada le monamine) nello striato. Questo blocco delle MAO contribuisce a livelli più elevati di dopamina e a una maggiore capacità di esercizio". In assenza dei batteri invece ci sono più MAO, meno dopamina e abbiamo meno piacere nel fare esercizio, fino a preferire il divano coi popcorn mentre guardiamo un film.
I dati quindi suggeriscono che "gli effetti neurochimici alla base del "runner's high", il fenomeno di piacere, ricompensa, riduzione dell'ansia e analgesia guidato dal rilascio di endocannabinoidi dopo un'attività fisica prolungata potrebbero essere influenzati dal tratto gastrointestinale. Coerentemente, abbiamo scoperto che gli effetti analgesici dell'esercizio dipendono anche dalla colonizzazione microbica intestinale e dalla segnalazione CB1 periferica, indicando che il percorso scoperto in questo studio può regolare ulteriori aspetti della fisiologia dell'esercizio. Evolutivamente, la regolazione dei circuiti di ricompensa e motivazione indotti dall'esercizio da parte dei metaboliti intestinali può servire ad accoppiare la disponibilità di nutrienti e lo stato di colonizzazione microbica intestinale alla prontezza e alla capacità di impegnarsi in un'attività fisica prolungata". Per capirci sono gli stessi recettori stimolati dalla marijuana, ecco perché per qualcuno lo sport è una droga. Per altri invece lo è il cibo, che può ugualmente stimolare questi recettori in maniera indiretta.

Aggiornamento 21/12/2022

L'abbondanza del microbiota appare essere correlata con una migliore composizione corporea (perdita di grasso addominale) e con il successo a lungo termine in una dieta dimagrante. Ecco perché cercare di fare sempre una dieta che sia amica dei microbi intestinali e non semplicemente un taglio calorico. 

Aggiornamento 28/1/2023

Una revisione degli studi mostra che una significativa porzione delle persone normopeso che perdono peso di proposito, magari per pressioni sociali o distorsione dell'immagine, spesso riacquistano i kg persi con gli interessi. L'analisi suggerisce che indurre un bilancio energetico negativo genera dei comportamenti compensatori di adattamento che persistono oltre la fase in cui si mangia per recuperare il peso. In questo modo ci si può ritrovare con più kg totali, ma meno muscolo e più grasso. Per questo un taglio calorico può, in individui predisposti, favorire un passaggio al sovrappeso o all'obesità.

Aggiornamento 26/3/2023

L'appetito è gestito in larga parte da neuroni presenti nell'ipotalamo. Sono presenti tipi di neuroni "antagonisti", che si bloccano tra loro. Quando sono attivi quelli "oressizzanti" (che stimolano la fame, AgRP) vengono bloccati quelli "anoressizzanti" (che bloccano la fame).
In particolare in caso di deficit calorico (in pratica un a dieta a ridotto introito calorico) si stimolano i neuroni TRH del nucleo paraventricolare, che vanno a influenzare la funzione tiroidea, e mandano segnali al nucleo arcuato, un'altra parte dell'ipotalamo che esprime AgRP. Questi neuroni si "sintonizzano" sulla nuova situazione e amplificano il segnale di fame, finché non mangiamo lo stesso quantitativo precedente, rendendo così vano il tentativo di dimagrire. Molte diete falliscono proprio per questo: il deficit calorico induce fame perché il corpo vuole recuperare i kg persi.
"Abbiamo scoperto che la connessione fisica del neurotrasmettitore tra questi due neuroni, in un processo chiamato plasticità sinaptica, aumenta notevolmente con la dieta e la perdita di peso, e questo porta a una fame eccessiva di lunga durata", ha commentato il coautore Bradford Lowell della Harvard Medical School.

Aggiornamento 29/3/2023

Si sta diffondendo l'uso di medicinali per dimagrire, le incretine, che appaiono sicuri ed efficaci, nonché costosi. Un raro effetto è la pancreatite acuta (incidenza 0.2% negli studi). Alcuni possono avere pesantezza e nausea. Si inizia a prenderli e si può avere un dimagrimento di oltre il 22%, superiore a quello di solito ottenuto con le modifiche dello stile di vita. Che succede se si interrompe il trattamento? "Questo è generalmente associato ad un aumento dell'appetito e a una minore sazietà, e vi è un successivo recupero di peso e una ricorrenza delle complicanze legate al peso in eccesso. […]
I farmaci anti-obesità sono prescritti a meno del 3% delle persone idonee negli Stati Uniti e la durata media della terapia è inferiore a 90 giorni. Questa durata del trattamento non è sufficiente per vedere tutti i benefici offerti dalla maggior parte dei farmaci e certamente non supporta il mantenimento del peso a lungo termine.
La terapia cronica è necessaria per il mantenimento del peso perché si verificano diversi cambiamenti neuroormonali a causa della perdita di peso. L'adattamento metabolico è la relativa riduzione del dispendio energetico, al di sotto di quanto ci si aspetterebbe, nelle persone dopo la perdita di peso. Quando questo è combinato con cambiamenti fisiologici che aumentano l'appetito e diminuiscono la sazietà, molte persone creano un bilancio energetico positivo che si traduce in un recupero di peso. Questo è stato osservato in reality show come The Biggest Loser: è questioni di biologia, non di forza di volontà.
Sfortunatamente, molte persone, inclusi gli operatori sanitari, non capiscono come questi cambiamenti promuovano il recupero del peso e troppo spesso i pazienti vengono incolpati quando il loro peso risale dopo l'interruzione dei farmaci. Questa colpa è fortemente disinformata dalle convinzioni distorte dal peso secondo cui le persone con obesità sono pigre e mancano di autocontrollo per la perdita o il mantenimento del peso. Nessuno sarebbe sorpreso se la pressione sanguigna di qualcuno aumentasse se i loro farmaci antipertensivi venissero interrotti. Perché pensiamo in modo così diverso quando trattiamo l'obesità?"
Molti sono quindi costretti a interrompere il trattamento per i costi, solo alcuni per gli effetti collaterali.
"Le persone hanno bisogno di un migliore accesso a trattamenti basati sull'evidenza per l'obesità, che includono interventi sullo stile di vita, farmaci anti-obesità e procedure bariatriche. Il successo del trattamento dell'obesità dovrebbe includere un approccio personalizzato e centrato sul paziente che potrebbe richiedere una combinazione di terapie, come farmaci e interventi chirurgici, per un controllo del peso duraturo".

Aggiornamento 7/5/2023

Sono stati individuate 60 proteine espresse nel sistema nervoso centrale implicate nel controllo del peso corporeo.
Queste proteine spiegano l'interazione tra cervello e l'ambiente alimentare, che è notevolmente cambiato negli ultimi decenni. Il ricercatore dr. Arsenault ha spiegato: "Questa relazione potrebbe influenzare i comportamenti alimentari e l'accumulo di energia. Il peso non è una scelta né un'abitudine di vita. Non abbiamo un peso corporeo elevato perché siamo pigri o ci manca la forza di volontà. Sono in gioco meccanismi neuronali inconsci. Il cervello è quello che comanda. Spero che i risultati di questo studio possano in parte spiegare perché il peso corporeo varia così tanto da una persona all'altra".

Aggiornamento 30/6/2023

Uno dei motivi del recupero del peso è il rallentamento del metabolismo. Si consumano meno calorie, in particolare coi cicli futili, quei metabolismi che sprecano calorie e aumentano il dispendio quotidiano. In caso di restrizione calorica il corpo reagisce risparmiando e favorisce un recupero dei kg.
In particolare una proteina chiamata GDF15 viene soppressa in caso di dieta ipocalorica. Questa proteina stimola il ciclo futile del calcio nelle cellule muscolari attraverso lo stimolo adrenergico.
Somministrare la proteina o un suo analogo farmacologico attiva la spesa energetica e riduce l'appetito, favorendo il mantenimento del peso perso nel modello animale.

Aggiornamento 11/8/2023

L'ipotalamo delle persone sovrappeso può essere più grande (ipertrofico) e infiammato. Questo organello è posto alla base del cervello e regola l'appetito, il bilancio energetico e la composizione corporea. Uno stato infiammatorio è noto per alterare la funzione dell'organo (functio laesa). Per questo avere alterazioni ipotalamiche può far cadere in un circolo vizioso che rende difficile controllare l'appetito e il peso.
Tuttavia i ricercatori scrivono che "il disegno di questo studio non può stabilire una relazione causale e suggeriamo che siano necessarie ulteriori ricerche per stabilire se un volume ipotalamico maggiore sia una causa o un effetto di un peso superiore al normale (non si capisce se sia un'effetto del mangiare di più o chi ha un ipotalamo più grande mangia di più per questo). La cascata infiammatoria di aumentata espressione di citochine infiammatorie, la gliosi indotta dalla dieta, l'alterazione della barriera ematoencefalica (BBB, che "filtra" le informazioni che arrivano all'ipotalamo) e alterazioni vascolari possono esacerbare un'ulteriore disregolazione dei meccanismi omeostatici energetici governati dall'ipotalamo, alterando l'efficacia delle strategie per la perdita di peso. Riteniamo che la ricerca futura dovrebbe tentare di chiarire e identificare le cause del maggiore volume ipotalamico nell'obesità, allo scopo di affrontare le opportunità terapeutiche per un'esigenza di salute pubblica mondiale".

Aggiornamento 20/8/2023

Classicamente si ritiene l'ossidazione dei grassi durante l'attività fisica sia legata alla frequenza cardiaca. In realtà si è scoperto che "le previsioni generali di una "zona bruciagrassi" che sono generalmente raccomandate non forniscono un modo valido per garantire che l'esercizio venga eseguito in prossimità della massima ossidazione dei grassi". In pratica l'intensità e il tipo di esercizio che permettono di massimizzare l'ossidazione dei grassi variano fortemente tra gli individui e vanno quindi personalizzate. Affidatevi ai professionisti per individuare la migliora attività per voi

Aggiornamento 2/9/2023

Gli astrociti sono cellule che circondano e supportano i neuroni nel cervello. Si è scoperto che possono influenzare anche il metabolismo energetico. In particolare modulano l'azione dei neuroni ipotalamici che rilasciano GABA, un neurotrasmettitore che inibisce i neuroni. Per capirci si tratta dello stesso recettore attivato da alcuni tranquillanti che, guarda caso, fanno ingrassare. Così a seconda dell'attività degli astrociti che possono essere più o meno attivi viene rilasciato GABA. Il risultato è di inibire l'attivazione del metabolismo energetico, con minore produzione di calore (termogenesi) e maggiore accumulo di grasso.

Aggiornamento 7/10/2023

I moderni farmaci dimagranti (i primi per ora a sembrare efficaci e sicuri) agiscono aumentando (indirettamente, attraverso lo stimolo del GLP1) la secrezione di insulina. Com'è possibile che aumentando l'insulina si dimagrisca? Questo ormone è ben noto per favorire l'accumulo del grasso e le diete spesso si dice che dovrebbero favorire una riduzione dell'insulina per funzionare. In realtà cambiano sì le quantità, ma soprattutto la sua azione biologica. Agisce sull'ipotalamo dando sazietà, che normalmente non c'è, aiutando a mangiare meno. Ed ecco che si dimagrisce senza (quasi) soffrire, soprattutto mantenendo l'effetto perché non c'è la riduzione del metabolismo e del consumo energetico comune nelle diete ipocaloriche (risposta adattativa), che predispone per il recupero del peso.

Aggiornamento 10/11/2023

La ricomposizione corporea, la riduzione del grasso accompagnata da un aumento del muscolo, solitamente si può verificare in persone che partono da scarso allenamento e alimentazione errata. Tuttavia è possibile anche in soggetti allenati, soprattutto facendo attenzione ai dettagli.
🏋🏼 allenamento di resistenza (ossia coi pesi)
📝 tenere nota dei progressi e delle prestazioni
🛋 riposare adeguatamente
🍗 consumare adeguate quantità di proteine
💊 gli integratori proteici possono massimizzare l'aumento di muscolo, in particolare se assunti post workout
😴 il sonno, in quantità e qualità, può essere un fattore determinante

"La riduzione della massa grassa può verificarsi (anche) in soggetti ben allenati con apporti ipercalorici, in particolare quando il surplus è dovuto ad un aumento delle proteine ​. Collettivamente, questi studi suggeriscono che le strategie nutrizionali basate sull’evidenza possono migliorare ulteriormente la ricomposizione corporea in individui allenati".
L'alternanza di periodi ipercalorici e ipocalorici che praticano alcun atleti, per esempio i "physique", può sottoporre il corpo a eccessivi stress che alterano sonno, ormoni (cortisolo, testosterone) e metabolismo energetico (riduzione della spesa calorica), inducendo cambiamenti che non permettono di raggiungere l'obiettivo. Gli studi documentano anche effetti negativi, con aumento del grasso e riduzione del muscolo, ed effetti potenzialmente migliori anche con approcci più moderati.

Aggiornamento 7/2/2024

Interrompere periodicamente la restrizione calorica riduce la tendenza all'adattamento metabolico, ossia quella riduzione del metabolismo basale che si verifica durante una dieta ipocalorica e che porta al plateau, l'appiattimento del dimagrimento.
Secondo la revisione degli studi introdurre degli intervalli è conveniente nei confronti della composizione corporea.

Aggiornamento 2/3/2024

Il grasso bruno è termogenico, ossia capace di consumare calorie producendo calore e la sua maggiore presenza è legata a minor peso e minor rischio cardiovascolare e di diabete.
È stata scoperta una proteina che aumenta il grasso bruno e potrebbe diventare un target farmacologico.
Il suo nome è EPAC1 (proteina ​​di scambio attivata dal cAMP).
La ricerca mostra anche che le persone con una variante genica di EPAC1 inattiva tendono ad essere più sovrappeso. Infatti hanno minore consumo calorico legato al grasso bruno, il famoso metabolismo lento.

Aggiornamento 8/3/2024

Qual è il miglior approccio per l'obesità?
L'arrivo dei nuovi farmaci, efficaci e sicuri ma costosi, ha aperto nuovi orizzonti. Purtroppo se si smette di usarli il peso tende a riaumentare.
Il prof. Mozaffarian, uno dei maggiori epidemiologi nutrizionali al mondo, ci avvisa che non si può comunque prescindere da un uso del cibo come farmaco (FIM), con alimenti individualizzati e salubri e sovvenzionati dallo stato, e dalla considerazione di fattori come metodiche di cottura, esercizio fisico e sonno, "sfruttando la telemedicina, le app, l'intelligenza artificiale e l'approccio ludico".
Ognuno dovrebbe avere un percorso ideale e personalizzato: "Un programma combinato agonista GLP-1/FIM dovrebbe essere individualizzato. Per alcuni pazienti, la perdita di peso iniziale può essere sostenuta a lungo termine con la FIM e il supporto dello stile di vita associato. In altri, il programma potrebbe solo rallentare il recupero del peso, richiedendo un “periodo di richiamo” episodico dell’agonista GLP-1. Indubbiamente, la perdita di peso sostenuta rimarrà una sfida per gli altri, idealmente un sottoinsieme in diminuzione man mano che cresce l’esperienza nella combinazione di agonisti del GLP-1 e FIM".
L'effettiva convenienza economica di questi trattamenti deve essere verificata nel lungo termine.

Aggiornamento 2/5/2024

Alcune info sui nuovi farmaci dimagranti.
Hanno buona efficacia e scarsi effetti collaterali.
Nei trial circa il 14% delle persone che hanno assunto il farmaco non ha avuto calo ponderale significativo (almeno il 5%).
È necessario prenderle per sempre?
Alcune persone smettono di prenderle, anche semplicemente perché non se le possono più permettere. A volte per effetti collaterali fastidiosi come la nausea.
In questo caso solitamente si riprendo i kg persi e tornano anche le patologie correlate come iperglicemia e ipercolesterolemia.
Spiega la dott.ssa Sharma: "prendere un farmaco che alterare la tua biologia è come ridurre la tensione di un elastico, ma quando toglierò il farmaco, la tensione tornerà".
Alcune persone che hanno ridotto il loro peso con il farmaco possono mantenere il loro nuovo fisico solo attraverso la dieta e l'esercizio fisico, aggiunge. Tuttavia, questi individui sono ad alto rischio di aumento di peso se ritornano alle vecchie abitudini o si sottopongono a una situazione stressante, che li porta a mangiare di più.
Si ipotizza che ridurre gradualmente il farmaco possa attenuare il ritorno della fame.
Mantenere un corretto stile di vita, con dieta e attività fisica, appare comunque imprescindibile per avere un risultato sul lungo periodo.

Aggiornamento 2/8/2024

Quando mangiamo lo facciamo per fame o per piacere.
"Le persone mangiano o perché hanno fame o per piacere, anche in assenza di fame. Mentre l’alimentazione guidata dalla fame è fondamentale per la sopravvivenza, l’alimentazione guidata dal piacere può accelerare l’insorgenza dell’obesità e dei disturbi metabolici associati".
È stato individuato un circuito cerebrale che, almeno nei topi, può privilegiare l'uno o l'altro tipo di appetito. I suoi neuroni si trovano nella banda diagonale di broca, nel sistema limbico, quello che gestisce le dipendenze.
Se questi neuroni funzionano bene e interagiscono con l'ipotalamo, bloccano l'alimentazione edonistica (quella che privilegia alimenti ricchi di zucchero e grassi), mentre rimuoverli spinge a mangiare cibo spazzatura, rendendo i topi velocemente obesi.
Probabilmente le persone con dipendenza da cibo hanno una ridotta attività di questi circuiti cerebrali

Aggiornamento 18/9/2024

La condizione di obesità è uno stress per l'organismo.
L'eccesso di tessuto adiposo altera gli organi a livello morfologico e molecolare.
In conseguenza, "si promuovono lo stress ossidativo, mitocondriale e del reticolo endoplasmatico, portando a disfunzione delle cellule β pancreatiche, resistenza all’insulina multiorgano, disfunzione endoteliale, ipercoagulabilità e metabolismo lipidico anormale, portando infine alle manifestazioni cliniche. Si propone inoltre che l’infiammazione cronica e l’iperinsulinemia siano alla base dell’aumento del rischio di diversi tumori conferito dall’obesità".

Un moderno trattamento dell'obesità non può prescindere dalla considerazione di alcuni fattori emergenti, come gestione dello stress e qualità del sonno, a fianco dei classici alimentazione e attività fisica.
Se i cambiamenti dello stile di vita non sono sufficienti, allora si devono considerare farmaci e chirurgia bariatrica.

"I cambiamenti ambientali, spesso definiti ambiente obesogeno, sono probabilmente la ragione principale del forte aumento della prevalenza dell’obesità negli ultimi cinquant’anni. Tra i fattori proposti per l'aumento del consumo alimentare vi sono i determinanti commerciali della salute, come l'aumento della disponibilità di cibo, il marketing alimentare, il prezzo degli alimenti, le dimensioni delle porzioni, la densità energetica, gli alimenti ultraprocessati (con perdita di nutrienti) e l'uso dei sottoprodotti per la loro produzione (ad esempio, mais, soia) e altri cambiamenti sociali e ambientali, tra cui un sonno inadeguato, un aumento dello stress e l’esposizione a sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino (interferenti endocrini)."

Aggiornamento 25/11/2024

I farmaci dimagranti/antiobesità (GLP1-RA), inizialmente designati come antidiabetici, stanno diventando molto diffusi, almeno tra chi ha i soldi per pagarseli.
Le ricerche e i dati post marketing su periodi più lunghi mostrano anche una riduzione degli eventi cardiovascolari e riduzione della mortalità.
Sta però preoccupando un effetto collaterale che può insorgere: la perdita di massa magra. Il fenomeno è legato alla riduzione nell'introduzione di calorie totali e proteine, una sorta di malnutrizione, che risulta un comune effetto delle normali diete ipocaloriche e probabilmente la prima causa di abbandono della dieta e recupero del peso.
In un esperimento sui topi con obesità (e non), il farmaco semaglutide ha indotto riduzione delle cellule cardiache (cardiomiociti) e quindi della massa cardiaca. Mentre può essere un effetto benefico in caso di ipertrofia cardiaca, può essere deleterio in caso di persona normopeso o con normali dimensioni cardiache, inducendo riduzione del muscolo cardiaco. Il farmaco è usato infatti "off label" per comodità anche da persone che hanno solo pochi kg da perdere.
"Questo potenziale di alterazione della struttura cardiaca in contesti che possono essere influenzati dalla ridotta massa cardiaca è importante dato il crescente utilizzo e l’approvazione delle linee guida dei GLP-1RA nei pazienti con e senza malattia cardiovascolare. Pertanto, per confermare ciò nei pazienti a cui sono stati somministrati GLP-1RA, suggeriamo che la struttura e la funzione cardiaca siano attentamente valutate negli studi clinici precedenti e in corso".
Possiamo dire che, nonostante l'uso dei farmaci, sarà sempre indispensabile nutrirsi correttamente e fare attività fisica, magari dimagrire sarà un po' più facile, ma l'impegno sarà comunque necessario.

""L'esercizio fisico è altrettanto importante, in particolare l'allenamento contro-resistenza come il sollevamento pesi o l'uso di fasce elastiche", ha affermato la prof. Carla Prado, che è stata recentemente nominata Canada Research Chair in Integrative Nutrition, Body Composition and Energy Metabolism. "Questo tipo di esercizio aiuta a evitare che i muscoli si perdano durante la perdita di peso e mantengono la forza."

Aggiunge che per chiunque usi farmaci dimagranti, è meglio seguire un programma equilibrato che includa sia abbastanza proteine ​​che allenamento contro-resistenza.

"Questo può aiutare le persone a perdere grasso riducendo al minimo la perdita muscolare, il che li aiuta a ottenere tutti i benefici per la salute del trattamento e a rimanere forti."