Cerca nel blog

domenica 4 settembre 2022

L'infiammazione, causa di tanti problemi/bis

 Continua qui il post sulla relazione tra stato infiammatorio e nutrienti.

Aggiornamento 8/9/2022

Secondo una revisione degli studi la supplementazione con omega 3 può diminuire i livelli sierici di TNF-α, IL-6 e CRP, tre marcatori associati all'infiammazione. "I pazienti con malattie la cui patogenesi è correlata all'infiammazione cronica, come cancro, malattie renali, diabete mellito e malattie cardiache, possono beneficiare dell'integrazione di omega 3". Sia EPA che DHA, i 2 principali omega 3, hanno effetto da singoli, ma se usati contemporaneamente l'effetto è migliore e sinergico.

Aggiornamento 26/9/2022

Nelle malattie autoimmuni, a causa di un'interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali si scatena un'infiammazione che altera il funzionamento delle cellule e del sistema immunitario. Le proresolvine, derivati degli omega 3, possono fermare questa infiammazione cronica che concorre alla malattia in maniera diversa dagli antinfiammatori, non bloccandola ma favorendo la sua risoluzione.

"La sclerosi multipla (SM) è attualmente una malattia neurologica incurabile e non traumatica con gravi implicazioni emotive ed economiche. L'infiammazione è considerata un attore importante nella sua patogenesi poiché la mancata risoluzione dell'infiammazione è il fattore unificante delle condizioni patologiche in diverse malattie infiammatorie. Sebbene siano disponibili diversi regimi farmacologici e approcci riabilitativi per la gestione di questa malattia, al momento non sono disponibili strategie efficaci per modulare l'alterazione del sistema immunitario che attacca diversi componenti del sistema nervoso. I farmaci disponibili per il trattamento sono associati a sostanziali effetti avversi che complicano ulteriormente la gestione di questa malattia debilitante. Pertanto, le terapie esistenti possono solo ritardare in una certa misura la progressione della malattia, ma un approccio curativo o riparativo per invertire il danno causato alla mielina rimane elusivo".
Le proresolvine sono un trattamento potenziale e promettente per la SM da verificare negli studi clinici.


Aggiornamento 28/9/2022


Un po' di aggiornamenti su proresolvine, derivati degli omega 3 che favoriscono la risoluzione dell'infiammazione cronica, ed eccesso di peso. La condizione di sovrappeso spesso si lega a un infiammazione di basso grado che è alla base delle patologie collegate, diabete, malattie cardiovascolari e simili.
La mancanza di proresolvine è alla base di questa infiammazione cronica, che forniscono segnali fondamentali per bloccarla.
Insulinoresistenza, pressione alta, steatosi epatica, stress ossidativo, tutte caratteristiche della sindrome metabolica, possono migliorare con le proresolvine. Anche l'infiammazione e la permeabilità intestinale possono migliorare, insieme a un effetto di modulazione del microbiota.
Nei diabetici che si sottopongono a chirurgia bariatrica, la remissione del diabete non avviene in chi ha bassi livelli di proresolvina maresina 1.
Nonostante gli studi sull'uomo siano ancora pochi, il loro uso è promettente.


Aggiornamento 2/10/2022

Diverse prove mostrano che sia negli animali che nell'uomo la restrizione calorica (CR) può avere dei vantaggi in termini di riduzione dell'infiammazione, agendo anche sull'espressione dei geni, sui segnali cellulari (citochine) e sul microbiota.
Tuttavia tra gli effetti collaterali a lungo termine possono esserci: alterazioni della composizione corporea, aumento della sensibilità al freddo, riduzione della forza muscolare, irregolarità mestruali, infertilità, perdita della libido, osteoporosi , guarigione lenta delle ferite, ossessione per il cibo, irritabilità e depressione. Inoltre la CR non assicura vantaggi se utilizzata in tarda età.

Aggiornamento 8/10/2022

Perché l'infiammazione cronica non sparisce con i farmaci? I farmaci antinfiammatori (FANS) agiscono sulle vie dei mediatori dell'infiammazione, bloccandole. Ma in questo modo bloccano anche la produzione di proresolvine, sostanze che favoriscono la fase di risoluzione dell'infiammazione cronica. Con la risoluzione si ha la "rimozione" delle scorie provocate dallo stato infiammatorio e la riparazione dei tessuti, con ritorno alla normale funzione. Ma se questa fase non arriva l'infiammazione rimane cronica, con conseguenti dolori, problemi metabolici e invecchiamento delle strutture



Aggiornamento 4/11/2022

La principale differenza nel consumo tra comune zucchero da tavola (saccarosio) e il fruttosio industriale appare essere l'aumento dei parametri infiammatori indotto dal fruttosio, mentre non ci sono differenze significative nei parametri metabolici (glicemia, colesterolo ecc.), pressori o antropometrici.

Aggiornamento 11/12/2022

In uno studio sono stati confrontati gli effetti di diverse dosi di EPA (omega 3) sulla depressione non trattata. La dose più alta è stata maggiormente efficace nel ridurre lo stato infiammatorio e i sintomi. La correlazione tra calo degli indici infiammatori (PCR) e dei sintomi è stata evidente.

Aggiornamento 18/12/2022

L'ipoglicemia, bassi livelli di glucosio nel sangue, può colpire i diabetici ma anche persone sane. Si tratta di una condizione che può rappresentare uno stress sia a livello cellulare che sistemico e determina una risposta infiammatoria. Nei diabetici può essere dovuta a un errato uso dei farmaci. Se ripetuta nel tempo diventa un fattore di rischio cardiovascolare. L'effetto è dovuto all'aumento dello stress ossidativo che determina infiammazione e disfunzione endoteliale (stress dei vasi sanguigni). L'ipoglicemia inoltre, come qualsiasi stress, stimola le ghiandole surrenali favorendo una risposta immunitaria infiammatoria e un incremento della tendenza alla formazione di trombi che sono alla base delle malattie cardiovascolari.

Aggiornamento 12/2/2023

L'anastomosi è il collegamento tra le viscere che il chirurgo esegue quando interviene nei viscere, per esempio in chirurgia bariatrica o oncologica nell'intestino. Una chiusura imperfetta (Anastomotic leakage, AL) aumenta il rischio di ricorrenza e la mortalità nel tumore al colon. Nel modello animale si è dimostrato che il microbiota intestinale influenza la guarigione dell'anastomosi. Alcuni batteri aumentano quindi il rischio di una guarigione non corretta mentre altri sembrano favorirla. Questo avviene modulando le citochine infiammatorie e la permeabilità intestinale. L'infiammazione ostacola la guarigione, favorendo l'accumulo di globuli bianchi.
"Il ruolo dell'infiammazione subclinica di basso grado viene riconosciuto in diversi disturbi, come la sindrome dell'intestino irritabile e l'obesità, nonché nella fisiopatologia generale dei tumori gastrointestinali.
I pazienti a rischio di sviluppare AL sarebbero candidati per potenziali trattamenti prima dell'intervento chirurgico mirati al microbiota intestinale, come prebiotici, probiotici e postbiotici per attenuare l'infiammazione del colon, rafforzare la barriera intestinale e migliorare la guarigione anastomotica. Inoltre, gli approcci basati sul microbiota potrebbero essere rilevanti per altri interventi gastrointestinali oncologici e non oncologici, comprese le resezioni dell'intestino tenue, l'escissione del tumore transanale e le operazioni gastroduodenali".

Aggiornamento 8/3/2023

Tra le persone che assumono statine, chi ha livelli di infiammazione alti (riscontrabili col semplice esame della PCR) ha ancora rischio cardiovascolare "residuo".
"[…] i dati (potrebbero suggerire) che è improbabile che raggiungere il target dell'LDL da solo riduca completamente il rischio aterosclerotico e che le vie infiammatorie devono ancora essere completamente "utilizzate" per ridurre i tassi di eventi cardiovascolari fatali e non fatali. Riteniamo che l'uso combinato di terapie ipolipemizzanti e antinfiammatorie aggressive potrebbe diventare in futuro uno standard di cura per la malattia aterosclerotica".
L'alimentazione è uno dei principali determinanti dell'infiammazione, quindi per ridurre il rischio cardiovascolare non basta spolverare le statine sopra i fritti.

Aggiornamento 12/3/2023

Muscoli e artrite reumatoide.

La sarcopenia è un disturbo muscolare scheletrico progressivo e generalizzato che comporta la perdita accelerata di forza e massa muscolare. È tipica dell'anziano malnutrito e colpisce circa una persona su quattro con artrite reumatoide (RA).

Le citochine infiammatorie possono accelerare lo sviluppo della sarcopenia attraverso l'aumento della proteolisi muscolare, l'interruzione dell'auto-rinnovamento delle cellule staminali muscolari e la compromissione diretta della forza delle fibre muscolari.
L'esercizio fisico è attualmente l'intervento più efficace per migliorare la forza e la massa muscolare nelle persone con AR.

I principali fattori di rischio per la sarcopenia sono: Inattività fisica, Fumo, Carenza di vitamina D, Basso apporto dietetico di proteine. Nelle persone con AR si aggiungono, tra gli altri, uso di cortisonici, dolore alle articolazioni, stato infiammatorio.
La vitamina D è fondamentale per la salute dei muscoli e la sua carenza può alterare la funzione mitocondriale e indurre l'atrofia del muscolo scheletrico. I livelli sono proporzionali al rischio di sarcopenia e alla forza e chi non la assume ha rischio maggiore.
Gli studi sottolineano l'importanza di un corretto apporto proteico e di un'eventuale supplementazione per la protezione della massa magra.
L'articolo si conclude invitando i reumatologi a un approccio olistico che punti a considerare anche gli aspetti legati allo stile di vita.


Aggiornamento 27/3/2023

La permeabilità intestinale, con il conseguente ingresso nel sangue di endotossine (LPS), aumenta l'infiammazione e riduce la produzione di testosterone. Questo accade sia in acuto (infezione) che in cronico (disbiosi intestinale o altre cause, anche alimentari). Le osservazioni possono spiegare anche perché i probiotici, che migliorano la permeabilità intestinale, possono migliorare la funzione testicolare.
"Le interazioni tra l'intestino e il sistema immunitario svolgono un ruolo significativo nella salute dei testicoli. Questa scoperta evidenzia la necessità di ulteriori ricerche per esplorare il miglioramento dell'integrità della barriera intestinale come potenziale trattamento per la malattia andrologica".

Aggiornamento 1/5/2023

Gli alimenti industriali aumentano il rischio cardiovascolare. Quali sono i meccanismi?

"La lavorazione può alterare le caratteristiche nutrizionali (contenuto di macro e micronutrienti), fisiche (struttura degli alimenti) e chimiche (presenza di dolcificanti artificiali, additivi e contaminanti neoformati, indice e carico glicemico) degli alimenti in modi che venga alterata la salubrità. I processi industriali possono anche influenzare i comportamenti alimentari a lungo termine, i segnali di sazietà e i sistemi di ricompensa alimentare".

I meccanismi sono molteplici e hanno un effetto sinergico tra loro: "Le interrelazioni fisiopatologiche alla base dell'aterogenesi e nella progressione delle malattie cardiovascolari sono complesse e coinvolgono molteplici vie. Una costellazione di fattori come la disfunzione metabolica, proinfiammatoria, protrombotica, pro-ossidativa ed endoteliale coesistono e si potenziano a vicenda. Esistono una miriade di sfumature. Ad esempio, vari livelli di alterazioni del metabolismo del glucosio attivano specifici pattern infiammatori, mentre i fattori immunitari interagiscono bidirezionalmente con il microbiota intestinale. Inoltre, la maggior parte dei fattori di rischio cardiovascolare gioca un ruolo nell'innescare la disfunzione e le lesioni endoteliali, oltre a mantenere un ambiente molecolare protrombotico e proinfiammatorio. Attraverso questi fattori e attraverso una complessa rete di meccanismi di feedback molecolari, l'aterogenesi si intensifica e si perpetua, culminando con vari eventi cardiovascolari (CVD)".
Il cibo-spazzatura favorisce in diversi modi l'aumento di peso, per esempio saziando e nutrendo meno e innescando fame e dipendenza di alimenti sempre disponibili. Il tessuto adiposo in eccesso, in particolare viscerale, è un fattore di rischio cardiovascolare.
Essendo ricchi in zuccheri e poveri in fibre, inducono iperglicemia e iperinsulinemia, che "aumentano il rischio di CVD promuovendo l'aumento di peso, l'infiammazione, lo stress ossidativo e la disfunzione endoteliale".
Possono inoltre essere ricchi in sale e poveri in potassio, un mix che induce ipertensione, uno dei principali fattori di rischio.
La povertà di fibre seleziona i batteri infiammatori e favorisce la sintesi di TMAO, metabolita infiammatorio, inducendo permeabilità intestinale. Gli emulsionanti aumentano il potenziale infiammatorio.
Gli alimenti ultraprocessati sono una delle principali fonti di AGEs, sostanze che si formano ad alte temperature e aumentano stress ossidativo e infiammazione.
La presenza di grassi trans e grassi saturi privati della matrice è un fattore che favorisce l'aumento dei lipidi plasmatici.
Questi alimenti sono inoltre fonti di interferenti endocrini come BPA, sostanze che alterano la funzioni ormonali e si trovano nel packaging.
L'articolo si conclude invitando le persone alla consulenza nutrizionale: "La consulenza nutrizionale è la pietra angolare della cardiologia preventiva e dovrebbe tenere conto degli alimenti ultra-elaborati, evidenziando i loro effetti metabolici pervasivi, la disponibilità ubiquitaria e le fonti "nascoste" in una varietà di formulazioni alimentari".

Aggiornamento 16/5/2023

Da tempo abbiamo sempre più informazioni sul legame tra malattie autoimmuni e alimentazione. Secondo una revisione pubblicata su Autoimmunity Reviews, rivista di riferimento queste evidenze non possono più essere ignorate dai medici (e purtroppo anche dai nutrizionisti).
Secondo la pubblicazione:
∎ La nutrizione, attraverso le sue proprietà pro e antinfiammatorie, svolge un ruolo importante nella prevenzione e nella gestione dell'artrite reumatoide (AR).
∎ Il consumo di una dieta mediterranea antinfiammatoria integrata con acidi grassi omega-3 è raccomandato in aggiunta al trattamento medico.
∎ Sono necessarie prove di qualità superiore per trarre conclusioni più solide su specifici interventi dietetici per migliorare i risultati dell'AR.
∎ I reumatologi dovrebbero lavorare a stretto contatto con i professionisti della nutrizione per fornire un intervento dietetico più personalizzato ai pazienti con AR.

Altre diete come la glutenfree e la dieta vegetale possono essere d'aiuto in particolari persone. Gli omega 3 hanno un ruolo importante nel ridurre l'infiammazione. Antiossidanti, spezie ed erbe (per esempio aglio, zafferano, zenzero, cannella ecc.) riducono l'infiammazione tramite diversi meccanismi e funzionano bene in sinergia tra loro. Vitamina D, probiotici e vitamina K sono altri supplementi utili.
"In sintesi, le prove esistenti suggeriscono che la nutrizione svolge un ruolo sia nell'insorgenza della malattia RA sia nella gestione della malattia attraverso alimenti (anti)-infiammatori/gruppi di alimenti, sostanze nutritive o anche in alcuni casi restrizioni di alimenti. In effetti, la maggior parte degli studi clinici è limitata in termini di dimensioni del campione, durata e capacità di condurre gli studi "in cieco", quindi è evidente la necessità di studi di migliore qualità. Tuttavia, le prove che collegano la nutrizione e il rischio e la gestione dell'AR si stanno accumulando e non dovrebbero essere ignorate".

Aggiornamento 13/6/2023

In questi anni la tecnologia di produzione del pane è molto cambiata. Si è passati da pani fatti da farine non raffinate, di vari grani e a lievitazione naturale e lenta, all'utilizzo di farine sempre più raffinate e formate solo da grano, addizionate da vari additivi miglioratori del processo (soprattutto per quanto riguarda i tempi) e quindi lievitate in poco tempo. Questo ha ripercussioni sulla salute.
Mentre i primi pani favoriscono una flora non infiammatoria e più diversificata, grazie soprattutto alle fibre che nutrono i batteri buoni e sostengono un microbiota saccarolitico (che lascia meno scarti infiammatori), le metodiche moderne sostengono una flora proinfiammatoria e i patogeni opportunisti, hanno poche fibre, favoriscono la fermentazione proteolitica, determinano permeabilità intestinale che è alla base di molte patologie moderne. In sintesi meglio privilegiare pane fatto come una volta.

Aggiornamento 29/6/2023

Dormire bene è essenziale per non avere malattie croniche perché un sonno alterato riduce la produzione di proresolvine, sostanze fondamentali per la risoluzione dell'infiammazione cronica.
"La compromissione della risoluzione infiammatoria come conseguenza dei disturbi del sonno può spiegare il rallentamento del recupero infiammatorio dai disturbi del sonno. Il presente lavoro suggerisce che i disturbi del sonno contribuiscono allo sviluppo e alla progressione di molte malattie comuni caratterizzate da immunopatologia interferendo con i processi che risolvono attivamente l'infiammazione. Mirare farmacologicamente a questi percorsi in futuro, ad esempio attraverso l'integrazione del precursore delle proresolvine o con proresolvine specifiche può aiutare a limitare le numerose conseguenze negative sulla salute dei disturbi del sonno".

Ottimo articolo sull'infiammazione e la sua risoluzione

Aggiornamento 11/8/2023

L'ipotalamo delle persone sovrappeso può essere più grande (ipertrofico) e infiammato. Questo organello è posto alla base del cervello e regola l'appetito, il bilancio energetico e la composizione corporea. Uno stato infiammatorio è noto per alterare la funzione dell'organo (functio laesa). Per questo avere alterazioni ipotalamiche può far cadere in un circolo vizioso che rende difficile controllare l'appetito e il peso.
Tuttavia i ricercatori scrivono che "il disegno di questo studio non può stabilire una relazione causale e suggeriamo che siano necessarie ulteriori ricerche per stabilire se un volume ipotalamico maggiore sia una causa o un effetto di un peso superiore al normale (non si capisce se sia un'effetto del mangiare di più o chi ha un ipotalamo più grande mangia di più per questo). La cascata infiammatoria di aumentata espressione di citochine infiammatorie, la gliosi indotta dalla dieta, l'alterazione della barriera ematoencefalica (BBB, che "filtra" le informazioni che arrivano all'ipotalamo) e alterazioni vascolari possono esacerbare un'ulteriore disregolazione dei meccanismi omeostatici energetici governati dall'ipotalamo, alterando l'efficacia delle strategie per la perdita di peso. Riteniamo che la ricerca futura dovrebbe tentare di chiarire e identificare le cause del maggiore volume ipotalamico nell'obesità, allo scopo di affrontare le opportunità terapeutiche per un'esigenza di salute pubblica mondiale".

Aggiornamento 4/9/2023

Lo stato infiammatorio è correlato alla depressione e a un minore dimagrimento in persone che si sottopongono a chirurgia bariatrica

Aggiornamento 4/12/2023

TMAO è un metabolita infiammatorio legato alla colina e alla carnitina che si forma soprattutto in seguito all'introduzione di alimenti animali. I suoi livelli sono associati a malattie cardiovascolari, diabete e tumori.
Nel modello animale i mirtilli (ma non le fragole) modulano il microbiota in modo da ridurre la quantità di TMAO.

Aggiornamento 1/2/2024

I farmaci dimagranti agonisti del GLP1 sembrano avere un effetto antinfiammatorio, in particolare nei confronti del cervello. Possono quindi essere promettenti nei confronti di Parkinson e Alzheimer.

Aggiornamento 30/3/2024

Il legame tra infiammazione e grasso viscerale nelle persone con diabete di tipo 2 neodiagnosticato è evidenziato dall'aumento di alcuni valori come TNFα, proteina C reattiva e interleuchina 6.
Lo studio suggerisce di tenere in considerazione la gestione dello stato infiammatorio di basso grado nei diabetici.

Aggiornamento 11/5/2024

Il consumo di emulsionanti come additivi alimentari è associato a maggiore rischio di diabete di tipo 2.

In particolare "sono state osservate associazioni positive per sette singoli emulsionanti, vale a dire, carragenine [E407], fosfato tripotassico [E340], esteri dell'acido acetil tartarico di monogliceridi e digliceridi degli acidi grassi [E472e], citrato di sodio [E331], gomma di guar [E412] , gomma arabica [E414], gomma xanthan [E415]) e un gruppo di emulsionanti (cioè carragenine totali; E407–407a)".
I meccanismi coinvolgono l'induzione della disbiosi da parte di questi additivi alimentari. In questo modo si stimola uno stato infiammatorio di basso grado che favorisce la desensibilizzazione dei recettori per l'insulina e quindi apre la strada al diabete. Curiosamente gli emulsionanti legati alle malattie cardiovascolari sono diversi.
I ricercatori concludono scrivendo: "Se confermati, questi risultati potrebbero indurre a una rivalutazione delle normative che regolano l’uso degli emulsionanti come additivi alimentari da parte dell’industria alimentare per una migliore protezione dei consumatori".

Aggiornamento 26/5/2024

Una dieta proinfiammatoria è associata a maggior dolore e maggiore rischio di dolori articolari a 10 anni. Non si evidenziano invece differenze a livello di danni strutturali tramite risonanza magnetica. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che la dieta ha più effetto sull'infiammazione sistemica che su quella locale. La dieta può però influenzare, oltre allo stato infiammatorio, lo stress ossidativo e indurre ipersensibilità al dolore.

Aggiornamento 15/6/2024

Stare a contatto con la natura è associato alla riduzione di 3 parametri di infiammazione (proteina C reattiva, interleuchina 6 e fibrinogeno).
"Questo modello supporta le teorie che posizionano le emozioni positive come promotrici di vantaggi tangibili in termini di salute (Fredrickson, 2001). Inoltre, le associazioni osservate tra coinvolgimento nella natura e riduzione della PCR sono in linea con la ricerca che collega gli stati psicologici positivi all'attenuazione della segnalazione proinfiammatoria (Ong et al., 2018). Tali modelli combaciano con i quadri di riduzione dello stress (Ulrich et al., 1991) e di ripristino dell’attenzione (R. Kaplan e Kaplan, 1989), ma aggiungono specificità riguardo al ruolo del contatto con la natura nel ridurre l’infiammazione".

Aggiornamento 21/6/2024

Un'alimentazione infiammatoria è legata a maggior rischio di sclerosi multipla o altre malattie demielinizzanti.
"un punteggio "dietary inflammatory index" elevato può corrispondere a un maggiore apporto di grassi saturi, zuccheri raffinati e alimenti trasformati. Questi componenti possono innescare lo stress ossidativo e promuovere la produzione di mediatori pro-infiammatori, che possono danneggiare la barriera emato-encefalica e attivare le cellule immunitarie all’interno del sistema nervoso centrale. Questi eventi possono ulteriormente contribuire alle caratteristiche di neuroinfiammazione e demielinizzazione della SM".
Invece gli alimenti non trasformati, soprattutto vegetali, sono ricchi in vitamine, grassi buoni, antiossidanti, e contrastano l'infiammazione.
"Questi risultati evidenziano l’importanza di includere più alimenti antinfiammatori nella dieta per la possibile prevenzione e gestione della SM e forniscono una potenziale strada per la ricerca futura per sviluppare strategie nutrizionali mirate per mitigare il peso di queste condizioni debilitanti".


Aggiornamento 16/8/2024

Negli ultimi anni si è verificata una riduzione della mortalità cardiovascolare grazie al miglioramento delle terapie e prevenzione, ma i cambiamenti climatici determinano complessivamente un aumento del rischio cardiovascolare.
"La combustione di combustibili fossili e altre attività umane negli ultimi 150 anni hanno aumentato notevolmente le concentrazioni atmosferiche di gas serra che intrappolano il calore, come il biossido di carbonio e il metano, e hanno causato cambiamenti climatici, che comprendono cambiamenti a lungo termine dei modelli meteorologici medi, disturbi degli ecosistemi e l’innalzamento del livello del mare. Una caratteristica fondamentale del cambiamento climatico è il riscaldamento globale. La Terra è ora 1,4°C più calda rispetto alla fine del XIX secolo e i 10 anni più caldi mai registrati si sono verificati tutti negli ultimi dieci anni".
Le temperature elevate o quelle estremamente fredde aumentano il rischio in maniera immediata o ritardata di alcuni giorni, rispettivamente.
Gli eventi estremi (uragani o tempeste) inducono uno stress che può aumentare per mesi il rischio di eventi.
Gli effetti di polveri inquinanti o fumo di incendi può agire anche a grande distanza.

"Il cambiamento climatico può influenzare la salute cardiovascolare attraverso diversi percorsi. In primo luogo, l’esposizione a fattori di stress ambientali produce cambiamenti fisiologici, come aumento della frequenza cardiaca e della viscosità del plasma con esposizione a calore estremo o infiammazione locale e sistemica dopo l’inalazione di particolato aerodisperso. In secondo luogo, affrontare eventi meteorologici estremi aumenta lo stress, l’ansia e la depressione e questi effetti negativi sulla salute mentale possono contribuire al rischio cardiovascolare. In terzo luogo, eventi estremi come uragani o inondazioni alterano le infrastrutture e l'erogazione dell'assistenza sanitaria (ad esempio, attraverso interruzioni di corrente o interruzioni delle catene di approvvigionamento). In quarto luogo, gli effetti socioeconomici a lungo termine dei cambiamenti climatici possono influire negativamente sulla salute cardiovascolare. Ad esempio, si prevede che il cambiamento dei modelli delle precipitazioni, l’aumento delle temperature e l’intrusione di acqua salata nelle falde acquifere produrranno un calo della produttività agricola in molte parti del mondo; la conseguente insicurezza alimentare può compromettere la qualità nutrizionale e la salute cardiovascolare. La migrazione legata al clima cambierà il luogo in cui cerchiamo e forniamo assistenza cardiovascolare. L’innalzamento del livello del mare può danneggiare le infrastrutture sanitarie e di trasporto esistenti, compromettendo l’accesso e la fornitura dell’assistenza sanitaria. Collettivamente, questi percorsi hanno il potenziale di minare la salute cardiovascolare della popolazione, ma l’entità e le popolazioni che saranno particolarmente sensibili sono incerte".

Nessun commento:

Posta un commento