martedì 6 maggio 2014

Chiarimenti sulle intolleranze alimentari


Nessuno, che agisca scientificamente, può più mettere in dubbio l'esistenza delle intolleranze alimentari (qualcuno le chiamò pure allergie non allergiche o allergie non IgE mediate), o meglio reazioni avverse agli alimenti, o ancora meglio reazioni infiammatorie legate al cibo.
Anche se qualche dinosauro dell'alimentazione ci prova ancora.
Infatti è evidente come alcuni cibi abbiano un impatto negativo sulla salute e sulla vita di tutti i giorni.
Dichiaro subito il mio conflitto d'interessi, essendo un fan del dottor Attilio Speciani, avendo imparato tantissimo da lui e condividendo generalmente le sue idee.
A chiunque può capitare, dopo l'assunzione di alcuni categorie di cibi, di sentirsi gonfio, stanco o con difficoltà digestive (classicamente la pizza, il pane o i latticini).
O basta pensare alla gluten sensitivity, un problema che fino a 3 anni fa circa la maggior parte della comunità scientifica faceva passare come fantasia o superstizione, mentre oggi tutti ne parlano, legandola a problemi neurologici, intestinali ecc ecc.





Oltre a quelle gastrointestinali, le reazioni possono essere in realtà le più varie, dalla rinite all'acne, dalle difficoltà digestive al mal di testa, dall'orticaria alla sonnolenza alla ritenzione idrica. Non tutti concordano sui sintomi extraintestinali.
Sono tutte comunque da considerare "valvole di sfogo" del nostro organismo quando si supera un certo livello infiammatorio non più tollerato. 
Il primo problema è che i test non sono ancora sufficientemente affidabili, anzi molti sono proprio inutili e privi di fondamento scientifico.
Ne esistono tanti, da quello chinesiologico al citotest, da quello con gli elettrodi a quello con la boccetta da tenere in mano. Ma tuttora non ne esiste uno riconosciuto dall'intera comunità scientifica. Quello che sta andando più di moda ultimamente è forse quello Igg4.
Negli ultimi anni è stato considerato infatti molto innovativo, perché finalmente si quantificava in maniera oggettiva la presenza di un anticorpo, con la metodica ELISA.
In realtà gli anticorpi Igg4 segnalano il contatto con i diversi alimenti, e se un certo alimento è stato ripetutamente introdotto allora il valore dell'Igg4 può salire. Può quindi indicare che quell'alimento sta creando problemi perché lo si è consumato troppo spesso (infatti le intolleranze alimentari sono dovute al superamento di una soglia, non alla semplice introduzione come nelle allergie classiche), ma il legame causa effetto non è scontato. A me devo dire è andata bene con un test fatto più per curiosità che altro.

Forse ora con i test basati sulla quantificazione delle molecole PAF e BAFF potremmo essere veramente ad una svolta, grazie a chi ci credeva da anni.
L'altro metodo possibile, quello fai da te, prevede di segnare in un diario quello che mangiamo, e contemporaneamente se si riscontrano i sintomi. Ma, essendo per definizione i sintomi delle intolleranze ad effetto ritardato, la questione si complica.


http://ebookbrowsee.net/microsoft-powerpoint-2012-20-marzo-alimentazione-pdf-d349108627


Il secondo problema è che non ha senso andare a ricercare 500 alimenti, tra cui il coriandolo o la carne di struzzo che mangeremmo una volta l'anno esagerando.
Bisogna infatti considerare che alimenti simili o derivati hanno le stesse proteine e quindi gli stessi effetti potenzialmente negativi.
Non è possibili che il latte dia problemi e il formaggio no, per fare un esempio. O dire non puoi mangiare il grano ma il kamut sì.
Ci si deve riferire quindi ai gruppi alimentari, cioè alimenti che presentino le stesse proteine o lo stesso tipo di induzione sul sistema immunitario.

Una volta individuati gli alimenti che creano problemi (forse!) ci sono 2 strade possibili: dieta di eliminazione o di rotazione.
La prima prevede di eliminare per diversi mesi l'alimento, di solito sei, e poi reintrodurlo lentamente. Sono così probabili fenomeni di sensibilizzazione all'alimento, oppure si possono creare carenze di nutrienti.
Nella seconda invece si mettono a rotazione gli alimenti, escludendoli per esempio 2 giorni e reintroducendoli al terzo, dopo il quale si ricomincia con l'esclusione. In pratica in questo modo, che reputo migliore, si permette al corpo di riabituarsi lentamente all'introduzione dell'alimento, come se fosse lo svezzamento di un bambino. Dopo alcune settimane si riducono i giorni di esclusione, e l'alimento risulterà più tollerabile.
E le "valvole di sfogo" saranno ridotte se non eliminate!





Aggiornamento 12/10/16

La colonizzazione con E.Coli dell'intestino del neonato riduce successivamente la tolleranza orale e apre la porta a allergie e intolleranze.


Aggiornamento 5/9/2018

Un nuovo studio mette in mostra che i test IgG hanno migliorato la condizione di persone con colite ulcerosa, mettendo in dubbio la loro inutilità, almeno in questa condizione


Aggiornamento 24/9/2018

Il mio nuovo articolo su intolleranza, o meglio sensibilità alimentare, e microbiota
Aggiornamento 24/8/2019
La rivista Nutrients pubblica le relazioni tra IgG e cibo sostenute dal dott. Speciani e colleghi

Aggiornamento 3/9/2020

Individuati anticorpi che potrebbero aiutare a diagnosticare la sensibilità al glutine. Fanno parte della classe delle IgG. "Abbiamo scoperto che le cellule B dei pazienti affetti da celiachia hanno prodotto un profilo di sottoclasse di anticorpi IgG con un forte potenziale infiammatorio che è legato all'attività autoimmune e al danno delle cellule intestinali", afferma Alaedini. "Al contrario, i pazienti con sensibilità al glutine non celiaca hanno prodotto anticorpi IgG associati a una risposta infiammatoria più contenuta". "Se riusciamo a guidare specifiche cellule immunitarie dei pazienti celiaci verso una minore infiammazione, potremmo essere in grado di prevenire o ridurre la gravità della reazione immunologica al glutine".
Aggiornamento 13/4/2021

Una dieta personalizzata sui test IGG, a parità di calorie, ha avuto esiti migliori rispetto a dieta tradizionale su perdita di peso (21kg Vs 17), grasso corporeo (-9.72% Vs 7.19%), parametri tiroidei (TSH, T3 e T4) e di autoimmunità (riduzione degli anticorpi antiTPO) in donne sovrappeso con Hashimoto

Aggiornamento 26/5/2021

Eliminare le proteine del latte vaccino può portare a miglioramento dell'asma refrattaria nei bambini, anche se i test IG-E non evidenziano allergia al latte, e "può essere considerata come l'anello mancante nel trattamento dell'asma". Il miglioramento c'è stato nell'82% dei bambini. Questo indica la possibile presenza di allergie non IG-E mediate, che di solito sono legate a manifestazioni gastrointestinali, come il reflusso. "Considerato quanto sopra, presentiamo il caso di un ripensamento completo di come l'allergia alimentare gastrointestinale non mediata da IgE e l'asma possano essere correlate suggerendo le seguenti ragioni; in primo luogo, la vicinanza del tratto gastrointestinale con il sistema respiratorio; in secondo luogo, il modello comune dei meccanismi immunologici che coinvolgono le stesse cellule infiammatorie e citochine; e infine, l'effetto diretto degli allergeni alimentari su entrambi gli organi. [...] Abbiamo spiegato l'iperreattività delle vie aeree nelle allergie alimentari non immediate come conseguenze respiratorie del coinvolgimento del tratto gastrointestinale, come accade nel reflusso gastroesofageo", e già evidenziato da altri studi. È probabile che l'allergia nascosta al latte induca il reflusso, che a sua volta infiamma le vie aeree tramite i mastociti e stimola il nervo vago, con manifestazione dell'asma. In alternativa le proteine inducono allergia entrando tramite permeabilità intestinale o cutanea. Le linee guida per il reflusso nel bambino suggeriscono in questi casi di usare proteine del latte idrolizzate e quindi meno allergizzanti, e l'eventuale conferma con oral food challenge (prova di scatenamento). "Per concludere, i risultati sono stati sorprendentemente promettenti, dimostrando che la dieta di eliminazione delle proteine del latte vaccino (che rappresenta l'allergene alimentare più comune) è un approccio prudente nella gestione dei pazienti con asma che non risponde ai trattamenti e può essere considerato come l'anello mancante nel trattamento dell'asma".

Aggiornamento 5/7/2021

Alcune prove portano a pensare che i dolori della sindrome dell'intestino irritabile (IBS) siano dovuti (anche) a reazioni allergiche, che perdurano anche senza esposizione successiva, e sono facilitate da infezioni batteriche che alterano le proprietà della mucosa intestinale. L'istamina agisce localmente per cui non vi è una reazione sistemica classica ma limitata all'intestino. Questo spiegherebbe perché alcune diete di esclusione portano a miglioramenti, e perché la FODMAP non sempre funziona.
"Un'infezione batterica gastrointestinale può rompere la tolleranza orale a un antigene alimentare e provocare una risposta immunitaria adattativa verso quell'antigene, che a sua volta può portare a un aumento della permeabilità intestinale e a una segnalazione anormale del dolore quando si verifica la riesposizione all'antigene. L'esposizione a questi mediatori rende i nervi afferenti ipersensibili e l'ipersensibilità può persistere anche in assenza dell'antigene alimentare scatenante .Esiste uno spettro di risposte allergiche indotte dal cibo, con anafilassi sistemica IgE-mediata da un lato e risposte allergiche specifiche del tessuto gastrointestinale dall'altro. Nel mezzo ci sono malattie del tratto gastrointestinale con risposte allergiche locali indotte dal cibo, come le risposte mastocitarie specifiche del colon descritte da Aguilera-Lizarraga et al. e le risposte eosinofile specifiche dell'esofago nell'esofagite eosinofila. Sebbene molto ancora sia da chiarire, dati recenti supportano l'ipotesi che i disturbi gastrointestinali comuni, come l'IBS e il dolore addominale funzionale, possano invece essere disturbi allergici indotti dal cibo".

Aggiornamento 24/5/2024

L'orticaria cronica (CSU) è un disturbo che può non essere controllato dagli antistaminici in oltre la metà dei casi, ma può rispondere all'alimentazione.
I punti salienti di una revisione degli studi sono:

"L’allergia alimentare è una causa estremamente rara di CSU, mentre in alcuni pazienti può essere associata una sensibilità (intolleranza) alimentare (definita come pseudoallergia).
I componenti o le sostanze alimentari che possono provocare intolleranze alimentari sono chiamati pseudoallergeni. Questi sintomi sono reazioni di ipersensibilità che possono simulare vere reazioni allergiche e sono oggettivamente riproducibili in esposizioni ripetute. Tra gli pseudoallergeni degni di nota figurano alimenti ricchi di istamina o che attivano i mastociti come formaggio, pesce, frutti di mare, verdure come pomodori, frutta, cioccolato, alcol, alcuni farmaci, erbe e spezie, additivi alimentari come rosso cocciniglia, azorubina, carminio, rosso allura ed eritrosina. Questi prodotti alimentari possono innescare o peggiorare la CSU in modo dose-dipendente. Recentemente, diversi autori hanno segnalato che l'orticaria da contatto causata da alcuni alimenti può essere una causa di tali reazioni. L'intolleranza alimentare viene solitamente sospettata quando i sintomi clinici migliorano dopo 3 settimane di dieta di eliminazione rigorosa, o se i test provocativi orali (OPT) con sostanze implicate aggravano i sintomi

Nel complesso, le diete di eliminazione hanno prove inferiori rispetto alle diete integrate con alcuni supplementi come terapia aggiuntiva, poiché le prime mancano di studi randomizzati e controllati.

L’eliminazione degli additivi alimentari e le diete personalizzate possono essere utili in un sottogruppo di pazienti senza alcun test per predire la risposta, mentre integratori alimentari come vitamina D, diaminoossidasi (enzima degradatore dell'istamina) e probiotici possono essere utili in caso di carenze specifiche.

La restrizione generalizzata di alimenti, senza test di provocazione, è fortemente scoraggiata.

Le diete di eliminazione devono essere continuate per almeno 3 settimane per valutare la risposta, mentre in caso di carenze devono essere somministrati integratori alimentari finché i livelli sierici non ritornano normali".

In generale le maggiori evidenze sono per la dieta a basso contenuto di istamina, per quella personalizzata e per l'eliminazione degli additivi. Per gli integratori l'uso di vitamina D e probiotici e simbiotici.

La ricerca si conclude invitando a rivolgersi a un nutrizionista per la personalizzazione della dieta

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